venerdì 30 dicembre 2016

Questione di misure

Come sta terminando questo 2016? Sono volati gli stracci da noi.
Ho ricevuto in modo casuale, fresca di stampa la rivista del Comune intitolata Il Filo Comune di Avezzano; non l’ho letta perché gli articoli erano senza firma. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta si usava proprio così in determinati ambienti: si scrivevano dei pezzi (anche in due o tre persone) per un ciclostilato e non si firmavano; si trovavano riuniti in ordine alfabetico e perciò mescolati tra loro, gli autori dei diversi «articoli». Che cosa mi ha impedito per giorni di sfogliarla? È che la storia si è ripetuta in maniera farsesca di là dei personaggi.
Mi era venuta però una mezz’idea di scrivere qualcosina su tale nuova rivista. Si trattava di una pubblicazione tirata in 5mila copie e costata 20mila euro, almeno stando a quanto io sentivo in giro da giorni; è un unico foglio 42 x 59 cm (probabile formato B9: 44 x 62 cm), stampato in bianca e in volta, a colori. «Potevano fare un’edizione firmata dal sindaco e numerata a quel prezzo… per venderla però, altro che gratis…», aggiungevo io.
Ho parlato d’altro nel post seguente quei fatti (27 dicembre); si erano intanto registrati accesi battibecchi tra pubblicisti: ho preso a interessarmi all’argomento.
Era tutto nato da un post: Le “buone notizie” ad Avezzano costano 20mila euro in «AccendiLaLuce» 21 dicembre. «Il Comune di Avezzano un paio di giorni fa ha divulgato un comunicato stampa in cui annunciava l’uscita del giornale. Quindi siamo al numero uno dell’anno 2016, il 21 dicembre», a cui legare il precedente: «Spesa: 20mila euro».
Il giorno seguente appare un commento di Mariano Santomaggio (Pdl) – che si era già interessato all’argomento – in: Ventimila euro per il giornale del Comune. Santomaggio: “Ecco un’altra marchetta elettorale”, in «TerreMarsicane» 22 dicembre. Il pezzo non è firmato ma è interessante l’inizio: «Il caso è stato sollevato sul blog di una giornalista della nostra testata, Magda Tirabassi». (Rammarico per pubblicare una notizia-bomba?). Prosegue con: «il giornale dell’Amministrazione comunale del sindaco Gianni Di Pangrazio, che è costato ai cittadini 20mila euro». E due. Tutto ciò che si diceva in giro era perciò tutto vero, anche se il primo pezzo pubblicato sulla vicenda era diverso e più vicino alle cifre correnti, almeno per qualcuno come il sottoscritto che bazzica le tipografie da decenni: «Il primo numero verrà distribuito in 5mila copie e ogni numero costa al Comune 2.300 euro», in: Arriva il periodico “Filo comune” Tiratura: 5mila copie, in «IlCentro» 20 dicembre. (20mila, 2.300 euro, altro?).
C’è qualcuno che avrebbe gradito veder dirottate altrove le risorse per il «giornaletto»: «E dire che ci sarebbero testate cartacee, online, e radiotelevisive cittadine che si potrebbero sostenere quantomeno per cercare di rilanciare l’occupazione di qualità», Avezzano, nasce il notiziario del Comune, in «CliccaEPensa» 23 dicembre; lo stesso pezzo è apparso il 25 dicembre anche nell’aquilano IlCapoluogo. (Sì, ma in una simile situazione un pubblicista, un operatore dell’informazione attaccherebbe un amministratore?). Scrive proprio «giornaletto», mentre per altri – fuori della Piana –, si tratta di: «Un foglio di informazioni sull’attività dell’amministrazione in scadenza», in «InAbruzzo» 25 dicembre.
C’è chi risponde agli attacchi rivolti non solo all’Amministrazione «ma anche nei confronti di quanti a questo progetto hanno collaborato», in: M. Santellocco, Buone notizie e cattive informazioni in «Marsicanews» 24 dicembre; è mancata negli articoli a suo dire, la «verifica delle informazioni». È in ogni modo un’assurdità da parte di coloro che, pur lavorando in testate giornalistiche «screditano strumenti dell’informazione». Lei ha partecipato («Comitato di redazione») al numero zero del vituperato «foglio» di carta e definisce «blogghettino» il blog precedente.
Mi ha colpito della vicenda in modo particolare, proprio i litigi tra colleghi dell’informazione on-line. (In ogni modo: ‘Something is rotten’, per dirla con il Bardo dell’Avon). A me è però rimasta la voglia di conoscere il nome della stamperia per via del formato (insolito) utilizzato non essendo esso riportato sulla pubblicazione (Cfr.: L. 47/1948, art. 2); m’interessa giusto quello e non chi il comune di Avezzano dovrà liquidare.

Buon anno nuovo, ancora.

martedì 27 dicembre 2016

Fine anno

L’ultimo post dell’anno e non ho voglia di elencare le cose che mi hanno colpito nel 2016. È stato un anno particolare, tra ‘sora nostra’ andata giù pesante con persone che ho trafficato in modi diversi durante la vita e alcuni luoghi cui sono legato e devastati tra Umbria e Marche – di recente, anche Berlino. C’è una sorta di buco nero tra agosto e questi ultimi giorni. (Poi c’è stato qualche mese in cui ho chiuso il blog perché mi ero almeno stancato).
L’anno prossimo farò una cosa che non mi è mai capitata di fare su questo blog: seguirò la campagna elettorale per le nostre Amministrative (maggio). Mi sono lamentato in qualche occasione per l’assenza o la disinvoltura su determinati temi nei programmi elettorali e a maggior ragione durante la vita amministrativa, frutto di una scarsa conoscenza della città che si vuole governare. Scriverò – se ve ne sarà bisogno – le lacune più rilevanti dei programmi che circoleranno. (Non è detto che circoleranno, calcolando gli ultimi quattro anni circa spesi dalla politica locale nel costruire nuove alleanze e dislocare truppe fresche in posti strategici). Non ho idea del risultato che otterrò, se sarà essenzialmente una lista dei miei desideri. (Mi sono legato al dito il silenzio della politica locale sulla cosiddetta ristrutturazione della Collodi).
La nota positiva degli ultimi giorni è che non mi trovo tra le persone più influenti della zona, secondo la classifica di MarsicaLive.
Stamattina ho visto un paio di panchine (di pietra) messe fuori uso a piazza Torlonia – lato via Roma. Servirà a far capire agli amministratori che è ora di chiuderla nelle ore della notte, che recintarla è un affare – in termini di quattrini – nel medio periodo? Certo che no.

Ringrazio chi mi segue e buon anno a tutti. (Sì, lo so che qualcuno di voi ha già festeggiato mentre altri devono ancora aspettare).

domenica 18 dicembre 2016

Notizie che non lo sono

Mi è capitato di leggere questo, il mese scorso: «chi ha visto, seppur di sfuggita, la circolazione di una megalopoli dell’Estremo Oriente […] capisce che esiste una possibilità radicalmente altra nell’arte di gestire il flusso. All’incrocio non c’è semaforo né altra segnalazione. Nella massa enorme delle biciclette, degli scooter e dei veicoli più disparati che, incrociandosi, non cessano di sbarrarsi la strada, nessuno si ferma ma tutti continuano ad avanzare, sempre più vigili: ognuno preannuncia a colpi di clacson che sta passando ma lascia anche passare, evita costantemente l’altro ma senza sbandare, contemporaneamente cede e avanza» (F. Jullien, Essere o vivere, Feltrinelli 2016, p. 126).
Alla metà di questo mese ho letto qualcosa che mi ci ha fatto ripensare in qualche modo. Un paio di testate giornalistiche, hanno raccontato – una in termini a dir poco allarmistici – d’ingorghi legati al nostro mercatino natalizio. Una mia domanda invece è stata: sono stati registrati degli ingorghi al centro d’Avezzano per via del mercatino – esteso per cinquanta metri – di via C. Corradini in quel pomeriggio? Ingorgo vuol dire che su un’autostrada non si riesce a raggiungere la velocità di 129,9 km/h, su un’extra-urbana principale i 109,9 km/h e in città i 49,9 km/h. L’esperienza quotidiana m’insegna che la zona centrale (dove vivo) è ingorgata per diverse ore, almeno da quando sono stati ridotti i marciapiedi (Spallone, 1996). È consigliabile anche uno sguardo al Piano traffico (2002-03) – è stato meritoriamente messo in rete dall’Amministrazione comunale – per avere un’idea dell’«età» di tale fenomeno, della sua ampiezza. (Si estende oltre il Quadrilatero). È uno studio ufficiale seppur datato e dovrebbe essere adottato in tutti i sensi dal Comune. Era perciò una notizia? No!
È un problema? A tal riguardo che idea abbiamo noi del traffico? In una società industriale come la nostra – anche in quelle precedenti, è bene scriverlo – si dà la priorità alla circolazione delle merci, perché qualsiasi insediamento umano non riesce a procacciarsi in loco, tutto quanto gli serve per tirare avanti; si amplia perciò una strada, un’arteria per farci passare più merci e non certo un numero più alto di vacanzieri, pellegrini, discotecari, gente che va all’ipermercato, in giro per musei o all’università. Nel caso particolare, deve essere sempre assicurato il collegamento del Fucino (industria, agricoltura) con l’autostrada: il resto, conta meno. (Un personaggio locale che un giusto paio di anni fa voleva ridurre ancora i marciapiedi di via C. Corradini dovrebbe sapere tra l’altro, che una corsia è larga almeno 2,70 metri).
E poi, agli avezzanesi non è importato nulla di lasciar abolire il senso unico sui due bracci interni della Tiburtina Valeria e perciò di abbassare la velocità commerciale dei veicoli – per restaurare, immagino, i vecchi cari ingorghi di qualche anno prima e di cui sentivano probabilmente la mancanza: i miei compaesani non vivono con i minuti né tantomeno con i secondi contati.

Chiacchierando in giro con le persone che incontro, ho notato alcuni malumori legati ai mancati introiti nelle casse del Comune dei parcometri nel periodo 20 dicembre 2016-6 gennaio 2017; non si sono registrate polemiche per questo, pubblicisti che hanno strepitato sui mass media da noi – of course.

mercoledì 14 dicembre 2016

Folclore (quasi) urbano

Non scrivo da anni sul «Natale» e l’ultima volta che mi è capitato è stato sulla rivista diocesana (Il Velino). Immaginavo tra l’altro, che la trasformazione da festa religiosa in occasioni di consumo – regali, abbuffate, balli, canne, settimane bianche, botti di Capodanno, bevute, viaggi all’estero, frastuono –, potesse per sé infastidire i cristiani, i cattolici che credono profondamente. (Io lo ignoro, essendo agnostico). È political correctness, buonismo il mio? Ritengo di no. Invitando a cena un vegano d’altra parte, mi premuro di andare incontro ai suoi gusti, di non urtare la sua sensibilità.
Ci hanno pensato altri, quest’anno. Come hanno trattato l’argomento?
In genere ci pensano le associazioni dei commercianti a dare avvio alle danze, annunciando l’arrivo in città di venditori abusivi e di accattoni, poi proseguendo con le loro richieste all’Amministrazione comunale. (Si tratta di far sospendere l’area pedonale festiva parziale per alcune settimane e di non far pagare i parcheggi).
Parto dall’assessora al Commercio che illustra le iniziative del Comune – il comunicato è facilmente reperibile nel web, leggetelo tutto: «l’Amministrazione ha scelto di confrontarsi con i commercianti e prendere la sua decisione in relazione alle esigenze delle famiglie avezzanesi». Resta la curiosità – al sottoscritto, s’intende – di conoscere come Fabiana Marianella abbia compiuto tali operazioni, in particolare ad avere un’idea tanto chiara delle esigenze delle famiglie: hanno convocato i capifamiglia, le mogli, i figli, le amanti? E le coppie gay? Chi coabita? (Beccatevi pure il seguito – i grassetti sono miei: «Dall’8 dicembre, […] il centro della città risplende grazie alle sfavillanti luminarie»).
Ha smosso le acque Marsicanews, che la prende in qualche modo con i commercianti che non gradiscono lo spostamento delle baracche dal catino di piazza Risorgimento, in via C. Corradini. Scrive, tra l’altro: «E sì che l’idea era buona [il suddetto spostamento]: infilarsi nel traffico caotico nel periodo pre natalizio per passeggiare tra i mercatini, […] magari portando con sé i più piccoli, al sicuro nell’isola pedonale, avrebbe rappresentato un indubbio incentivo per le famiglie», [Red.], L’assessore Marianella Ad Avezzano il Natale più bello di sempre”, ma per i commercianti tutto deve restare com’è, in «Marsicanews» 9 dicembre 2016. (È un indubbio atto di coraggio su una testata giornalistica, considerando la zona).
A seguire un’altra immagine poetica*: «Il centro della città diventava un enorme albero di Natale, luci e palline erano rappresentate dai cento negozi tutti aperti», P. Palladini, Le luci di Natale non riescono a coprire il buio delle vetrine vuote, in «AvezzanoInforma» 10 dicembre 2016. *(La prima era contenuta nel pezzo precedente: «una dozzina di casette di legno contribuiranno a donare alla città la magia dell’atmosfera natalizia» – è mio il grassetto). Poi prosegue con un paio di brani che la dicono lunga sulla mentalità locale: «l’asfittico dibattito su isola pedonale SI o isola pedonale NO, ha fatto sì che non si pensasse ad altro senza capire ed accorgersi che intanto il centro commerciale naturale di Avezzano stava morendo inesorabilmente»; c’entra la «politica che non ha avuto la capacità di immaginare e programmare». È possibile definire dibattito una situazione in cui ci si trova a parlare, discutere in due o più soggetti; non è il nostro caso in mancanza del secondo: è abbastanza facile rintracciare i numerosi comunicati dei contrari mentre è più complicato ricostruire il pensiero dei favorevoli all’isola pedonale. Ve n’è abbastanza a mio avviso, per affermare che si è invece trattato di un monologo. I conti però non tornano in generale: si è cominciato a parlare d’isola pedonale ad Avezzano negli anni Ottanta del secolo scorso, mentre per l’ossimoro «centro commerciale naturale» si sono dovuti aspettare i nostri anni Dieci. (È da rimarcare un ritardo di dieci anni rispetto al dibattito nella Penisola, nei due casi. Segnalate eventuali imprecisioni, ça va sans dire). Ho affrontato la questione sotto diversi punti di vista negli ultimi decenni e affermo da anni, che si tratta di un elemento del repertorio architettonico occidentale acquisito da prima che io nascessi – ho una certa età. (Ho anche scritto di recente che il suddetto elemento non è né una prescrizione del medico né la penitenza del confessore: ognuno è libero d’istituirlo o no). Essere contro la nostra isola pedonale è perciò come avercela contro l’auditorio, lo stadio coperto, il palazzo del ghiaccio, l’ipermercato, la discoteca. Le posizioni in merito a tale tema sono state diverse nel volgere degli anni, ma purtroppo non si equivalgono. («Rossi e neri sono tutti uguali? Ma che siamo in un film di Alberto Sordi?», N. Moretti, Ecce bombo, 1978). Metto in conto il mio stare in disparte, ma trovo il termine «asfittico» almeno ingeneroso e secondo me getta dell’ombra su qualcosa. Per esempio: a vantaggio di chi, è stata impiegata – negli ultimi trent’anni, da Mario Spallone in poi – una quantità di soldi pubblici al centro (ristrutturazioni, restyling, mattoncini, fioriere, feste, panchine, manifestazioni ecc.)? A vantaggio della collettività o di alcuni privati? Inoltre: gli stessi quattrini, sono serviti a rimandare, evitare la chiusura di qualche negozio? (Qui casca l’asino). È facile rispondere no, ma è una domanda un po’ oziosa. Perché?
In Occidente non si è riusciti a frenare tale svuotamento del centro nelle nostre città, iniziato negli anni Ottanta. Non c’è riuscita nessuna democrazia più matura della nostra; pensare di frenare tale fenomeno con le politiche spacciate dalle nostre parti – amplificate dai mass media locali e divenute purtroppo senso comune – è come voler fermare il vento con le mani. D’altra parte che ne sa, che può farci il sindaco d’Avezzano se molti concittadini si recano per le compere nei centri commerciali – quelli veri –, si spostano nei negozi di Roma e Pescara, acquistano su internet? Non solo: c’entra qualcosa le orchestrine, i palloncini colorati, i trampolieri, i mangiafuoco e i clown di Eventi Estate con le nuove aperture di negozi nel Quadrilatero o si tratta invece di persone che ben conoscono il proprio lavoro? Quelli che si spostano di pochi metri dal centro-centro?

Termino con una domanda retorica: gli avezzanesi sarebbero davvero così contenti se per qualche settimana non dovessero entrare i soldi dei parcometri nelle casse del Comune? (Il «centro commerciale naturale» d’Avezzano è un parto della fantasia, in ogni modo).

mercoledì 7 dicembre 2016

We can be heroes, just for one day

Ho seguito come molti da queste parti l’inchiesta sul fotovoltaico, apparsa su Site.it. È stato rilanciato nell’Aquilano e sulla costa tale lavoro (News-Town, soprattutto PrimaDaNoi): si trattava di un fiume di denaro dopotutto. Niente da recriminare con chi da noi ha glissato su tale gigantesca ricerca: ognuno s’interessa, scrive, pubblica ciò che vuole. Sempre? È meglio non esagerare.
Mi è capitato di leggere questo, stamattina:

Francesco Proia, chiede: «Che fine ha fatto questo opificio e perché nessuno, al contrario dello zuccherificio, lo ricorda?». (Per i più pigri: sta parlando della distilleria dei Torlonia). Domanda: a chi si rivolge? Non ne ho idea. Un’altra domanda: è sicuro che «nessuno» abbia mai citato – nemmeno per sbaglio – tali stabilimenti? Ecco, faccio finta d’ignorarlo ma posso assicurare che almeno io ne ho trattato più volte su questo blog – anche sulla carta stampata (Il Martello del Fucino). Le industrie dei Torlonia mi servivano per dimostrare che dopo la Riforma agraria si era tornati all’antica maniera nell’uso del Fucino e si è dovuto aspettare Mario Aureli per avere una situazione (seppur limitata) nella Piana simile a quello di fine Ottocento.