martedì 30 aprile 2019

La storia che si ripete

Un conto è parlare di certi argomenti passeggiando o stando seduti al bar, un altro è in questa sede con persone che non mi conoscono e sono costrette a riferirsi solo a quello che pubblico. Scrivo qualcosa sulla vicenda dello spostamento del mercato settimanale; secondo me andava bene qualsiasi posto: tutto, per niente, in parte al centro, bastava che si lasciassero i tre metri e rotti per i mezzi dei vigili del Fuoco. (Avevo dimenticato di aggiungere: il primo che capita). La proposta di Responsabilità Civica (Aratari, Dominici, Pierleoni, Ridolfi) sembra ispirata da ciò che ho ripetuto più volte in precedenza. Essa è per prima cosa un progetto – nero su bianco –, non un mero opporsi e tutto ciò è senz’altro positivo; è anche diverso dal reclamare genericamente un posto per un’attività – dove per luogo s’intende il centro-centro. A me però, non è mai saltato in mente di chiudere via XX Settembre, la SR 5, l’arteria più trafficata della città per nove, dieci ore una volta alla settimana.
Io ho solo parlato di quei tre metri e rotti più l’ingombro di uno stallo, mentre nel caso di cui mi hanno chiesto di scribacchiare qualcosa, rientra anche dell’altro: le esigenze degli ambulanti fatte proprie da chi, invece, è un amministratore. (Oltre a richiedere la vicinanza dell’area del mercato settimanale a negozi e bar, perché non aggiungere una chiesa del Quattrocento, una ruota panoramica e una villa palladiana?).
Si è ripetuta – in tale occasione – la vicenda dell’anello a senso unico poi rimosso: esso era comodo per chiunque avesse dovuto semplicemente aggirare Avezzano. (Erano numerosi, non pochi). Vinse allora la democrazia d’accordo ma anche il provincialismo, la città barricata nel perimetro del Quadrilatero.

Spero che nei prossimi trenta giorni, si giunga a una soluzione per accontentare le due parti principali (Amministrazione comunale, ambulanti). Insisto, bisogna lavorare di rolletta più che tirar fuori amenità come «storico mercato».

domenica 28 aprile 2019

Tanto per riprendere

Non ne ho molta voglia in realtà. «I giornalisti esagerano sempre» recita un vecchio andante del senso comune; si può dire altrettanto anche per altre figure. Ho pescato questo pezzo: «Adesso, nell’ora del bisogno, il sindaco abbandona chi gli ha fatto da prestanome per progetti scellerati come il mercato, la pista ciclabile e il T-Red, e riscopre gli amici che lo hanno sostenuto». (È mio il grassetto; il brano citato si trova in G. Antenucci, Crisi in Comune, Ceglie (Pd): il re è alla ricerca di una nuova corte, tutto cambia per nulla cambiare, in «MarsicaLive» 27 aprile 2019). Non ricordando male: Crescenzo Presutti, uno che si è speso molto pubblicamente per la nuova pista ciclabile, è l’unico assessore rimasto al suo posto. Approfitto nuovamente del dizionario Treccani on-line:
«scellerato (ant. scelerato) agg. [dal lat. sceleratus, part. pass. di scelerare «macchiare con un delitto» (der. di scelus scelĕris «delitto nefando, misfatto»)]. – […] 2. Di atto, pensiero, comportamento, che procede da animo malvagio o si prefigge un fine criminoso: una voglia sc., propositi sc., uno sc. disegno; fare una vita sc.; pentirsi delle proprie sc. imprese; don Rodrigo provò una scellerata allegrezza di quella separazione, e sentì rinascere un po’ di quella scellerata speranza d’arrivare al suo intento (Manzoni)».

Orbene: T-Red è un dispositivo, un marchingegno che serve in buona parte a punire l’automobilista che passa con il rosso; la pista ciclabile è un’invenzione degli ultimi quarant’anni per disincentivare il traffico motorizzato privato e abbassare l’inquinamento atmosferico; lo spostamento del mercato settimanale è un atto opportuno quando non dovuto – di là della soluzione. (Per cantarla con Pete buonanima: ‘Which side are you on?’).

sabato 20 aprile 2019

Un'aggiunta

Chi ha sfogliato Il Centro del 15 aprile, avrà sicuramente notato anche un pezzo dedicato all’arrivo dell’azienda abruzzese Trieste Pizza in queste parti. Prendo in proposito un pezzo dal web – è più controllabile per chi mi legge: «il marchio ha scelto non un centro o un parco commerciale ma il cuore della città, Piazza Risorgimento, nella sua nuova veste, più bella per i giovani del posto ma anche per chi viene da fuori», in F. Falcone, Il brand Trieste Pizza arriva in città e dichiara: restyling centro fondamentale per la nostra scelta, in «MarsicaLive» 15 aprile 2019.
Un paio di riflessioni: la prima. Molti pittoreschi personaggi locali lamentano da anni il declino, la «desertificazione» del centro, mentre chi vive altrove, non ci presta troppa attenzione: conoscono male la città anche loro o hanno il senso degli affari – tertium non datur. Da anni migliaia d’italiani emigrano per trovare una situazione economica migliore – è sufficiente questo titolo, M. Maroni, Emigrati, 2018: fuga dall’Italia. In un anno via in 285mila: siamo tornati ai livelli record degli Anni 50, in «IlFattoQuotidiano» 2 agosto 2018 –, mentre quelli che giungono da noi, da mezzo mondo, risolvono a loro volta lo stesso problema. (La seconda). Tal esercizio occuperà – a quanto mi è stato riferito: non ho controllato ma non è molto importante – lo spazio di due negozi: Yamamay ed Egar; il secondo, a differenza del palindromo, aveva già inglobato – nel periodo di apertura in quel posto – un altro locale. A quanto ammonta la metratura di un locale in periferia o poco più in là? Ho già raccontato degli obsoleti, risicati spazi nel Quadrilatero (residenza, artigianato, studio, commercio), difficili da piegare alle esigenze di chi vuol utilizzarli ai nostri giorni: dovrà tenerne conto il nuovo Prg.
La pista ciclabile c’entra perciò come i cavoli a merenda con gli affari dei commercianti – lo sa bene anche chi afferma simili baggianate. La scuola media Corradini, alla fine, sarà trasferita; i bar che nel periodo scolastico lavorano con i ragazzi – soprattutto i loro genitori –, chiederanno l’«incasso di cittadinanza»?

(Sto qualche giorno senza pubblicare).

venerdì 19 aprile 2019

Il terrore dei sette pari

(Roba meno vecchia – avevo scritto il post precedente nel gennaio di quest’anno, per le Regionali). È terminata la vicenda del ricorso al Provveditorato interregionale alle Opere pubbliche riguardante la regolarità della nuova pista ciclabile. (Se n’è saputo qualcosa lo scorso 13 aprile). È uscito un pezzo sulla carta stampata, quella che maggiormente leggono gli avezzanesi ma nonostante ciò, nessuno anche in questo caso ha cantato vittoria davanti al pubblicista. (Nonostante una certa loquacità mostrata negli ultimi mesi – m.s., Pista ciclabile, le pecche da sanare, in «Il Centro» 15 aprile 2019). È comprensibile il silenzio dell’amministrazione De Angelis; i consiglieri comunali ricorrenti – li pesco dal Centro: M. Babbo, C. Carpineta, D. Di Berardino, G. Di Pangrazio, F. Eligi, G. Gallese, R. Verdecchia – anche M. Verrecchia –, non hanno finora festeggiato pubblicamente pur avendo ottenuto qualcosa. Nessun rumore di tappi di spumante finora – per quello che so –, anche presso il Comitato commercianti del centro e Confcommercio.
Che si sia trattato di un onesto pareggio? Più no che sì; la mia domanda è, infatti: che se ne fanno i soggetti ricorrenti, gli attaccanti di un simile risultato? (Dopo diverse settimane di catastrofismo sparso sui mass media – in ottima compagnia). Come spendere a breve questo risultato a livello politico – anche d’immagine – nei confronti dell’Amministrazione comunale, degli avezzanesi?
Chi ha protestato per il nuovo tracciato ha battuto anche il tasto dei soldi sprecati. Il Comune ha ricavato un altro chilometro e mezzo di piste ciclabili con altrui risorse e adesso – per l’esito del citato ricorso da loro promosso – si ritrova, invece, a sborsare le proprie per l’adeguamento. Sono questi altri quattrini dispersi al vento secondo il loro modo di ragionare ma questo il singolo «contestatore», non lo scriverà mai.

La politica ad Avezzano è in parte, fare i dispetti, rompere le palle – mi si passi il francesismo. (Non mi riferisco alla situazione – da ieri – dentro l’Amministrazione comunale).

mercoledì 17 aprile 2019

Povero tempo nostro

Mi è capitato di ribattere provocatoriamente a chi imputa il (presunto) calo delle vendite nei saldi invernali alla pista ciclabile nel centro, che ciò è invece dovuto al calo di popolazione e perciò di clienti: sarà almeno così, nei prossimi tre decenni. Non ho ragione io ovviamente, ma nemmeno i miei interlocutori perché la situazione è più complessa in entrambi i casi e non solo perché evito di aggiungere che il mio ragionamento è a scala comprensoriale.
La base da cui parto è costituita da nudi e scarsamente attraenti dati o proiezioni pubblicate dall’Istat nei mesi passati, mentre gli altri fondano generalmente le loro convinzioni sulle emozioni indotte dai comunicati-stampa, le chiacchiere al bar o al negozio, le espressioni facciali. Le fredde cifre, nel caso di Avezzano, lasciano il tempo che trovano per la loro debolezza comunicativa: chi vuoi si accorga che in una cittadina di 42mila abitanti e dispersa in vari brandelli, ne mancano nemmeno cinquanta nel giro di tre anni? È invece diverso per la stessa cinquantina, nello stesso arco temporale, in un paese compatto di 4-5mila abitanti, dove ci si conosce all’incirca tutti. La questione nel secondo caso è: perché non se ne parla mai? Anche: perché non se ne tratta nei singoli comuni, nelle varie aree che costituiscono il comprensorio? Non se ne discute perché ogni piccolo paesino è concentrato sul proprio campanile, com’è da secoli; è esclusa a priori l’ipotesi che quel luogo possa spopolarsi e rimosso il fatto del numero dei residenti diminuito, l’età media della popolazione innalzata. Il capoluogo marsicano, da parte sua, dovrebbe porsi ugualmente degli interrogativi per aver drenato negli ultimi decenni dei nuovi residenti proprio dal circondario e attira tuttora una cospicua massa di clienti per i suoi numerosi negozi, studi professionali, locali e laboratori artigiani. (È bene citare anche l’ospedale, le scuole superiori e il tribunale). È questa solo una prova per dimostrare quanto sia superficiale, da decenni, l’uso locale del termine «territorio» e delle locuzioni «Marsica Orientale» e «Marsica Occidentale».
È iniziata in ritardo la campagna elettorale per le prossime Regionali e nessuno, finora, ha posto il problema dello spopolamento dell’Abruzzo – oltre 3mila abitanti l’anno. Spulciando i dati, spicca anche l’alta percentuale dei nostri laureati che abbandona la regione. È stato invece proposto il solito canovaccio agli elettori; i leader politici – anche nazionali – si sono prodotti in delle improvvisazioni immersi nel fondale di qualche situazione che funziona. Hanno evitato di farsi fotografare, che so, davanti a una casa ancora non ricostruita o demolita dopo il terremoto nell’Aquilano del 2009, il piazzale di una fabbrica con i suoi dipendenti in cassa integrazione o una strada interrotta da una frana. Comprendo che per molti tale tema può essere considerato non al primo posto come per il sottoscritto, ma tra la prima, la seconda o la terza posizione e il fuori classifica ce ne passa. Quale ripresa si propone per l’Abruzzo se gli attori principali o almeno i soggetti privilegiati – i giovani –, continuano ad abbandonarla? Ponendo nei territori la questione del lento ma inesorabile calo di popolazione, i partiti (vecchi, nuovi, emergenti) e le liste elettorali sarebbero costrette a trattarla, in qualche maniera, nelle varie sedi. (Nella scelta del governatore di Regione, tra l’altro, c’entra meno – seppur di poco – il clientelismo rispetto all’elezione del sindaco: vi è più spazio per il voto d’opinione).

(Il Martello del Fucino, 2 2019, v.o.)