mercoledì 24 ottobre 2012

KsLT 24

«Scoppia la rivoluzione e non ho nemmeno uno straccetto da mettermi addosso!».
Scrivo qualche altra osservazione sulla reazione alla sentenza del Tar che ha messo in pericolo la discarica di Valle dei Fiori, dopo le righe apparse su Il Martello del Fucino 7/2012. Più di una testata si è mossa sui binari «aumento della Tarsu» e «emergenza-rifiuti». E’ stato suonato l’allarme da parte d’alcuni giornalisti marsicani e i fedeli lettori di tali testate hanno ben risposto.
Tanto rumore ha coperto la notizia vera e propria. Molte persone ignoravano la vicenda (tutta) «Valle dei Fiori» e la fresca sentenza della magistratura amministrativa ma temevano un aumento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti. Non ho sentito nessuno credere alla possibilità che Avezzano si potesse ridurre come Napoli dall’oggi al domani: era una balla troppo grande.
Tar e WWF – nella mente dei miei compaesani –, sono corresponsabili nelle future crisi legate ai rifiuti, non gli amministratori che hanno eletto per decenni e che hanno fatto poco. «Il sindaco di Pescina, che cosa farà adesso?», si chiede il catastrofista medio. E’ difficilissimo da leggere, da capire e da commentare il contenuto della sentenza, che ha bacchettato Regione e Arta, per l’establishment. Si solidarizza con il criminale e si dà addosso al magistrato che lo fa arrestare, anche in questa landa decadente. Trovo indecente tutto questo, in questa occasione. I marsicani in quanto europei: «vivono nella denegazione del tempo, dei fatti» per dirla con Barbara Spinelli il 27 luglio, su Repubblica.
Chi ha un briciolo di cervello (non di più), sa che è saggio evitar di costruire discariche del genere a quella quota, perché più si sale più ecosistemi fragili s’incontrano.

KsLT 23

(Lavoro 1). Evito di trattare in generale, questioni come quella dell’ex-Burgo, perché sono faccende molto «italiane» e quindi abbastanza aggrovigliate. Nel nostro modo di pensare, noi siamo abituati a considerare gruppi eterogenei (operai, amministratori, imprenditori, sindacalisti, ecc.) come se fossero un unico insieme,
come se tutti avessero gli stessi interessi e obiettivi simili. Tale confusione ci mette in crisi davanti a dei semplici fatti come un imprenditore che delocalizza o – più semplicemente – chiude la fabbrica perché non ne può più.
In casi del genere io chiederei il motivo della partenza a chi ha abbandonato un’azienda in tempi che non sembrano sospettabili. Impiegati, operai, autisti, ma soprattutto quadri. Interrogherei quelli che se ne sono andati, uno, due, cinque o dieci anni prima del manifestarsi di una crisi. (Nel senso: del manifestarsi agli occhi di tutti. Chi la sa lunga, guarda la data dell’ultimo investimento per rendersi conto se un’azienda naviga in buone acque o va alla deriva).
Mi piacerebbe sapere dopo quanti secoli scompare la produzione della carta nella Marsica.
(Lavoro 2). Uno dei maggiori danni di Berlusconi ai cervelli italiani è stato, l’inglobare figure le più disparate nella categoria degli imprenditori. Costruire macchinari di precisione è diverso dal gestire un centro sportivo, dall’aprire un’agenzia assicurativa, dal tenere un agriturismo, dall’operare nel settore immobiliare.
(Lavoro 2bis). In questi giorni ho cercato il sito di un ristorante con il motore di ricerca. Non l’ho trovato ma so che c’è e che sta per partire. L’ho visto citato in più di un sito d’offerte di lavoro; si cerca un cuoco e un cameriere.
Ho notato in uno di questi, sulla destra della pagina dei tags e mi sono sembrati strani per sé e per certi contenuti. (Il nome del sito era inequivocabile). Ho continuato a spulciare le ricorrenze e mi sono imbattuto, di nuovo, su quella pagina e che i tags erano cambiati. Ho seguito per un po’ tale avvicendamento e adesso, vi trascrivo una parte dei tags: non sono tutti così, ovviamente. Rimane il fatto, che si trovano su un sito d’annunci di lavoro.
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KsLT 22

L’avvicinarsi della raccolta differenziata al centro, mi ha spinto a sbarazzarmi di tanta carta che avevo ammucchiato negli anni.
Ho eliminato una decina di numeri di La rivista del Club alpino italiano, della seconda (scialba) serie di ScienzaEsperienza e di Alfabeta2. (Via anche dei rimasugli dei Quaderni di MicroMega, Diario, Strategia e Linea d’ombra – ho salvato giusto un saggio di George Steiner).
Ho buttato qualche migliaio di fogli (bozze di stampa), che io mi ero promesso di riutilizzare come carta da schizzi e ridotto in striscioline alcune pellicole per la stampa. (Alcuni studi forniscono direttamente le lastre per la stampa, ai nostri giorni).
Mi sono liberato di migliaia d’immagini da impiegare come atlante (ogni illustratore dell’epoca pre-Internet ne possedeva uno, voluminoso), sia come materiale per i miei collage.
Ho fatto fuori anche i quaderni delle medie: a quei tempi si studiava geografia e seriamente. Andavo bene in latino e in disegno... erano i segni premonitori della vita che avrei fatto. Ho notato che sul quaderno di Storia avevo incollato diversi disegni di Sergio Toppi (1932). Ho trovato numerose testimonianze dell’entusiasmo (molto) precedente lo sbarco sulla Luna ...della mia avversione a Celentano – i Beatles erano spuntati da otto anni!
Durante tale opera di revisione – anche mentale – ho ripescato un vecchio libro: Stato di eccezione (Agamben, 2003). E’ l’ultimo di una serie di scritti sull’argomento dallo stesso autore: il primo è Homo
sacer (1995). Nelle settimane passate ho polemizzato in privato sulla «nuova» isola pedonale della nuova Amministrazione. Nella nuova forma è cresciuta la durata ed è diminuito il numero dei giorni in cui è in vigore: essa è revocabile per maltempo e nel caso qualcuno lo richiede (manifestazione, festa, saldi, periodo natalizio, ecc.).
Il mio pensiero è rimasto identico: preferisco una chiusura anche breve del traffico motorizzato, anziché una prolungata e revocabile per i motivi più disparati – ad insindacabile giudizio dell’amministrazione comunale. (Tutto ciò, ha il sapore inconfondibile della concessione).

lunedì 15 ottobre 2012

KsLT 21

La mia esperienza mi fa rammentare il tempo in cui alcuni industriali del Nord, sistemavano i loro impianti oltre la «linea del Tronto» perché avevano meno problemi con le Asl. Esiste una cospicua letteratura che racconta come per anni molte fabbriche del Nord-Italia hanno smaltito illegalmente e a poco prezzo i loro rifiuti tossici al Sud, con il concorso della camorra. Gli inceneritori del Settentrione seppelliscono le ceneri tossiche intorno agli impianti, nel circondario o altrove?
Un’area «forte», spinge i propri problemi verso un’area «debole»: il movimento no-global di una dozzina d’anni fa ha scoperto l’acqua calda con il rendere visibile tale meccanismo tra il Nord e il Sud del mondo. Si parlava della complicità dei tiranni e delle oligarchie locali nelle azioni delle multinazionali, che avevano messo nei guai le popolazioni del Terzo mondo. La lacuna di Gomorra – è un libro importante –, risiede nel non nominare gli amministratori, i politici: un conto è gestire la prostituzione, le slot-machine o il mercato dell’eroina, un altro conto è costruire un inceneritore, una mega-discarica o un centro commerciale.
Torniamo alle immagini dell’Appennino, anche in questi casi così simili e talvolta sovrapponibili tra chi lo abita e chi invece, no; tra chi ci vuol restare e chi ci vuol far solo quattrini.
L’inceneritore (famoso) di Brescia serve una popolazione di poco inferiore all’abruzzese, che vive concentrata in un’area estesa nemmeno la metà della nostra (provincia di Brescia 4.784 kmq, Abruzzo 10.763 kmq). Una zona come Brescia produce rifiuti diversi – per quantità e qualità –, da quelli della costa abruzzese e, a maggior ragione, dell’Abruzzo interno.
Domanda 1: perché non impiantare, nel 2007, la torcia al plasma italiana nell’industrializzata Emilia o nell’allora pimpante Nord-Est anziché ad Avezzano?
Domanda 2: perché non proporre l’inceneritore abruzzese in una zona densamente popolata della costa anziché ad Avezzano? (I prodotti del Fucino, sono trattati nei luoghi di produzione dentro la Piana e non in Molise, nelle Marche o nel Lazio).
L’ideologia costruita intorno all’operazione PowerCrop (il vezzeggiativo «termovalorizzatore», il presunto indotto, i 15 posti di lavoro, ecc.) non copre soltanto degli interessi inconfessabili, ma anche i rapporti di forza (di tipo politico) tra Avezzano e l’Italia, Avezzano e la Regione, Avezzano e L’Aquila, Avezzano e Celano. (Rapporti di forza, tutti sfavorevoli per il capoluogo marsicano). (2/3)

KsLT 20

1) Copio-e-incollo da una nostra testata on-line: «La magnifica Riserva naturale, comprendente un’area di circa 722 ettari, è regno del Pino Nero e dei Castagni; dalla primavera le vallate e le dorsali assolate, si ricoprono dei fiori gialli del salvione; in essa albergano la Poiana, il grifone, lo scoiattolo meridionale (che è
stato scelto come simbolo della riserva) l’istrice, il cervo, il Capriolo, e il cinghiale, la lepre, la volpe» – 30 giugno.
Ho solo aggiunto qualche spazio, quando serviva ed eliminato qualche altro superfluo. (Manca il riferimento alla fonte: non dovrebbe guastare l’effetto comico). L’oggetto dell’articolo, è il monte Salviano.
2) Cento anni di Woody Guthrie (1912-67). Lo sanno quei buffi personaggi che hanno tradotto ‘This land is your land’ per l’ultima campagna elettorale, da noi? Le ultime due strofe inedite?
3) Sono stato trattato con tutti gli onori ieri alla presentazione del volume di Sergio Natalia sul suo paese – Canistro tra mito e storia. (Vestito in modo molto informale, alla mia maniera: qui non mi guarderebbe in faccia nemmeno una commessina da 500 euro il mese).
C’è solidarietà e collaborazione tra gli abitanti della valle del Liri. Sentono che stanno fabbricando un qualche cosa.

KsLT 19

Puoi capire qualcosa degli abitanti di un posto studiando gli idoli che essi fabbricano.
Mi sono trovato a ricordare qualcuno che non c’è più, attraverso le strategie che utilizzavo nei suoi confronti, nel lavoro.
Correggevo un pugno di libri l’anno e una rivista (Site.it/Marsica – ci pubblicavo anche un disegno ogni numero). Lavoravo sulla rivista direttamente al computer mentre per i libri che non curavo direttamente, segnalavo gli errori sulle bozze di stampa. Nel caso particolare, segnavo alcuni errori con la penna rossa e altri con la matita: i primi erano da correggere mentre sui secondi si poteva sorvolare, pur essendo degli errori. Utilizzavo la matita in modo molto diplomatico per mostrare errori di tipo diverso da quelli che mi competevano. Capitava di veder attribuito un importante avvenimento agli anni Cinquanta mentre io lo ricordavo (lo collocavo) distintamente in una metà degli anni Sessanta.
Il mio lavoro seppur istituzionale e utile, non era apprezzato: l’interessato non prendeva bene i fogli che io gli rendevo «ornati» in quella maniera vistosa. Restava male che qualcuno annotasse i suoi errori d’ortografia ma soprattutto le (frequenti) lacune. Era infastidito dal fatto che una persona normale, insignificante, subordinata potesse avere da ridire sulle sue elucubrazioni. Chi ero io, da potermi permettere il lusso di criticare un personaggio investito d’autorità dai suoi compaesani? Uno che sembrava agli occhi dei fucensi una persona autorevolissima? (Per la città e il circondario anche allora, io non ero nessuno, a differenza di quella persona, che passava per molto colto).
Buona parte degli errori segnalati a matita, finivano per essere stampati, così com’essi erano stati scritti o ripresi da edizioni precedenti. (Conservo ancora dei curiosi bigliettini con le sue stravaganti raccomandazioni di tipo editoriale; il pezzo forte della collezione mi riguarda direttamente: in esso sono definito «arrogante», oltre ad altre gentilezze del genere).

mercoledì 10 ottobre 2012

KsLT 18

Il Tirreno (www.repubblica.it) del 10 giugno: «Camaiore, lo spettacolo dei tappeti di segatura» – seguono le foto.
Per anni ho dovuto chiamare la stessa cosa con il termine «insegaturata» giusto tra amici stretti: a Magliano dei Marsi la chiamano ancora (pomposamente) infiorata, anzi: «Florales».

KsLT 17

Dopo le nevicate di febbraio, qualcuno ha scoperto di vivere in montagna. Un’amica diceva: «Da quando abito qua non ho mai pensato di comprarmi un piumino, eppure siamo in montagna». La montagna era tirata in ballo anche discutendo della mancanza di un piano-neve: era già successo con le nevicate del dicembre 2010. La presenza costante del cinghiale nei video sparsi nel web, faceva piazza pulita di lupi, orsi, scoiattoli e aquile stampate sui marchi di parchi e riserve naturali: il simbolo degli Appennini era solo lui.
E’ materia di storici comprendere come si è prodotta una tale rimozione sia a livello nazionale e sia a livello delle stesse popolazioni montane. Io ho giusto qualche idea.
Gli italiani hanno un’immagine dell’Appennino dovuta essenzialmente al turismo estivo, alle case in multi-proprietà, ai condomini, alle piste da sci, agli alberghi in quota, alle settimane bianche. La montagna è un luogo di villeggiatura a costo contenuto, ormai. Ai villeggianti restano impressi nella mente i mirtilli, le fragole, i funghi e i tartufi ma non fanno caso a molto altro come boschi, metalli, acqua, pascoli, animali selvatici e domesticati, pietra e campi coltivati. Per non parlare degli abitanti...
Il cosiddetto marketing territoriale favorisce non solo l’afflusso di capitali dalle grosse città situate sulle coste, ma anche comportamenti, usanze e tic elaborati altrove. Dopo l’epoca della pastorizia transumante, è iniziato il lento declino degli Appennini.
Nel volgere di pochi anni nel secolo scorso – tra Rivoluzione verde e industrializzazione al Nord-Italia –, si sono svuotate numerose vallate del Meridione e dell’Italia Centrale. I montanari preferivano scendere in pianura o in città, andare al Nord o all’estero. Essi volevano semplicemente vivere in città, dove si
guadagnava di più e la vita era meno dura, per sé e per i propri familiari.
Si percepisce la montagna solo in casi eccezionali, da parte di chi ci vive e di chi ci arriva per le vacanze. Non si scrive più, si canta, si racconta o si parla della montagna. Sono scomparse le streghe, i fantasmi e i «mazzamurelli» – spiritelli marchigiani d’importazione.
L’ultima immagine recente di montagna che ho trovato su un libro, si deve a Giorgio Bocca. Il Piemonte degli anni Quaranta, nella cronaca del giornalista, era separato in due dischi – come una torta. I partigiani controllavano il «disco» superiore, mentre la pianura e le città, erano dominate dai fascisti e dai tedeschi. (1/3)

KsLT 16

L’Impero... I cinema del posto, mi hanno dato lo stimolo per conoscere il cinema. L’Impero mi ha fatto spendere un sacco di soldi in viaggi, da giovane per il taglio della sua programmazione.
Me n’andavo altrove a seguire una rassegna cinematografica e nei periodi passati in altre città, m’ingozzavo di film sapendo che sarei tornato in un posto in cui giungevano rare buone pellicole – nonostante le quattro sale aperte. Tra i passatempi più proficui dell’adolescenza, annovero l’organizzazione di cineforum – nonostante le quattro sale aperte e la lunghissima permanenza delle pellicole nelle sale cinematografiche, rispetto ad oggi.
E’ stata una soddisfazione sapere che l’avrebbero chiuso l’anno passato, che io gli sono sopravvissuto. (La demolizione è iniziata il 25 giugno. La ristrutturazione da cinema a multi-sala nel 2001, era stato un primo succulento assaggio. Nessuno proferì verbo allora, perché gli avezzanesi ignoravano la differenza tra cinema e multi-sala; tra un cinema-teatro del genere e una multi-sala. Giovanbattista Pitoni invece afferma sicuro che è: «una delle ultime testimonianze di un’Avezzano che non ha la forza e la capacità di resistere alle conseguenze negative di un malinteso progresso» – «Il cinema Impero 74 anni di storia demoliti dalle ruspe», in «Il Centro» 27 giugno).
Negli ultimi 40 anni l’avrei semplicemente raso al suolo. Io ci avrei fatto crescere l’erba nel rettangolo occupato dall’edificio e nient’altro; farlo tornare come al tempo degli Equi. Ci avrei lasciato giusto qualche capra a brucare e i gatti a prendere il sole.
Era un cinema come tanti e non IL cinema o il cinema della città: non un tema collettivo, ma una normale attività imprenditoriale ed è per questo (dopo la ristrutturazione), che la sua chiusura interessa poco alle persone. (Ettore Ricci rimprovera, nel web: «nella massima indifferenza generale», 27 giugno). Era andato fuori moda agli occhi dei miei compaesani che gli preferivano l’Astra: una multi-sala vera e propria. Non è un pezzo di storia d’Avezzano che se ne va, com’è stato scritto: è un articolo della cronaca o una pagina di diario. Un pezzo di carta ormai ingiallito.
C’è chi gli attribuisce, nella commozione del momento e senza timore di cadere nel ridicolo, addirittura un qualche valore di tipo architettonico.
(Il bicchiere è mezzo pieno. Mi fa piacere che, 8-10 nuove persone verranno ad abitare in un centro che si va spopolando d’anno in anno).

martedì 2 ottobre 2012

KsLT 15

A gennaio, ho scritto dell’«ex-cinema Impero» che stava per sparire.
Giorni fa è iniziata l’opera di smantellamento della struttura: sono partiti con una ruspa dal locale dell’ex-pasticceria, inglobato negli ultimi anni di vita. La gente, come l’ha presa?
Più di uno, si è prodigato a scribacchiare una storia o ha abbozzato dei tentativi di commemorazione e non riuscendovi, ha ripiegato sull’infilare ricordi personali. (E’ molto avezzanese tutto ciò). Lucia Proto nel forum di una testata on-line (MarsicaNews), lo ha definito: «l’unico servizio culturale presente nel Centro di Avezzano» – 9 giugno.
A nessuno è balzato in mente che quel locale ha vissuto un periodo critico lungo oltre la metà della sua esistenza: è stato inaugurato nel 1938 e chiuso nel 2011. (La crisi del cinema e delle sale italiane, risale alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso).
Io non ci mettevo più piede da 3-4 anni e forse per questo ho risentito poco del distacco – se così si può chiamare. Nostalgia per le commedie sexy all’italiana, i peplum, i filmetti catastrofici, i porno, le commedie all’italiana, i blockbuster made in U.S.A., i cine-panettoni, i cosiddetti nuovi comici, i filmini giovanilistici? No, sicuramente. Uscii una ventina di minuti dopo l’inizio di Malizia (Samperi S., 1973) e rimasi in piedi l’ultima mezz’ora di Papillon (Schaffner F.J., 1973), indeciso se andarmene o restare. (Pellicole del genere oggi, avrebbero ben altra dignità).
L’avezzanese medio, va al cinema giusto per farsi «quattro risate».

KsLT 14

Ho inviato un paio di commenti ad un editoriale del 13 giugno, su MarsicaNews. Avrei dovuto picchiar duro su quello precedente del 5 giugno in realtà, dall’eloquente titolo: «Allarme!».
Si lanciano allarmi periodici sulla pericolosità d’alcune lavorazioni nella Marsica e questa volta è toccata a Micron Technology Italia.
Il principale errore nella recente polemica sulla presunta nocività della Micron, risiede nel fatto che sono state comparate due situazioni molto diverse: una «tigre» asiatica ha una storia industriale e politica più breve di un qualsiasi Paese del Vecchio continente. (Anche di relazioni industriali: il diritto alla salute e alla sicurezza non è mai un gentile omaggio dei «padroni delle ferriere»). D.: che conosciamo dei sistemi produttivi della Corea del Sud? Ammesso non concesso che i due sistemi produttivi siano uguali, il numero dei morti alla Micron (anche Texas-Micron) è maggiore, uguale o inferiore rispetto a Samsung Electronics? A parlar chiaro:
quanti sono i morti di «leucemia mieloide acuta» dentro Micron (anche Texas-Micron), in questi anni? Non dovrebbe essere difficile controllare tra i dipendenti trentenni, quarantenni e cinquantenni che hanno perciò un’anzianità di servizio maggiore della «bella ragazza di soli 32 anni» e di altri suoi giovani colleghi. (Ci sono mai stati?).
Vale lo stesso discorso per Telespazio: quanti dipendenti soffrono delle patologie derivanti dall’esposizione a quel tipo di radiazioni? (Chi conosce le patologie derivanti dall’esposizione a quel tipo di radiazioni, da noi? Immagino sì e no lo 0,5% dei marsicani, a giudicare dal numero spropositato delle leggende che circolano al
riguardo – da decenni). E’ senza senso la congettura: «se l’impennata di tumori c’è stata quando è sorta Telespazio, difficile appellarsi alla casualità piuttosto che alla causalità!» – 13 giugno.
In Occidente un qualsiasi lavoratore, conosce i rischi che egli incontra ogni giorno e a distanza di tempo; il lavoratore è una figura centrale nella prevenzione degli infortuni. (Gli imprenditori italiani che investono in Bric, nell’Estremo Oriente o nell’Est Europa, non lo fanno solo per risparmiare sugli stipendi e sui contributi, ma anche perché altrove gli standard di sicurezza sono più bassi, rispetto a noi).
Non poteva mancare, nella polemica scoppiata nel web, un accenno alla pratica del fracking (senza alcuna specificazione), diretto colpevole del recente terremoto in Emilia-Romagna, a detta di qualcuno.

KsLT 13

 Mi capita di passare davanti a negozi chiusi da 2-3 anni, nelle mie passeggiate. Non penso tanto al commerciante fallito o trasferito – i negozi sono migrati in periferia dopo delle fabbriche e delle abitazioni ma prima degli studi professionali –, quanto al proprietario dell’immobile. Il personaggio in questione, è una persona che paga le tasse per non intascare nulla: non ha affatto bisogno dell’attività d’affittare una sua proprietà. (Ricorda l’Ancien régime). E’ una persona che chiede x e basta, dopo qualche anno x + y
e basta: prendere o lasciare.
Un paio d’articoli sul Centro ad aprile (l’8 e il 10), lamentavano il «caro affitti» da parte dei commercianti. (L’anno passato, avevo pesantemente ironizzato sulla categoria che era entusiasta della vendita del plesso Corradini-Fermi per ricavarne una cosiddetta galleria commerciale e nemmeno immaginava che un’operazione del genere avrebbe sconvolto il mercato immobiliare).
Passeggiando dalle parti del nucleo industriale, mi troverei di fronte ad una situazione simile alla precedente: capannoni in attività, capannoni abbandonati e nuovi capannoni. Ci sono dei vuoti – di tipo diverso –, anche in questo caso, mentre lo spreco di suolo è palese in tutti e due i casi. Gli amici marsicani sparsi ai quattro angoli della Terra, che cosa dicono in proposito? I mall sono in crisi nel Nord-America – dove sono stati inventati –, quelli che chiudono i battenti sono talvolta ristrutturati. (Dopo alcuni decenni d’effervescenza, i centri commerciali iniziano a perdere il loro appeal nei confronti dei clienti). Si ristrutturano fabbriche abbandonate un po’ ovunque tranne che in Italia. Silicon Valley è conosciuta per il ricambio continuo delle attività che si svolgono dentro i suoi anonimi capannoni. (Lo spazio nel Nord-America è l’ultimo dei problemi, a differenza della Penisola).
La situazione è diversa per quanto riguarda i negozi ed è legata alla percezione della crisi. In Italia si parla della crisi economica mondiale da circa un anno e mezzo mentre altrove hanno preso a discuterne da quando è scoppiata (oltre 4 anni fa). Da noi si spera ancora in una ripresa del settore mentre Oltralpe, con una densità minore di negozi rispetto alla nostra, non ci pensano minimamente. Si accetta un futuro con meno punti vendita. Nel Regno Unito c’è chi possiede un locale chiuso dalla crisi e abbassa l’affitto; incassa
meno in tal modo e viene incontro ad un nuovo esercente o ad altro soggetto (artista, videomaker, ecc.).