Io ricordo in modo confuso giusto
un paio di episodi legati alla vicenda Amplero, perciò scrivo della stessa con distacco
alla luce degli ultimi avvenimenti. Il primo è una manifestazione alla Ferriera
(Pescina) contro la captazione delle acque, il secondo è un’innocente
passeggiata sopra Collelongo – a metà anni Ottanta – dove mi furono mostrate un
paio di tombe italico-romane; «Volevano farci l’invaso, da queste parti», mi fu raccontato.
Negli ultimi trent’anni l’«impatto
ambientale» è divenuto una procedura, sono stati affinati i metodi per
conoscere lo stato di salute dei fiumi e messe all’opera le Autorità di bacino.
Nonostante tutto ciò, si è ripreso a parlare da noi di vasconi per la raccolta
dell’acqua: come mai? Provo a dare una spiegazione partendo dalla situazione
nazionale.
Le Autorità di bacino entrano
in azione alla fine degli anni Ottanta, mentre in Italia c’è una ripresa del
tema federalista legato alla «tradizione inventata»: una situazione poco
propizia. Come compito culturale, esse dovevano ammonirci circa la vischiosità e
la frammentazione delle competenze nel nostro sistema amministrativo. I fiumi
in Italia sono utilizzati come degli elementi lineari per separare regioni,
province e comuni gli uni dagli altri: un modo cervellotico e il contrario di
un bacino idrografico, dove l’acqua
riunisce tutto ciò che si trova al suo interno (risorse naturali, attività
umane, paesaggio artificiale, cultura). Un’efficace definizione di tale struttura spaziale, così recitava in
quel tempo: «unità di analisi
economico-ecologica».
Le Autorità di bacino hanno
indubbiamente ridotto le manomissioni dei corsi d’acqua ma dovevano esprimere
un’egemonia, indicare una direzione alle Amministrazioni locali. Non è avvenuto
tutto ciò, purtroppo. L’attuale situazione di degrado idrogeologico è frutto di
cinquant’anni di mancato restauro ambientale, di danneggiamento dei fiumi (prelievo
d’acqua e materiale litoide, cementificazione degli argini – anche del letto –,
ecc.), di un uso dissennato del suolo (lottizzazione, villaggio delle vacanze, shopping center). (Si è cementificato da
matti lontano dai fiumi, ma sempre dentro i bacini).
Ho avuto a che fare con
forme di «progettazione partecipata» all’università: essa aggiunge poco o
niente a ciò che si sa. Nel nostro caso (intervista Aqua Piana del Fucino), sono rimossi dei dati che già conosciamo. È
sufficiente consultare una cartina geologica, una mappa dei parchi e delle
riserve naturali, i vincoli della Soprintendenza Baaas, il Piano paesaggistico
(quando c’è), il Piano regolatore e poco altro volendo individuare un’area (qualsiasi)
d’intervento presso uno dei comuni sparsi per la Penisola.
Le domande che ancora pongo sono: 1) quale (a
livello ambientale) la ripercussione sul Giovenco, prelevando «circa» un mc/sec
d’acqua presso Pescina? (È necessario conoscere le portate del fiume in questione per rispondere. Indica quanto –
secondo la Regione – il termine «circa»? 0,9? 0,8 mc/sec?), 2) che cosa succederà
alla località IDK, dopo che saranno
costruiti un paio d’invasi spaziosi quanto dodici campi di calcio?