giovedì 30 gennaio 2014

intermezzo


Ho smesso di suonare Happy Xmas (War Is Over) (Ono-Lennon) da quando è usato come sottofondo per le compere di dicembre. M’infastidisce l’Unione dei Marsi quando cita This land is your land (Woody Guthrie). Considero una sorta di bestemmia che un gruppuscolo post-paleo-fascista faccia finta d’appassionarsi a Demetrio Stratos (Area i.p.g.). (Tanto per rimanere nel campo delle canzoncine).
Ho l’idiosincrasia per zero waste, dopo gli ultimi giorni passati su questo blog, una (avanzatissima) politica dei rifiuti fatta conoscere in Italia – a livello di massa –, da Beppe Grillo. Non voglio più sentirne parlare in italiano.
(«Comunque credo che non esista parola che non possa essere usata, basta che vada al posto giusto». Peter Handke, Aber Ich lebe nur von den Zwischenräumen, 1987).

mercoledì 29 gennaio 2014

This machine kills fascists


Merita una conclusione, il post precedente visto che finora è stato visitato 122 volte e commentato sette. Un autentico botto, per un blog misconosciuto che riceve quotidianamente 11,1 visite.
Non c’era in verità bisogno di ripiegare da queste parti dopo che Franco M. Botticchio aveva sentenziato sulle cosiddette Guardie Ecologiche Volontarie: «quella bozza di protocollo sulla quale si chiedeva alle Amministrazioni di convergere era – ed è – del tutto irricevibile per un ente pubblico […] non era proprio fattibile, per come prospettata» (Facebook). (Il grassetto è mio. Avercene uno come Franco ad Avezzano). Réculer pour mieux sauter? Non direi, visto che poi il salto non c’è stato.
Ho anche notato che le numerose persone che mi hanno visitato nell’occasione, hanno evitato accuratamente di leggere la pagina da cui è stata estratta la frase che ha giustificato il post:
Il secondo commento segnala a ragione la mia (eccessiva) fiducia nelle istituzioni. Io chiedo: come fare altrimenti?
Francesco Eligi scrive che per me: «vedere in campagna dei cumuli d[’]immondizie [è] nulla». Non ho scritto ciò: un frigorifero o una lavatrice appena «smaltita» abusivamente fuori città, tu può tenerla lì anche una settimana, due o tre dopo averlo segnalato a chi compete; non ho certo asserito che può restarci in eterno e senza innescare problemi. (Non giudico il poco commentabile resto: non è nel mio stile).
È stata aggirata con abilità la questione centrale che io avevo posto. In breve: c’è il primo partito della mia città e della mia regione (alle Politiche), che alla vigilia delle Amministrative anziché proporre agli elettori «la piattaforma dei rifiuti più avanzata (zero waste)» – così l’ho definita –, indugia su un populismo di maniera e alla moda. La faccenda mi sembra almeno strana – pur non votando alle Amministrative.
(Ho appreso della morte di Pete Seeger, dopo aver pubblicato il post «incriminato». R.I.P.).   

lunedì 27 gennaio 2014

a gentile richiesta


Scrivo qualche chiarimento su un frammento del mio post del 30 dicembre 2013. È questo: «oggi la politica prova a sfruttare l’azione delle associazioni o a «dare la linea» ed è riferito al convegno del 14 dicembre all’Hotel dei Marsi.
L’intestazione della locandina era abbastanza eloquente, nella sua vaghezza. «DISCARICHE ABUSIVE: LORO INQUINANO, NOI PAGHIAMO!».
Un partito politico (M5s Marsica, nel nostro caso), semplifica delle situazioni, per meglio comunicare alla platea sterminata dei suoi potenziali elettori. A forza di semplificare talvolta, c’è il rischio di banalizzare e di scrivere delle amenità. Mi chiedo invece nel nostro esempio: loro chi? Noi chi? (La prima cosa, la peggiore che noto – in verità – è la confusione tra la lavatrice abbandonata al bordo della strada e il fusto di rifiuti tossici sotterrato). L’esperienza c’insegna anche che non tutti gli inquinamenti possono essere sanati: è inutile tirar fuori dei quattrini per provare a bonificare, talvolta. È necessario abbandonare il posto dove si vive in seguito alla contaminazione di una falda o del suolo – i soldi (pubblici o privati) c’entrano perciò fino a un certo punto.
È invece rimosso qualche decennio della storia recente della questione rifiuti. Le amministrazioni comunali di alcune città settentrionali raccoglievano e rivendevano per conto proprio vetro, alluminio e carta, al tempo in cui mancava un quadro legislativo e lo stesso concetto di «raccolta differenziata» – tanto per dirne una. (Chi erano: loro o noi?).
Si giunge perciò a una proposta del convegno M5s: le «Guardie Ecologiche Volontarie». Sono stipati tra i miei ricordi di ventenne, le raccomandazioni in merito del Club alpino italiano ai soci che andavano in montagna: 1) non abbandonare rifiuti di sorta, 2) riportare a valle i rifiuti altrui abbandonati, 3) segnalare la presenza di rifiuti e discariche ai sindaci competenti. Sono i comuni cittadini in genere a segnalare le discariche abusive: le testate e i blog, pullulano di segnalazioni e di fotografie in tal senso.
Il problema principale è invece costituito dai rifiuti tossici interrati (nei campi incolti, sotto i piazzali e i capannoni industriali) e dagli sversamenti nei corsi d’acqua. (Posso segnalare un frigorifero abbandonato e il Comune può aspettare comodamente qualche settimana, prima di smaltirlo: non è niente di moralmente riprovevole e soprattutto – per quel che m’interessa – di grave per l’ambiente). Mi capita ancora di riprendere qualcuno (loro o noi?) che butta una cartaccia o un oggetto per strada perché: 1) io lo vedo mentre compie un siffatto gesto, 2) sto nella condizione di rimbrottarlo. Non mi capiterà mai di vedere un’autobotte che sversa liquidi nocivi nei canali del Fucino; succedendomi una cosa del genere, non indugerei nel richiedere informazioni all’autista del mezzo per non rischiare di prendere una revolverata. È la Polizia locale, la Forestale, i carabinieri, last but not least i servizi segreti, a scovare i reati delle ecomafie ma non i cittadini, per quanto motivati e volonterosi. (È una questione di mezzi d’indagine a disposizione).
Il partito politico italiano che ha proposto – onore al merito –, la piattaforma dei rifiuti più avanzata (zero waste), ora indietreggia verso iniziative prepolitiche – alla vigilia delle prossime Regionali. (È stato il primo partito alle Politiche. Noi o loro? C’è il mondo, tra jian e kun).

sabato 25 gennaio 2014

on demand


Va presa per quello che è la vicenda del documento Asr: bisogna conoscere i motivi della mancata diffusione per farsi un’idea sulla validità dello studio. (Non ce li diranno mai).
Del documento (Analisi della prevalenza dei tumori nei Comuni della Regione Abruzzo – anno 2006-2011), mi hanno colpito alcune reazioni da noi. Coda di paglia, complottismo, negazionismo. (La storia è partita da Avezzano, potendo interessare).
Io penso alla sostanza potenzialmente cancerogena e all’ambiente in cui si vive, molto più del malato o del morto di cancro: essi sono solo alcuni degli esiti possibili. Bisogna evitare che le (purtroppo innumerevoli) sostanze tossiche entrino in contatto con l’aria, l’acqua e il suolo. Non è semplice. Vanno risanate le situazioni a rischio, senza aspettare che ci scappa il morto (decine in genere) o peggio, che si compromette in modo irreparabile una falda acquifera. Punto.
Che succede nella vita di tutti i giorni? I Noe scoprono dei fusti tossici in aperta campagna appena interrati. In genere ci si adopera per eliminarli immediatamente: non si aspetta certo x anni per far sfondare i contenitori, y anni per fare arrivare il percolato alla falda e z anni in attesa che qualche decina di persone muoia di tumore e sequestrato qualche camion di verdura. (Si suole invece aspettare anche k anni dalle nostre parti, in attesa di uno studio epidemiologico “attendibile”, che attesti la relazione diretta tra i tumori e i fusti trovati dai carabinieri 25-30 anni prima…).
Sappiamo da anni che nel comune d’Avezzano c’è una delle maggiori bombe ecologiche della Penisola (ex-zuccherificio). L’hanno segnalato «da fuori», anche in questo caso.
(Questioni del genere riguardano i biologi più che gli oncologi, a dirla tutta). Ce li meritiamo cum laude e bacio accademico, gli inceneritori!

mercoledì 22 gennaio 2014

Amplero ulteriore


Io ricordo in modo confuso giusto un paio di episodi legati alla vicenda Amplero, perciò scrivo della stessa con distacco alla luce degli ultimi avvenimenti. Il primo è una manifestazione alla Ferriera (Pescina) contro la captazione delle acque, il secondo è un’innocente passeggiata sopra Collelongo – a metà anni Ottanta – dove mi furono mostrate un paio di tombe italico-romane; «Volevano farci l’invaso, da queste parti», mi fu raccontato.
Negli ultimi trent’anni l’«impatto ambientale» è divenuto una procedura, sono stati affinati i metodi per conoscere lo stato di salute dei fiumi e messe all’opera le Autorità di bacino. Nonostante tutto ciò, si è ripreso a parlare da noi di vasconi per la raccolta dell’acqua: come mai? Provo a dare una spiegazione partendo dalla situazione nazionale.
Le Autorità di bacino entrano in azione alla fine degli anni Ottanta, mentre in Italia c’è una ripresa del tema federalista legato alla «tradizione inventata»: una situazione poco propizia. Come compito culturale, esse dovevano ammonirci circa la vischiosità e la frammentazione delle competenze nel nostro sistema amministrativo. I fiumi in Italia sono utilizzati come degli elementi lineari per separare regioni, province e comuni gli uni dagli altri: un modo cervellotico e il contrario di un bacino idrografico, dove l’acqua riunisce tutto ciò che si trova al suo interno (risorse naturali, attività umane, paesaggio artificiale, cultura). Un’efficace definizione di tale struttura spaziale, così recitava in quel tempo: «unità di analisi economico-ecologica».
Le Autorità di bacino hanno indubbiamente ridotto le manomissioni dei corsi d’acqua ma dovevano esprimere un’egemonia, indicare una direzione alle Amministrazioni locali. Non è avvenuto tutto ciò, purtroppo. L’attuale situazione di degrado idrogeologico è frutto di cinquant’anni di mancato restauro ambientale, di danneggiamento dei fiumi (prelievo d’acqua e materiale litoide, cementificazione degli argini – anche del letto –, ecc.), di un uso dissennato del suolo (lottizzazione, villaggio delle vacanze, shopping center). (Si è cementificato da matti lontano dai fiumi, ma sempre dentro i bacini).
Ho avuto a che fare con forme di «progettazione partecipata» all’università: essa aggiunge poco o niente a ciò che si sa. Nel nostro caso (intervista Aqua Piana del Fucino), sono rimossi dei dati che già conosciamo. È sufficiente consultare una cartina geologica, una mappa dei parchi e delle riserve naturali, i vincoli della Soprintendenza Baaas, il Piano paesaggistico (quando c’è), il Piano regolatore e poco altro volendo individuare un’area (qualsiasi) d’intervento presso uno dei comuni sparsi per la Penisola.
Le domande che ancora pongo sono: 1) quale (a livello ambientale) la ripercussione sul Giovenco, prelevando «circa» un mc/sec d’acqua presso Pescina? (È necessario conoscere le portate del fiume in questione per rispondere. Indica quanto – secondo la Regione – il termine «circa»? 0,9? 0,8 mc/sec?), 2) che cosa succederà alla località IDK, dopo che saranno costruiti un paio d’invasi spaziosi quanto dodici campi di calcio?