venerdì 25 novembre 2016

Distopie contemporanee

(Preferisco non infierire sui nuovi pannelli metallici colorati di verde con – perfino incorniciate – delle vedute della città disegnate su ceramica: siamo imbattibili nelle pacchianate. Procediamo). Si scrive poco di questioni cittadine, urbanistiche e territoriali nella Marsica ma quando ciò avviene, ci si trova di fronte a pezzi poco o affatto memorabili. Mi riferisco a un recente comunicato di Confesercenti (provinciale) riguardante Avezzano. Esso prende le mosse da un’analisi condotta a livello nazionale dal centro studi della stessa associazione di categoria. Do per scontata – diplomaticamente, perché la ignoro –, la bontà della pubblicazione dalla quale risulta che il saldo negativo tra aperture e chiusure di attività commerciali interessa «i piccoli centri e le zone periferiche delle grandi città». Io però mi chiederei già a questo punto – laicamente – il perché di tutto questo, non accontentandomi di espressioni trite e poco utilizzabili come Crisi, Liberalizzazioni – anche Caro Affitti.
La questione è posta male in partenza perché s’ignora che il fenomeno delle città (occidentali) a forma di ciambella, inizia negli anni Ottanta. (Si tratta in realtà di un’altra ondata migratoria risalente al secolo scorso. La stessa forma suggerita, non è esattamente quella della ciambella: la pasta intorno a un buco). Si può perciò anche leggere: «tale situazione sta spingendo i commercianti a trasferirsi in periferia o nei centri commerciali delle città». Insomma: i negozi della periferia chiudono – come affermato qualche rigo più sopra –, o no? Ogni città italiana ha davvero un ipermercato nelle vicinanze?
Ripeto: perché un commerciante migra verso la periferia? Rispondo stavolta e chi mi segue, ha anche un’idea di dove vado a parare: i commercianti si spostano, dove sanno di trovare i potenziali clienti. Nei centri (storici e no) delle metropoli e delle grandi città (occidentali), si registrano contrazioni del numero degli abitanti dagli anni Cinquanta in poi: dove sono finiti alcune decine di milioni di persone? Tutti volatilizzati, annichiliti, inabissati nel Pacifico o ancora in vacanza a Malibu?
Invoca empatia la descrizione del centro, dove: «l’atmosfera cupa e triste causata da serrande abbassate, cartelli di ‘affittasi’ e negozi vuoti senza alcun barlume di speranza di riaprire». Il medio residente al centro se n’è già fatto una ragione da almeno un decennio di tale fenomeno e si sentirebbe anche sollevato, se sparisse più di un locale che rompe le palle con la musica alta fino alle tre di notte. (Altro che: «Continuando di questo passo muore il commercio e muore la città»). E poi: la situazione è proprio questa? No, i negozi che chiudono al centro sono generalmente rimpiazzati da altre attività capaci di resistere in quella zona; restano sfitti giusto gli spazi obsoleti, questo sì.
Manca nel comunicato anche una visione – un minimo – articolata della categoria rappresentata e dei proprietari degli immobili: non si tratta di due monoliti. (Io non ci perderei tempo a mettere intorno a un tavolo dei rappresentanti delle due nemmeno perché sono in ballo interessi in ogni modo contrapposti). Per ciò che ho appena espresso, ritengo che sia spendibile con parsimonia anche l’argomento dell’eccessiva tassazione. I commercianti pagano le tasse ma i quattrini versati tornano loro indietro in parte per via delle manifestazioni (estive, invernali, di mezza stagione), dell’arredo urbano, della manutenzione. (Punto). C’è chi nella categoria ne approfitta più degli altri e chi invece, resta escluso dal fiume di denaro pubblico messo a disposizione dall’Amministrazione locale. (Gli esclusi sono la maggioranza, è bene ricordarlo).
Trapela in modo sorprendente anche dell’esterofilia verso la conclusione (Business Improvement District), mentre una decina di anni fa, al tempo dell’insediamento di Ipercoop i commercianti locali erano generalmente contro la «novità» proveniente dal continente americano. (Nel comunicato compaiono giusto come contorno gli abitanti del Quadrilatero; la città stessa che ha ormai raggiunto un secolo di vita è banalizzata come fondale per i propri affari ed era perciò doveroso rispondere, almeno da parte mia).

P.S. Detto comunicato – facilmente reperibile nel web – inizia con: «Ho riposto fiducia e speranza in questa amministrazione». Domanda: era una dichiarazione d’amore, di voto o altro?

martedì 22 novembre 2016

Intersezioni

È interessante incrociare i pezzi apparsi nel web sul nuovo ospedale d’Avezzano usciti da noi e quelli provenienti dal resto dell’Abruzzo.
Si parte da una perizia del 2009 nel primo caso: «Bisogna fare presto» trattandosi di una «relazione shock» riguardante il SS. Filippo e Nicola. (Potrebbe crollare un’ala da un momento all’altro). Il sindaco parla di «ottimo risultato» a proposito del finanziamento ottenuto.
Si racconta dell’altro nei siti fuori del nostro comprensorio. Si riferisce della posizione di SI e M5s (regionali) puntando il dito contro lo strumento utilizzato per la costruzione di altri cinque nuovi ospedali. I primi osservano: «Anche la Commissione Parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e sulle cause dei disavanzi regionali ha avuto modo di esprimersi sull’uso della finanza di progetto [project financing] e sulle sue conseguenze a proposito della costruzione di ospedali in Toscana, mettendo l’accento sulla scarsa condizionabilità del fornitore di servizi rispetto alla qualità di questi, con costi unitari superiori a quelli di mercato, e sulla possibilità di derogare dal rispetto delle norme previste nel codice degli appalti pubblici, limitando la concorrenza», mentre per i secondi tale strumento conduce a una possibile «catastrofe economico-sociale».

Quando si parla di libertà d'informazione…

venerdì 18 novembre 2016

Money

Non mi stanco di ripetere che J. M. Diamond ha insegnato alcune cose fondamentali per la nostra sopravvivenza sulla Terra. Una zona per quanto ricca di risorse, non può fare a meno di scambiare i propri prodotti per ottenere ciò che le manca; si rimane in un posto se si è capaci di farlo, si scompare come popolazione o si migra altrimenti.
Discutevo di ciò proprio in questi giorni con amici a proposito dei recenti terremoti che hanno interessato l’Italia Centrale. Si può affermare – analizzando le politiche dei vari governi nazionali dopo le catastrofi degli ultimi decenni – che laddove si sono impiegate risorse anche nel settore produttivo, si hanno maggiori probabilità che la vita continui come, meglio di prima. (La Valnerina degli anni Novanta – tanto per fare un esempio –, rispetto a L’Aquila dal 2009).
Ho seguito la vicenda della «legge marchetta» (© M5s Abruzzo) e anche quella precedente del Masterplan-Patto per il Sud.
Penso che i finanziamenti elargiti, se servono a produrre e vendere in giro spettacoli, film, concerti, libri, opere d’arte – clientelismo o merito, non importa –, sono da ritenere utili mentre, se impiegati per il mero consumo, per i circenses: no.

I fondi Masterplan interessano alcuni comuni marsicani (Avezzano, Pescina, Scurcola Marsicana, Tagliacozzo). Nel caso del posto dove io vivo, tali finanziamenti riguardano anche piazza Torlonia e Parco Torlonia (4,7 milioni di euro, per quanto ho letto), e il municipio. (Mi risparmio la figura del «benaltrista» e utilizzo un nuovo punto di vista). Non sono né il primo né l’ultimo a denunciare il più che ventennale degrado in cui versa piazza Torlonia; tutto ciò mostra perciò che da noi si ha una classe politica capace di mungere altrove dei quattrini – talvolta –, ma inadatta alla quotidiana amministrazione. (Vale purtroppo lo stesso discorso anche per gli altri comuni che ho citato).

martedì 15 novembre 2016

Ch-ch-ch-ch-Changes


L’ultimo post sulla vicenda della ferrovia dell’ex zuccherificio risale al 25 ottobre. (Come sta evolvendo?). Non ci ho più messo i piedi insieme agli altri sparuti frequentatori mentre vedo che nuove figure la utilizzano, adesso che è stata ripulita. Un numero maggiore di persone usa in questo periodo un tratto di detta ferrovia per accorciare negli spostamenti – dopo che è stato posto il divieto di accesso. (Gente normalissima a differenza del sottoscritto o degli adolescenti che andavano lì per tracannare birra, farsi le canne).

lunedì 14 novembre 2016

Più di uno

(Due chiacchiere). Mi è stato chiesto – come immagino anche a chi mi segue – che cosa penso dell’elezione di Donald Trump, negli ultimi giorni. Nel senso: del suo elettorato, non di quello che comincerà a fare tra due mesi. Ho evitato di rispondere direttamente perché ho un’idea vaga degli Stati Uniti, di chi si presenta al seggio e poi, della preferenza che esprime. È un mezzo continente, un posto eccessivamente esteso, almeno per me. Ribattevo talvolta: «Quali provvedimenti ha preso finora Beppe Sala?». Non ottenevo alcuna risposta o al massimo: «Valla a capire Milano, è troppo grande…». Non si aveva perciò nemmeno una mezz’idea dell’attività di un sindaco in un’importante città italiana, di una realtà più piccola – per numero di abitanti – quasi 250 volte rispetto agli Stati Uniti d’America. Succedeva all’incirca lo stesso, nominando Roma – la capitale della repubblica democratica, ancora Italia, a un’ora d’autostrada da noi.
Seguo da decenni le vicende di Roma, Milano, Bologna e ho a lungo reputato di saperne più di una persona normale. Mi sono invece accorto di conoscerne davvero poco, all’inizio della campagna elettorale per le Amministrative di giugno e così ho provato a informarmi sulle prime due. (Non basta purtroppo un pezzo o due letti nella cronaca locale di un’importante testata nazionale, ogni mese). Ci sto riuscendo – bene, male, così-così – dopo quasi un anno, in ogni modo. Si trova informazione, discussione, nel web: è sufficiente cercare, al solito.
Provo adesso a immaginare una situazione del genere, rovesciata. Ecco, ciò che manca ad Avezzano è questo: un luogo di analisi e di confronto sulle questioni cittadine. Ho pubblicato una ventina di libri e scrivo della mia città ormai da dieci anni sul mio blog ma si tratta – appunto – di un soliloquio: bisogna essere almeno in due per discutere. C’è gente disposta a interessarsi a lungo, a scrivere costantemente di qualche problema e confrontarsi con altri, in altre città. I quotidiani pubblicano generalmente notizie, parlano di emergenze mentre evitano di trattare come si arriva al punto di catastrofe. È altresì necessario allontanarsi dalle due categorie alla moda: a) non va bene niente, b) è il migliore dei mondi possibili. È un’idea da coltivare – carta o web è indifferente –, anche in tre o quattro. Fatevi sentire. (Dovrei scrivere qualcosa sulla pensata dei «Consigli di Quartieri» da parte del nostro sindaco – in scadenza).

P.S.: a proposito. Avrei votato chi alle Presidenziali, da cittadino americano? Jill Stein (GPUS).