(Preferisco
non infierire sui nuovi pannelli metallici colorati di verde con – perfino
incorniciate – delle vedute della città disegnate su ceramica: siamo
imbattibili nelle pacchianate. Procediamo). Si scrive poco di questioni cittadine,
urbanistiche e territoriali nella Marsica ma quando ciò avviene, ci si trova di
fronte a pezzi poco o affatto memorabili. Mi riferisco a un recente comunicato
di Confesercenti (provinciale) riguardante Avezzano. Esso prende le mosse da
un’analisi condotta a livello nazionale dal centro studi della stessa associazione
di categoria. Do per scontata – diplomaticamente, perché la ignoro –, la bontà
della pubblicazione dalla quale risulta che il saldo negativo tra aperture e
chiusure di attività commerciali interessa «i piccoli centri e le zone
periferiche delle grandi città». Io però mi chiederei già a questo punto –
laicamente – il perché di tutto questo, non accontentandomi di espressioni
trite e poco utilizzabili come Crisi, Liberalizzazioni – anche Caro Affitti.
La
questione è posta male in partenza perché s’ignora che il fenomeno delle città
(occidentali) a forma di ciambella, inizia negli anni Ottanta. (Si tratta in realtà di un’altra ondata migratoria risalente al secolo scorso. La stessa
forma suggerita, non è esattamente quella della ciambella: la pasta intorno a
un buco). Si può perciò anche leggere: «tale situazione sta spingendo i
commercianti a trasferirsi in periferia o nei centri commerciali delle città». Insomma:
i negozi della periferia chiudono –
come affermato qualche rigo più sopra –,
o no? Ogni città italiana ha davvero un ipermercato nelle vicinanze?
Ripeto:
perché un commerciante migra verso la periferia? Rispondo stavolta e chi mi segue,
ha anche un’idea di dove vado a parare: i
commercianti si spostano, dove sanno di trovare i potenziali clienti. Nei
centri (storici e no) delle metropoli e delle grandi città (occidentali), si
registrano contrazioni del numero degli abitanti dagli anni Cinquanta in poi: dove sono finiti alcune decine di milioni di
persone? Tutti volatilizzati, annichiliti, inabissati nel Pacifico o ancora in
vacanza a Malibu?
Invoca
empatia la descrizione del centro, dove: «l’atmosfera cupa e triste causata da
serrande abbassate, cartelli di ‘affittasi’ e negozi vuoti senza alcun barlume
di speranza di riaprire». Il medio residente al centro se n’è già fatto una
ragione da almeno un decennio di tale fenomeno e si sentirebbe anche sollevato,
se sparisse più di un locale che rompe le palle con la musica alta fino alle tre
di notte. (Altro che: «Continuando di questo passo muore il commercio e muore
la città»). E poi: la situazione è proprio questa? No, i negozi che chiudono al
centro sono generalmente rimpiazzati da altre attività capaci di resistere in
quella zona; restano sfitti giusto gli
spazi obsoleti, questo sì.
Manca
nel comunicato anche una visione – un minimo – articolata della categoria rappresentata
e dei proprietari degli immobili: non si tratta di due monoliti. (Io non ci
perderei tempo a mettere intorno a un tavolo dei rappresentanti delle due
nemmeno perché sono in ballo interessi in ogni modo contrapposti). Per ciò che ho appena espresso, ritengo che sia
spendibile con parsimonia anche l’argomento dell’eccessiva tassazione. I
commercianti pagano le tasse ma i quattrini versati tornano loro indietro in
parte per via delle manifestazioni (estive, invernali, di mezza stagione),
dell’arredo urbano, della manutenzione. (Punto). C’è chi nella categoria ne approfitta
più degli altri e chi invece, resta escluso dal fiume di denaro pubblico messo
a disposizione dall’Amministrazione locale. (Gli esclusi sono la maggioranza, è
bene ricordarlo).
Trapela
in modo sorprendente anche dell’esterofilia verso la conclusione (Business Improvement District), mentre una
decina di anni fa, al tempo dell’insediamento di Ipercoop i commercianti locali
erano generalmente contro la «novità» proveniente dal continente americano.
(Nel comunicato compaiono giusto come contorno gli abitanti del Quadrilatero;
la città stessa che ha ormai raggiunto un secolo di vita è banalizzata come fondale
per i propri affari ed era perciò doveroso rispondere, almeno da parte mia).
P.S.
Detto comunicato – facilmente reperibile nel web – inizia con: «Ho riposto
fiducia e speranza in questa amministrazione». Domanda: era una dichiarazione
d’amore, di voto o altro?