lunedì 30 gennaio 2017

Altre frane

(Tanto per terminare il «polittico» precedente). La politica ha trattato poco le vicende su cui ho scritto e in genere la sua attenzione si è appuntata su un paio di temi: a) i presunti ritardi dei soccorsi; b) la mancata passerella dei politici regionali (della maggioranza) sui luoghi dei disastri; c) l’inopportuna dichiarazione di Sergio Bertolucci (Cgr). Me la prendo anch’io con la politica ma provando a scrivere dell’altro: le precedenti mi sembrano delle critiche riduttive e al contempo, assolutorie.
Si è preso a studiare le variazioni climatiche dovute – come sembra – al nostro modello di sviluppo, mezzo secolo fa – anche a parlare dei loro effetti previsti su larga scala e nel medio-lungo periodo. Risale invece a vent’anni fa, la vicenda del Protocollo di Kyoto; si sta tentando da allora di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Abbiamo avuto in molti sotto gli occhi negli ultimi decenni, almeno una pianta estesa pochi centimetri quadrati della Terra con il livello degli oceani più alto di un metro rispetto a quello di allora oppure, il Pianeta ricoperto di deserti.
Ciò che è invece mancato in questo periodo è uno studio locale dell’impatto dovuto al global warming ma soprattutto i provvedimenti da prendere. Un terreno che ha ricevuto nell’arco di un secolo cinque giorni in meno di pioggia ogni anno e un acquazzone violento in più ogni cinque anni, è ancora stabile com’era nell’Ottocento o nel Settecento? (La cosa può interessarmi se ricopro la carica di sindaco o sono stato nominato assessore all’Urbanistica e perciò sto immaginando una lottizzazione, un ipermercato o un’area industriale da quelle parti). Le stesse ricorrenze meteorologiche più qualche copiosa nevicata ogni cinque anni mi consigliano o no, a istituire una fascia di rispetto, un divieto di edificabilità per un tratto del lungofiume X? Che cosa mi fanno pensare dei periodi di siccità alternati a forti nevicate lungo i fianchi di una montagna? I primi flash flood nel Mediterraneo mi hanno incoraggiato o mi hanno fatto rimandare l’acquisto di una bellissima casetta a piano terra, con il tetto piano, circondata da una pineta, nella località balneare Y? È generalmente questa la scala dei problemi. Inoltre non è solo una questione di bollettino delle valanghe o di carte di rischio che mancano; né tantomeno c’entra una presunta mancanza di «saggezza» popolare: sono stati proprio i nostri nonni e bisnonni montanari a innescare nel secolo scorso le catastrofi che si producono a valle, ai nostri giorni. Bisogna impiegare innanzitutto almeno le scienze della Terra.
Non ho esagerato nello scrivere: «bancarotta del pensiero occidentale». Un occidentale è portato a disegnare una qualsiasi mappa e lasciarla lì; la adora per anni, decenni come se fosse un dipinto: per lui il territorio è un’equazione. (A = A, sempre). Le cose invece non stanno in quel modo: viviamo su un pianeta che muta impercettibilmente ma continuamente – una data su una mappa o una cartina vuol dire anche che essa ha una scadenza, seppur non indicata.

(C’è anche troppa gente che si ritrova in montagna, ma si comporta come se soggiornasse in una località balneare. È sempre valido il consiglio: ‘one should never be | Where one does not belong’. Avrebbero dovuto assegnarglielo cinquant’anni fa, il premio Nobel).

venerdì 27 gennaio 2017

absolute beginners

Ho accennato ai pluridecennali dissidi tra chi andava in montagna e i rappresentanti dei cittadini, nel post precedente. (Sto esprimendo delle opinioni circa gli ultimi terremoti, il panico legato alle nevicate lungo la costa adriatica, l’hotel Rigopiano, l’elicottero schiantato durante un’operazione di soccorso. Gli ultimi due casi sono più delicati, essendoci scappati numerosi morti). Rappresentavano bene i cittadini – i loro interessi –, gli amministratori di trenta, quarant’anni fa? Noi pensavamo che essi obbedissero ai desideri dei gestori delle funivie – non gli albergatori, i maestri di sci, quelli che avevano una locanda. (Sbagliavamo, ci avevamo preso giusto?).
Ne è passata tanta di acqua sotto i ponti e il tempo ha anche permesso il confronto con altri protagonisti delle vicende economiche italiane. Si è sparlato abbondantemente dei Torlonia durante il Centenario del terremoto eppure ammiriamo ancora le trasformazioni che i principi hanno impresso nella zona; la nostra breve storia industriale ci consente giusto di fare raffronti con situazioni analoghe altrove e in ogni modo, ci restano dei manufatti di tutto rispetto. (La nostra classe politica – monarchica, repubblicana – avrà fatto bene o male a intrattenere stretti rapporti con gli uni e gli altri: possiamo in realtà affermare di avere come marsicani o italiani qualcosa di solido alle spalle che somiglia a una storia). Il turismo è inaccostabile agli esempi precedenti un po’ per questioni di tipo anagrafico, un po’ perché lascerà dietro di sé solo macerie e devastazione; c’è anche da considerare, la ripetizione dello stesso schema sperimentato per l’industrializzazione negli anni Sessanta nel Mezzogiorno: imprenditori con scarsa o nulla esperienza. (Mantenere un ristorante o un albergo in montagna è più complicato che stare seduto accanto alla cassa o nella reception). Mi è capitato di scrivere che la Regione è stata incapace di elaborare una politica industriale all’altezza dei tempi ma nel caso del comparto turistico si può parlare tranquillamente di pressoché totale improvvisazione.
È stata perciò lasciata carta bianca agli operatori; oggi ci troviamo delle strutture costruite dove essi ritenevano più opportuno – con quel che costa mantenere i collegamenti in efficienza durante il periodo invernale. (In caso di difficoltà ci si rivolge «allo Stato» più che all’amministratore che ha lasciato correre qualche marachella). Già: chi paga le turbine, gli spazzaneve, gli spalatori?

L’ultimo episodio sembra semplice ma non lo è: un elicottero del 118 si alza per un infortunio, una vicenda che è di pertinenza di un reparto ortopedico – a quanto è stato riferito da testate giornalistiche. (È purtroppo finita male, con cinque soccorritori – carichi di esperienza – morti). Mi chiedo: che cosa sarebbe successo nel caso di uno sciatore, un turista, un escursionista con un principio d’infarto, d’ictus? Avrebbero invocato lo Shuttle, Speedy Gonzales, una squadriglia di F-15, i Seals? (Immagino che si ponga la stessa domanda un pescinese o un tagliacozzano cui hanno ridotto l’ospedale; anche uno degli undici milioni di connazionali – su circa sessantuno – che non ha abbastanza denaro per curarsi. Era la prima volta?). Negli ultimi due-tre lustri abbiamo assistito a persone che hanno evitato di vaccinare i propri figli e altre che hanno denunciato un ospedale dopo una degenza o un intervento chirurgico – è stata una pacchia per i talk show. Le seconde sono utili per comprendere il nostro caso: un medico che lavora in un ospedale deve tenersi – ormai da anni – il più possibile al riparo da eventuali denunce di ex pazienti insoddisfatti e dei loro parenti eccessivamente premurosi. Quanto costa alle casse dello stato quest’ondata di superstizione e di oscurantismo? Quanto sborsa il contribuente per il turismo montano invernale in Abruzzo?

mercoledì 25 gennaio 2017

Una modesta proposta

Cito con una certa frequenza un volume di Marco Armiero (Le montagne della patria, 2013); esso serve per conoscere l’ambiente culturale e ciò che è successo in Italia nel Novecento a una quota superiore ai cinquecento metri – soprattutto tra gli anni Dieci e i Cinquanta. Leggendolo, può rendercisi conto della gran mole e del tipo d’interventi, di costruzioni che hanno avuto come scenario le Alpi e gli Appennini.
Ho raccontato durante l’ultima grande nevicata dalle mie parti (2012), come andava il mondo della mia infanzia. Le persone uscivano poco da casa e spalavano la neve lungo il marciapiede intorno alla loro abitazione – non era semplice cortesia: lo facevano tutti e perciò si poteva camminare quasi ovunque –, gli artigiani, i negozianti aprivano a singhiozzo, le rare automobili restavano ferme. Quell’Avezzano e quell’Abruzzo sono scomparsi insieme al know-how – lo chiamo così – del vivere a una certa quota: la gente va nel panico con sette-otto centimetri di neve per strada.
M’interessa maggiormente ciò che frulla nella mente delle persone comuni, rispetto alle decisioni delle istituzioni. Mi ha in parte colpito in questi ultimi giorni proprio il silenzio delle istituzioni: che cosa poteva dire l’intera classe politica abruzzese, pronta a varare la legge «ammazza-fiumi» nel luglio 2015? A far passare dei nuovi tracciati autostradali sopra qualche faglia attiva, nell’agosto 2016? La cosa peggiore che è capitata all’Abruzzo – soprattutto quello montano, negli ultimi cinquant’anni – sono le persone che hanno mollato le vecchie occupazioni per provare a riciclarsi nel comparto turistico; in migliaia hanno immaginato che un qualsiasi comune dell’entroterra potesse diventare la St. Moritz del Meridione. Hanno sognato questo per decenni mentre la montagna ha preso lentamente a spopolarsi: va letta in questa prospettiva la vicenda dell’asfalto sulla strada dei Prati d’Angro, la scorsa estate. Stefano Ardito ha parlato ieri, di: «Una regione di montagne, governata con i piedi piantati sulla spiaggia», in «Montagna.tv» 24 gennaio 2017. La questione non riguarda solo chi governa ma anche chi vota, chi è governato: c’entra l’egemonia culturale. Chi vive all’interno pensa allo stesso modo di chi abita e governa sulla costa. Le vertenze ambientali degli ultimi quarant’anni, è faccenda che riguarda chi pensa come i «pescaresi» e chi va in montagna.

Riprendo dall’inizio. È il caso di ritrovare, censire tutti gli interventi compiuti a una certa quota e studiarli: che impatto hanno avuto? In che condizione versano? (Soprattutto se in cemento armato). Chi è che può svolgere un’operazione (meritoria) del genere? (Tralascio il passaggio successivo).

lunedì 23 gennaio 2017

Medardo di Terralba

(Riprendo dal post precedente). La situazione prodotta durante le recenti nevicate in Abruzzo mostra del malessere nei corregionali; provo a ragionarci sopra.
La colpa dei disagi è stata accollata alla classe politica, secondo copione e per la maggioranza delle persone che incontro o di cui ho conoscenza. (Di là dagli hashtag di circostanza). Prenderla con i politici – in quella maniera –, è ormai di moda; si è trattato più che altro di attaccare dei personaggi televisivi e non la loro – sindacabile, com’è ovvio – iniziativa, azione. Qualcuno altrimenti l’avrebbe presa anche con quei politici nazionali che anni addietro hanno privatizzato – in quel modo – l’energia elettrica; quella «corrente» che non è stata erogata lungo la costa abruzzese per almeno una settimana, a decine di migliaia di utenti. Qualche altro – allo stesso modo – l’avrebbe presa con altri politici locali per aver consentito opere dove non dovevano essere piazzate o per alcune politiche dannose all’assetto idro-geologico del territorio.
Lo schema canonico secondo cui l’opinione pubblica è proceduta in questo caso, prevede oltre agli esempi negativi, gli eroi – alcuni compaesani in particolare. Si tratta in realtà di persone comuni che sanno stare in un ambiente peculiare: si spostano con gli sci perché andare a piedi, è il mezzo più sicuro quando c’è molta neve. (Mi chiedo: gente del genere, che ben conosce la montagna e le sue insidie, avrebbe mai soggiornato durante i mesi invernali nell’ormai famoso Hotel Rigopiano? Lo ignoro, ma ritengo di no: peccato per le carte tutte in regola).

Racconto un paio di scene che mi sono rimaste in mente durante la scorsa settimana. La prima è chi ti chiede se sei rimasto a casa dopo le scosse nell’Aquilano – a una sessantina di chilometri di distanza –, la seconda è più di uno studente che si aggirava per piazza Risorgimento dopo aver «scioperato» perché la temperatura della sua aula era di 12 °C, vestito come si usa in estate – solo fashion victim? C’è in realtà la bancarotta del pensiero occidentale dietro l’ignoranza dell’ambiente in cui si nasce e si vive – per alcuni decenni – insieme a svariati miliardi di altri esseri viventi; c’è un ridicolo senso di estraneità, alterità, onnipotenza delle persone rispetto alla natura, ai fenomeni atmosferici. Hai bisogno di una pala quando ti accorgi che la neve ti ha ricoperto l’uscio di casa e tu devi uscire, non di uno smartphone per denunciare al mondo intero la presunta inefficienza del tuo sindaco. Più che «forti e gentili» gli abruzzesi, si sono dimostrati incolti, superbi e anche sempliciotti in quest’occasione.

giovedì 19 gennaio 2017

R.A.S.

È capitata una cosa strana negli ultimi giorni: alcuni mi hanno chiamato per sapere come andavano «le cose» da noi – nevicate, terremoto. «Con tutta l’informazione che c’è?», mi sono chiesto. C’entra anche una forma di pigrizia mentale oltre alla scarsa qualità dell’informazione nella vicenda.
È complicato regolarsi con le previsioni del tempo perché la Marsica è comunemente associata a ciò che avviene lungo la costa medio-adriatica mentre essa risente anche dell’influsso del Tirreno – sempre di clima continentale si tratta, ovviamente. Chi vive lontano da noi e ascolta, consulta un sito di previsioni del tempo, ha immaginato in questi giorni una situazione ben peggiore di quella registrata sulla costa adriatica e nell’immediato entroterra: se 50 cm di neve a Chieti (330 m), 80-90 cm ad Avezzano (700 m). (Sono caduti massimo quattro centimetri di neve, mercoledì 18). In genere m’informo sulla situazione meteorologica nel Lazio e provo a fare una sorta di media, soprattutto in inverno – è anche una questione di venti freddi intercettati dall’Appennino a fare la differenza.
Si produce una situazione simile, in caso di terremoto. Si localizza (Ingv) l’epicentro nell’Aquilano e le scosse si sentono fino a Roma: le scuole della Capitale sono evacuate, gli studenti terrorizzati stando alle notizie correnti. Succedendo una cosa del genere a cento chilometri, che può immaginarsi a cinquanta, sessanta qualcuno delle nostre parti che vive altrove e che legge o ascolta un tg? È da mettere in conto la chiamata o l’e-mail. (Porto di nuovo l’esempio personale). Avvertendo una scossa vedo se è saltata l’energia elettrica: non vi è da preoccuparsi se non vi sono interruzioni o se esse durano qualche secondo. Aspetto qualche minuto e vado sul sito di Repubblica: è la prima testata on-line a pubblicare notizie del genere – vista la posizione geografica della redazione. So dopo pochissimo tempo quanto è lontano da noi l’epicentro – perché è distante, senz’ombra di dubbio. (Immagino che te la fai sotto, per una briscola di magnitudo uguale a 5, nel Fucino).
Tanto di cappello in tal frangente ad Alessandro Biancardi (PrimaDaNoi) che scrive a proposito del comportamento della Regione, il 17 gennaio: «C’è il fondato sospetto che qualcosa non funzioni e sia qualcosa di profondo, endemico e strutturale che ovviamente i possibili responsabili non hanno interesse a scandagliare», 17 gennaio e anche a Primo Di Nicola (Il Centro) nel suo editoriale del 18 gennaio: «È una vera dichiarazione di impotenza l’invocazione degli uomini con le stellette. Cosa deve venire a fare l’esercito in Abruzzo? A spalare neve, forse? Ma dov’erano i mezzi strombazzati della protezione civile? Le pale e gli altri strumenti di cui pure i comuni dovrebbero essere dotati, dov’erano?».
Interessanti i commenti acidi, anche nei mass media locali, a questo post dell’ex-parroco di Antrosano – non è facile prendere in giro gli oscurantisti assaporati al paganesimo:
Mi ha colpito più che altro il resort costruito o in ogni modo ricadente in zona – almeno a giudicare da ciò che è successo –, soggetta a slavine (comune di Farindola, frazione Rigopiano, a quota 1200 m).