sabato 3 novembre 2012

KsLT 27

L’altro ieri, è partito Renato Nicolini e ho perso un po’ di tempo a leggere i necrologi. Io l’ho incrociato tra il 1974 e il ‘75 più volte; mi sono interessato alla sua attività d’assessore, nel periodo «romano». Era un mito tra gli studenti del primo anno d’Architettura a Valle Giulia e riusciva a comunicare con tutti. Ho frequentato pochissimo l’Estate Romana, evitando in particolare gli appuntamenti più affollati. Nel decennio seguente scoprii che aveva delle qualità anche come architetto. (Lo commemorerà Alessandro Anselmi: il miglior architetto rimasto ai romani – loro però, l’ignorano).
Una persona del genere da noi, un Renato Nicolini ad Avezzano? No, sicuramente.
Le corazzate dominanti le acque della politica nazionale e delle grandi città (Dc, Pci), lasciavano spazio anche alle persone migliori. Non si curavano troppo se le idee d’alcuni personaggi non collimassero alla perfezione con quelle del partito. Da noi, tutto era annegato nel clientelismo e nel nepotismo: ai nostri giorni più di allora. Tutti sono nella condizione di crescere ma nessuno può svettare sugli altri, altrimenti rischia di rimanere fuori del gioco.
Non ci voleva molto, all’epoca, a piazzare una biblioteca in un quartiere periferico di 100mila abitanti. Ce ne voleva molto di più per sistemarne due in due grossi quartieri periferici. (Nessuno conosceva come lui la città, da riuscire a piazzare eventi e strutture nel posto giusto). E’ finito tutto questo dopo Nicolini, a Roma e in Italia.
Negli anni Settanta era normale interessarsi di quello che avveniva in campo artistico (teatro, cinema, musica, pittura, danza, letteratura, fumetto, ecc.), ma nessuno ne sapeva quanto Renato Nicolini. Contando il numero di direttori artistici presenti da noi – un terzo di un quartiere di Roma –, non ci bastano le mani eppure non riusciamo ad attrarre gente dal comprensorio con la nostra proposta culturale. E’ gente che lavoricchia in ambiti ristretti e conosce qualcosa dell’Italia giusto per sentito dire, mentre ignora ciò che avviene a livello internazionale e ha un’idea molto interessata della situazione locale e regionale. (Mi mancherà Nicolini, per tutto questo).
[Mi sarà difficile continuare a pubblicare queste vecchie cose, tra
qualche settimana; dovrei stare fermo un mesetto o poco più].

KsLT 26

 L’Abruzzo e in modo particolare la sua fascia appenninica è considerata una zona poco pregiata, a giudicare il numero delle attività pericolose che vogliono trasferirvi. (Non c’è mai stata alcuna contestazione alle aziende tessili, metalmeccaniche, alla cartiera o allo zuccherificio).
Gli stessi abitanti hanno una percezione vaga dei territori che occupano e della loro storia, eppure quello dello storico locale o dello studioso di storia locale è un passatempo piuttosto diffuso nella popolazione. Udita nella recente campagna elettorale, dalle mie parti: «Avezzano, unico caso del centro Italia, cresce demograficamente perché cresce economicamente». (Si dice il peccato, ma non il peccatore e il partito dello stesso peccatore).
Avezzano, a livello demografico, si comporta né più né meno come le altre città medie della dorsale appenninica: cresce drenando abitanti da paesi più e meno vicini. Assorbe e rilascia gente verso le città
più grandi nella Penisola e all’estero: si tratta di laureati, in genere. Essa attira abitanti, più che clienti per i suoi numerosissimi negozi, i suoi bar e il suo teatro. (Potendo interessare: i veicoli in uscita sono di poco maggiori di quelli che raggiungono il capoluogo marsicano – è un dato pubblico). La città attrae – dal dopo-terremoto – i costruttori più dei commercianti e degli operai, per la facilità di procurare affari, data la fragilità (è un termine volutamente inappropriato) delle istituzioni locali.
Non è tempo sprecato osservare, a livello continentale, la situazione della fascia appenninica. Bisogna capire perché si sono prodotte tante realtà dissimili tra loro: è un lavoro di tipo storiografico. (Tanti paesini, sono scomparsi per crisi economica, catastrofe ecologica, isolamento, altro?). C’è chi sta meglio di noi e vi sono i paesi di vecchi dell’Appennino lucano e calabrese.
Non hanno dato frutti particolari, le politiche ventennali di contenimento dello spopolamento nell’Appennino ligure ed è l’unica regione italiana in cui la popolazione non cresce. Il WWF teramano punta a rilanciare con l’iniziativa Borghi Attivi, alcuni nuclei abitati dell’Abruzzo colpiti dal terremoto del 2009 (Fontecchio, Pescomaggiore, Santa Maria del Ponte, Fano Adriano, Civitella Casanova). E’ bene cominciare ad enunciare certi problemi anche da noi, se non vogliamo farci sorprendere. Le soluzioni prospettate possono essere non le migliori, ma si possono cambiare: l’importante è non sprecare del tempo prezioso. (3/3)

KsLT 25

Tempo fa qualcuno mi ha fatto notare che non c’è un posto dove si vendono i biglietti per il concerto di Vinicio Capossela (31 luglio): sul manifesto c’è giusto un numero di cellulare. Ho notato anch’io qualche stranezza negli ultimi giorni, che mi ha dato da riflettere.
(24 luglio). Una balcanica a sciacquare il bucato in pieno centro, senza detersivo. Bagnava, strizzava e deponeva sul bordo dell’altra fontana «ornamentale» di largo Enea Merolli. (Nel cosiddetto largo Merolli, sul marciapiede tra viale G. Mazzini e via G. Pagani). Lo spazio un tempo, si prestava come prolungamento dell’abitazione nonostante la sua posizione, ma è stato utilizzato sporadicamente in tal senso. La fontana ornamentale è un’idea che è rimasta confinata nella testa di chi l’ha proposta.
(25 luglio). Vedo uno in giro per il Fucino che porta a spasso due cani, muovendosi a cavallo. Il cavaliere non si curerà affatto delle cacche abbandonate dai cani. Approssimandosi la scomparsa dei contenitori di rsu, come faranno gli sparuti proprietari di cani che si servivano di essi per smaltire le cacche della propria bestiola? Normali cestini?
(28 luglio). E’ bastato il mio primo happy hour per confermare una vecchia convinzione sugli italiani: hanno sempre meno dimestichezza con il cucinare. Loro non sono capaci a fare una frittata, mentre i loro clienti non sanno distinguere una frittata da un intruglio. Come diverranno le persone che si cibano di robe simili?

mercoledì 24 ottobre 2012

KsLT 24

«Scoppia la rivoluzione e non ho nemmeno uno straccetto da mettermi addosso!».
Scrivo qualche altra osservazione sulla reazione alla sentenza del Tar che ha messo in pericolo la discarica di Valle dei Fiori, dopo le righe apparse su Il Martello del Fucino 7/2012. Più di una testata si è mossa sui binari «aumento della Tarsu» e «emergenza-rifiuti». E’ stato suonato l’allarme da parte d’alcuni giornalisti marsicani e i fedeli lettori di tali testate hanno ben risposto.
Tanto rumore ha coperto la notizia vera e propria. Molte persone ignoravano la vicenda (tutta) «Valle dei Fiori» e la fresca sentenza della magistratura amministrativa ma temevano un aumento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti. Non ho sentito nessuno credere alla possibilità che Avezzano si potesse ridurre come Napoli dall’oggi al domani: era una balla troppo grande.
Tar e WWF – nella mente dei miei compaesani –, sono corresponsabili nelle future crisi legate ai rifiuti, non gli amministratori che hanno eletto per decenni e che hanno fatto poco. «Il sindaco di Pescina, che cosa farà adesso?», si chiede il catastrofista medio. E’ difficilissimo da leggere, da capire e da commentare il contenuto della sentenza, che ha bacchettato Regione e Arta, per l’establishment. Si solidarizza con il criminale e si dà addosso al magistrato che lo fa arrestare, anche in questa landa decadente. Trovo indecente tutto questo, in questa occasione. I marsicani in quanto europei: «vivono nella denegazione del tempo, dei fatti» per dirla con Barbara Spinelli il 27 luglio, su Repubblica.
Chi ha un briciolo di cervello (non di più), sa che è saggio evitar di costruire discariche del genere a quella quota, perché più si sale più ecosistemi fragili s’incontrano.

KsLT 23

(Lavoro 1). Evito di trattare in generale, questioni come quella dell’ex-Burgo, perché sono faccende molto «italiane» e quindi abbastanza aggrovigliate. Nel nostro modo di pensare, noi siamo abituati a considerare gruppi eterogenei (operai, amministratori, imprenditori, sindacalisti, ecc.) come se fossero un unico insieme,
come se tutti avessero gli stessi interessi e obiettivi simili. Tale confusione ci mette in crisi davanti a dei semplici fatti come un imprenditore che delocalizza o – più semplicemente – chiude la fabbrica perché non ne può più.
In casi del genere io chiederei il motivo della partenza a chi ha abbandonato un’azienda in tempi che non sembrano sospettabili. Impiegati, operai, autisti, ma soprattutto quadri. Interrogherei quelli che se ne sono andati, uno, due, cinque o dieci anni prima del manifestarsi di una crisi. (Nel senso: del manifestarsi agli occhi di tutti. Chi la sa lunga, guarda la data dell’ultimo investimento per rendersi conto se un’azienda naviga in buone acque o va alla deriva).
Mi piacerebbe sapere dopo quanti secoli scompare la produzione della carta nella Marsica.
(Lavoro 2). Uno dei maggiori danni di Berlusconi ai cervelli italiani è stato, l’inglobare figure le più disparate nella categoria degli imprenditori. Costruire macchinari di precisione è diverso dal gestire un centro sportivo, dall’aprire un’agenzia assicurativa, dal tenere un agriturismo, dall’operare nel settore immobiliare.
(Lavoro 2bis). In questi giorni ho cercato il sito di un ristorante con il motore di ricerca. Non l’ho trovato ma so che c’è e che sta per partire. L’ho visto citato in più di un sito d’offerte di lavoro; si cerca un cuoco e un cameriere.
Ho notato in uno di questi, sulla destra della pagina dei tags e mi sono sembrati strani per sé e per certi contenuti. (Il nome del sito era inequivocabile). Ho continuato a spulciare le ricorrenze e mi sono imbattuto, di nuovo, su quella pagina e che i tags erano cambiati. Ho seguito per un po’ tale avvicendamento e adesso, vi trascrivo una parte dei tags: non sono tutti così, ovviamente. Rimane il fatto, che si trovano su un sito d’annunci di lavoro.
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KsLT 22

L’avvicinarsi della raccolta differenziata al centro, mi ha spinto a sbarazzarmi di tanta carta che avevo ammucchiato negli anni.
Ho eliminato una decina di numeri di La rivista del Club alpino italiano, della seconda (scialba) serie di ScienzaEsperienza e di Alfabeta2. (Via anche dei rimasugli dei Quaderni di MicroMega, Diario, Strategia e Linea d’ombra – ho salvato giusto un saggio di George Steiner).
Ho buttato qualche migliaio di fogli (bozze di stampa), che io mi ero promesso di riutilizzare come carta da schizzi e ridotto in striscioline alcune pellicole per la stampa. (Alcuni studi forniscono direttamente le lastre per la stampa, ai nostri giorni).
Mi sono liberato di migliaia d’immagini da impiegare come atlante (ogni illustratore dell’epoca pre-Internet ne possedeva uno, voluminoso), sia come materiale per i miei collage.
Ho fatto fuori anche i quaderni delle medie: a quei tempi si studiava geografia e seriamente. Andavo bene in latino e in disegno... erano i segni premonitori della vita che avrei fatto. Ho notato che sul quaderno di Storia avevo incollato diversi disegni di Sergio Toppi (1932). Ho trovato numerose testimonianze dell’entusiasmo (molto) precedente lo sbarco sulla Luna ...della mia avversione a Celentano – i Beatles erano spuntati da otto anni!
Durante tale opera di revisione – anche mentale – ho ripescato un vecchio libro: Stato di eccezione (Agamben, 2003). E’ l’ultimo di una serie di scritti sull’argomento dallo stesso autore: il primo è Homo
sacer (1995). Nelle settimane passate ho polemizzato in privato sulla «nuova» isola pedonale della nuova Amministrazione. Nella nuova forma è cresciuta la durata ed è diminuito il numero dei giorni in cui è in vigore: essa è revocabile per maltempo e nel caso qualcuno lo richiede (manifestazione, festa, saldi, periodo natalizio, ecc.).
Il mio pensiero è rimasto identico: preferisco una chiusura anche breve del traffico motorizzato, anziché una prolungata e revocabile per i motivi più disparati – ad insindacabile giudizio dell’amministrazione comunale. (Tutto ciò, ha il sapore inconfondibile della concessione).

lunedì 15 ottobre 2012

KsLT 21

La mia esperienza mi fa rammentare il tempo in cui alcuni industriali del Nord, sistemavano i loro impianti oltre la «linea del Tronto» perché avevano meno problemi con le Asl. Esiste una cospicua letteratura che racconta come per anni molte fabbriche del Nord-Italia hanno smaltito illegalmente e a poco prezzo i loro rifiuti tossici al Sud, con il concorso della camorra. Gli inceneritori del Settentrione seppelliscono le ceneri tossiche intorno agli impianti, nel circondario o altrove?
Un’area «forte», spinge i propri problemi verso un’area «debole»: il movimento no-global di una dozzina d’anni fa ha scoperto l’acqua calda con il rendere visibile tale meccanismo tra il Nord e il Sud del mondo. Si parlava della complicità dei tiranni e delle oligarchie locali nelle azioni delle multinazionali, che avevano messo nei guai le popolazioni del Terzo mondo. La lacuna di Gomorra – è un libro importante –, risiede nel non nominare gli amministratori, i politici: un conto è gestire la prostituzione, le slot-machine o il mercato dell’eroina, un altro conto è costruire un inceneritore, una mega-discarica o un centro commerciale.
Torniamo alle immagini dell’Appennino, anche in questi casi così simili e talvolta sovrapponibili tra chi lo abita e chi invece, no; tra chi ci vuol restare e chi ci vuol far solo quattrini.
L’inceneritore (famoso) di Brescia serve una popolazione di poco inferiore all’abruzzese, che vive concentrata in un’area estesa nemmeno la metà della nostra (provincia di Brescia 4.784 kmq, Abruzzo 10.763 kmq). Una zona come Brescia produce rifiuti diversi – per quantità e qualità –, da quelli della costa abruzzese e, a maggior ragione, dell’Abruzzo interno.
Domanda 1: perché non impiantare, nel 2007, la torcia al plasma italiana nell’industrializzata Emilia o nell’allora pimpante Nord-Est anziché ad Avezzano?
Domanda 2: perché non proporre l’inceneritore abruzzese in una zona densamente popolata della costa anziché ad Avezzano? (I prodotti del Fucino, sono trattati nei luoghi di produzione dentro la Piana e non in Molise, nelle Marche o nel Lazio).
L’ideologia costruita intorno all’operazione PowerCrop (il vezzeggiativo «termovalorizzatore», il presunto indotto, i 15 posti di lavoro, ecc.) non copre soltanto degli interessi inconfessabili, ma anche i rapporti di forza (di tipo politico) tra Avezzano e l’Italia, Avezzano e la Regione, Avezzano e L’Aquila, Avezzano e Celano. (Rapporti di forza, tutti sfavorevoli per il capoluogo marsicano). (2/3)

KsLT 20

1) Copio-e-incollo da una nostra testata on-line: «La magnifica Riserva naturale, comprendente un’area di circa 722 ettari, è regno del Pino Nero e dei Castagni; dalla primavera le vallate e le dorsali assolate, si ricoprono dei fiori gialli del salvione; in essa albergano la Poiana, il grifone, lo scoiattolo meridionale (che è
stato scelto come simbolo della riserva) l’istrice, il cervo, il Capriolo, e il cinghiale, la lepre, la volpe» – 30 giugno.
Ho solo aggiunto qualche spazio, quando serviva ed eliminato qualche altro superfluo. (Manca il riferimento alla fonte: non dovrebbe guastare l’effetto comico). L’oggetto dell’articolo, è il monte Salviano.
2) Cento anni di Woody Guthrie (1912-67). Lo sanno quei buffi personaggi che hanno tradotto ‘This land is your land’ per l’ultima campagna elettorale, da noi? Le ultime due strofe inedite?
3) Sono stato trattato con tutti gli onori ieri alla presentazione del volume di Sergio Natalia sul suo paese – Canistro tra mito e storia. (Vestito in modo molto informale, alla mia maniera: qui non mi guarderebbe in faccia nemmeno una commessina da 500 euro il mese).
C’è solidarietà e collaborazione tra gli abitanti della valle del Liri. Sentono che stanno fabbricando un qualche cosa.

KsLT 19

Puoi capire qualcosa degli abitanti di un posto studiando gli idoli che essi fabbricano.
Mi sono trovato a ricordare qualcuno che non c’è più, attraverso le strategie che utilizzavo nei suoi confronti, nel lavoro.
Correggevo un pugno di libri l’anno e una rivista (Site.it/Marsica – ci pubblicavo anche un disegno ogni numero). Lavoravo sulla rivista direttamente al computer mentre per i libri che non curavo direttamente, segnalavo gli errori sulle bozze di stampa. Nel caso particolare, segnavo alcuni errori con la penna rossa e altri con la matita: i primi erano da correggere mentre sui secondi si poteva sorvolare, pur essendo degli errori. Utilizzavo la matita in modo molto diplomatico per mostrare errori di tipo diverso da quelli che mi competevano. Capitava di veder attribuito un importante avvenimento agli anni Cinquanta mentre io lo ricordavo (lo collocavo) distintamente in una metà degli anni Sessanta.
Il mio lavoro seppur istituzionale e utile, non era apprezzato: l’interessato non prendeva bene i fogli che io gli rendevo «ornati» in quella maniera vistosa. Restava male che qualcuno annotasse i suoi errori d’ortografia ma soprattutto le (frequenti) lacune. Era infastidito dal fatto che una persona normale, insignificante, subordinata potesse avere da ridire sulle sue elucubrazioni. Chi ero io, da potermi permettere il lusso di criticare un personaggio investito d’autorità dai suoi compaesani? Uno che sembrava agli occhi dei fucensi una persona autorevolissima? (Per la città e il circondario anche allora, io non ero nessuno, a differenza di quella persona, che passava per molto colto).
Buona parte degli errori segnalati a matita, finivano per essere stampati, così com’essi erano stati scritti o ripresi da edizioni precedenti. (Conservo ancora dei curiosi bigliettini con le sue stravaganti raccomandazioni di tipo editoriale; il pezzo forte della collezione mi riguarda direttamente: in esso sono definito «arrogante», oltre ad altre gentilezze del genere).

mercoledì 10 ottobre 2012

KsLT 18

Il Tirreno (www.repubblica.it) del 10 giugno: «Camaiore, lo spettacolo dei tappeti di segatura» – seguono le foto.
Per anni ho dovuto chiamare la stessa cosa con il termine «insegaturata» giusto tra amici stretti: a Magliano dei Marsi la chiamano ancora (pomposamente) infiorata, anzi: «Florales».

KsLT 17

Dopo le nevicate di febbraio, qualcuno ha scoperto di vivere in montagna. Un’amica diceva: «Da quando abito qua non ho mai pensato di comprarmi un piumino, eppure siamo in montagna». La montagna era tirata in ballo anche discutendo della mancanza di un piano-neve: era già successo con le nevicate del dicembre 2010. La presenza costante del cinghiale nei video sparsi nel web, faceva piazza pulita di lupi, orsi, scoiattoli e aquile stampate sui marchi di parchi e riserve naturali: il simbolo degli Appennini era solo lui.
E’ materia di storici comprendere come si è prodotta una tale rimozione sia a livello nazionale e sia a livello delle stesse popolazioni montane. Io ho giusto qualche idea.
Gli italiani hanno un’immagine dell’Appennino dovuta essenzialmente al turismo estivo, alle case in multi-proprietà, ai condomini, alle piste da sci, agli alberghi in quota, alle settimane bianche. La montagna è un luogo di villeggiatura a costo contenuto, ormai. Ai villeggianti restano impressi nella mente i mirtilli, le fragole, i funghi e i tartufi ma non fanno caso a molto altro come boschi, metalli, acqua, pascoli, animali selvatici e domesticati, pietra e campi coltivati. Per non parlare degli abitanti...
Il cosiddetto marketing territoriale favorisce non solo l’afflusso di capitali dalle grosse città situate sulle coste, ma anche comportamenti, usanze e tic elaborati altrove. Dopo l’epoca della pastorizia transumante, è iniziato il lento declino degli Appennini.
Nel volgere di pochi anni nel secolo scorso – tra Rivoluzione verde e industrializzazione al Nord-Italia –, si sono svuotate numerose vallate del Meridione e dell’Italia Centrale. I montanari preferivano scendere in pianura o in città, andare al Nord o all’estero. Essi volevano semplicemente vivere in città, dove si
guadagnava di più e la vita era meno dura, per sé e per i propri familiari.
Si percepisce la montagna solo in casi eccezionali, da parte di chi ci vive e di chi ci arriva per le vacanze. Non si scrive più, si canta, si racconta o si parla della montagna. Sono scomparse le streghe, i fantasmi e i «mazzamurelli» – spiritelli marchigiani d’importazione.
L’ultima immagine recente di montagna che ho trovato su un libro, si deve a Giorgio Bocca. Il Piemonte degli anni Quaranta, nella cronaca del giornalista, era separato in due dischi – come una torta. I partigiani controllavano il «disco» superiore, mentre la pianura e le città, erano dominate dai fascisti e dai tedeschi. (1/3)

KsLT 16

L’Impero... I cinema del posto, mi hanno dato lo stimolo per conoscere il cinema. L’Impero mi ha fatto spendere un sacco di soldi in viaggi, da giovane per il taglio della sua programmazione.
Me n’andavo altrove a seguire una rassegna cinematografica e nei periodi passati in altre città, m’ingozzavo di film sapendo che sarei tornato in un posto in cui giungevano rare buone pellicole – nonostante le quattro sale aperte. Tra i passatempi più proficui dell’adolescenza, annovero l’organizzazione di cineforum – nonostante le quattro sale aperte e la lunghissima permanenza delle pellicole nelle sale cinematografiche, rispetto ad oggi.
E’ stata una soddisfazione sapere che l’avrebbero chiuso l’anno passato, che io gli sono sopravvissuto. (La demolizione è iniziata il 25 giugno. La ristrutturazione da cinema a multi-sala nel 2001, era stato un primo succulento assaggio. Nessuno proferì verbo allora, perché gli avezzanesi ignoravano la differenza tra cinema e multi-sala; tra un cinema-teatro del genere e una multi-sala. Giovanbattista Pitoni invece afferma sicuro che è: «una delle ultime testimonianze di un’Avezzano che non ha la forza e la capacità di resistere alle conseguenze negative di un malinteso progresso» – «Il cinema Impero 74 anni di storia demoliti dalle ruspe», in «Il Centro» 27 giugno).
Negli ultimi 40 anni l’avrei semplicemente raso al suolo. Io ci avrei fatto crescere l’erba nel rettangolo occupato dall’edificio e nient’altro; farlo tornare come al tempo degli Equi. Ci avrei lasciato giusto qualche capra a brucare e i gatti a prendere il sole.
Era un cinema come tanti e non IL cinema o il cinema della città: non un tema collettivo, ma una normale attività imprenditoriale ed è per questo (dopo la ristrutturazione), che la sua chiusura interessa poco alle persone. (Ettore Ricci rimprovera, nel web: «nella massima indifferenza generale», 27 giugno). Era andato fuori moda agli occhi dei miei compaesani che gli preferivano l’Astra: una multi-sala vera e propria. Non è un pezzo di storia d’Avezzano che se ne va, com’è stato scritto: è un articolo della cronaca o una pagina di diario. Un pezzo di carta ormai ingiallito.
C’è chi gli attribuisce, nella commozione del momento e senza timore di cadere nel ridicolo, addirittura un qualche valore di tipo architettonico.
(Il bicchiere è mezzo pieno. Mi fa piacere che, 8-10 nuove persone verranno ad abitare in un centro che si va spopolando d’anno in anno).

martedì 2 ottobre 2012

KsLT 15

A gennaio, ho scritto dell’«ex-cinema Impero» che stava per sparire.
Giorni fa è iniziata l’opera di smantellamento della struttura: sono partiti con una ruspa dal locale dell’ex-pasticceria, inglobato negli ultimi anni di vita. La gente, come l’ha presa?
Più di uno, si è prodigato a scribacchiare una storia o ha abbozzato dei tentativi di commemorazione e non riuscendovi, ha ripiegato sull’infilare ricordi personali. (E’ molto avezzanese tutto ciò). Lucia Proto nel forum di una testata on-line (MarsicaNews), lo ha definito: «l’unico servizio culturale presente nel Centro di Avezzano» – 9 giugno.
A nessuno è balzato in mente che quel locale ha vissuto un periodo critico lungo oltre la metà della sua esistenza: è stato inaugurato nel 1938 e chiuso nel 2011. (La crisi del cinema e delle sale italiane, risale alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso).
Io non ci mettevo più piede da 3-4 anni e forse per questo ho risentito poco del distacco – se così si può chiamare. Nostalgia per le commedie sexy all’italiana, i peplum, i filmetti catastrofici, i porno, le commedie all’italiana, i blockbuster made in U.S.A., i cine-panettoni, i cosiddetti nuovi comici, i filmini giovanilistici? No, sicuramente. Uscii una ventina di minuti dopo l’inizio di Malizia (Samperi S., 1973) e rimasi in piedi l’ultima mezz’ora di Papillon (Schaffner F.J., 1973), indeciso se andarmene o restare. (Pellicole del genere oggi, avrebbero ben altra dignità).
L’avezzanese medio, va al cinema giusto per farsi «quattro risate».

KsLT 14

Ho inviato un paio di commenti ad un editoriale del 13 giugno, su MarsicaNews. Avrei dovuto picchiar duro su quello precedente del 5 giugno in realtà, dall’eloquente titolo: «Allarme!».
Si lanciano allarmi periodici sulla pericolosità d’alcune lavorazioni nella Marsica e questa volta è toccata a Micron Technology Italia.
Il principale errore nella recente polemica sulla presunta nocività della Micron, risiede nel fatto che sono state comparate due situazioni molto diverse: una «tigre» asiatica ha una storia industriale e politica più breve di un qualsiasi Paese del Vecchio continente. (Anche di relazioni industriali: il diritto alla salute e alla sicurezza non è mai un gentile omaggio dei «padroni delle ferriere»). D.: che conosciamo dei sistemi produttivi della Corea del Sud? Ammesso non concesso che i due sistemi produttivi siano uguali, il numero dei morti alla Micron (anche Texas-Micron) è maggiore, uguale o inferiore rispetto a Samsung Electronics? A parlar chiaro:
quanti sono i morti di «leucemia mieloide acuta» dentro Micron (anche Texas-Micron), in questi anni? Non dovrebbe essere difficile controllare tra i dipendenti trentenni, quarantenni e cinquantenni che hanno perciò un’anzianità di servizio maggiore della «bella ragazza di soli 32 anni» e di altri suoi giovani colleghi. (Ci sono mai stati?).
Vale lo stesso discorso per Telespazio: quanti dipendenti soffrono delle patologie derivanti dall’esposizione a quel tipo di radiazioni? (Chi conosce le patologie derivanti dall’esposizione a quel tipo di radiazioni, da noi? Immagino sì e no lo 0,5% dei marsicani, a giudicare dal numero spropositato delle leggende che circolano al
riguardo – da decenni). E’ senza senso la congettura: «se l’impennata di tumori c’è stata quando è sorta Telespazio, difficile appellarsi alla casualità piuttosto che alla causalità!» – 13 giugno.
In Occidente un qualsiasi lavoratore, conosce i rischi che egli incontra ogni giorno e a distanza di tempo; il lavoratore è una figura centrale nella prevenzione degli infortuni. (Gli imprenditori italiani che investono in Bric, nell’Estremo Oriente o nell’Est Europa, non lo fanno solo per risparmiare sugli stipendi e sui contributi, ma anche perché altrove gli standard di sicurezza sono più bassi, rispetto a noi).
Non poteva mancare, nella polemica scoppiata nel web, un accenno alla pratica del fracking (senza alcuna specificazione), diretto colpevole del recente terremoto in Emilia-Romagna, a detta di qualcuno.

KsLT 13

 Mi capita di passare davanti a negozi chiusi da 2-3 anni, nelle mie passeggiate. Non penso tanto al commerciante fallito o trasferito – i negozi sono migrati in periferia dopo delle fabbriche e delle abitazioni ma prima degli studi professionali –, quanto al proprietario dell’immobile. Il personaggio in questione, è una persona che paga le tasse per non intascare nulla: non ha affatto bisogno dell’attività d’affittare una sua proprietà. (Ricorda l’Ancien régime). E’ una persona che chiede x e basta, dopo qualche anno x + y
e basta: prendere o lasciare.
Un paio d’articoli sul Centro ad aprile (l’8 e il 10), lamentavano il «caro affitti» da parte dei commercianti. (L’anno passato, avevo pesantemente ironizzato sulla categoria che era entusiasta della vendita del plesso Corradini-Fermi per ricavarne una cosiddetta galleria commerciale e nemmeno immaginava che un’operazione del genere avrebbe sconvolto il mercato immobiliare).
Passeggiando dalle parti del nucleo industriale, mi troverei di fronte ad una situazione simile alla precedente: capannoni in attività, capannoni abbandonati e nuovi capannoni. Ci sono dei vuoti – di tipo diverso –, anche in questo caso, mentre lo spreco di suolo è palese in tutti e due i casi. Gli amici marsicani sparsi ai quattro angoli della Terra, che cosa dicono in proposito? I mall sono in crisi nel Nord-America – dove sono stati inventati –, quelli che chiudono i battenti sono talvolta ristrutturati. (Dopo alcuni decenni d’effervescenza, i centri commerciali iniziano a perdere il loro appeal nei confronti dei clienti). Si ristrutturano fabbriche abbandonate un po’ ovunque tranne che in Italia. Silicon Valley è conosciuta per il ricambio continuo delle attività che si svolgono dentro i suoi anonimi capannoni. (Lo spazio nel Nord-America è l’ultimo dei problemi, a differenza della Penisola).
La situazione è diversa per quanto riguarda i negozi ed è legata alla percezione della crisi. In Italia si parla della crisi economica mondiale da circa un anno e mezzo mentre altrove hanno preso a discuterne da quando è scoppiata (oltre 4 anni fa). Da noi si spera ancora in una ripresa del settore mentre Oltralpe, con una densità minore di negozi rispetto alla nostra, non ci pensano minimamente. Si accetta un futuro con meno punti vendita. Nel Regno Unito c’è chi possiede un locale chiuso dalla crisi e abbassa l’affitto; incassa
meno in tal modo e viene incontro ad un nuovo esercente o ad altro soggetto (artista, videomaker, ecc.).

martedì 25 settembre 2012

KsLT 12

Ho rimesso il naso fuori da questa città, dopo 7-8 anni. Ho passato un periodo sufficientemente lungo da accorgermi che Avezzano è peggiorata rispetto ad altri posti. (Viaggiando di più un tempo, a me sembrava di
vedere le stesse cose, gli stessi processi ovunque).
Le città italiane sono degradate negli ultimi lustri ma Avezzano ha preso giusto i peggiori difetti dalle altre. Mi dà un’idea di miseria e di pacchianeria.
Mi capita di passare un paio di volte ogni giorno davanti a Libero House (largo M. Pomilio) e noto com’è stata ridotta la vecchia e sobria facciata: cartelloni ingombranti – a coprire perfino il balcone –, loghi imponenti (corona) alle bucature. Questa invece, è una forma di volgarità.
I bar del centro intanto, si preparano al karaoke per la prossima estate. (Il karaoke è una forma di spettacolo risalente agli anni Ottanta del secolo scorso).

KsLT 11

Molti negozi d’abbigliamento sono rimasti aperti, durante la festa della Repubblica: «si viene incontro alle esigenze degli operatori, ma anche e soprattutto dei consumatori». I consumatori marsicani sono stati squisiti impippandosene alla grande, dell’attenzione dei commercianti.
«Non c’è più religione» ma non per tutti. C’è chi crede che i negozi avezzanesi chiudono per via dell’anello a senso unico o per la mancanza d’aree di sosta al centro: questa è superstizione, però. D.: dove vorrebbero costruire altri parcheggi al centro?
(Copio-e-incollo dal web). Vittorio Sgarbi: «L’Emilia saprà reagire, non come l’Abruzzo che si piange addosso... Se il terremoto avesse colpito nel Meridione la tragedia sarebbe stata doppia» – 20 maggio 2012.

KsLT 10

(The Mothers of Prevention). Torno sulla lettera anonima apparsa su Il Velino 66/9. Ci si può parlare diversamente tra noi.
Lo scritto è un frutto del peronismo in salsa meneghina di questi decenni, della cultura del talk show. Non si confuta un’opinione ma si mette sotto una luce sinistra chi la esprime. Io appartengo secondo l’autrice (non ci vuole molto per capire il sesso di chi scrive), al «ceto medio riflessivo» – nemmeno al «precariato cognitivo», coi tempi che corrono. (Sono accreditato al «medio alto», altrove). Il fatto vero o falso, non importa: ai nostri tempi è una vergogna incassare soldi e leggere qualche rivista. (Vero o falso che uno disponga quattrini; vero o falso che uno legga dei libri. Vere o false le due cose insieme).
Dà scandalo un personaggio «chiamato al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno» – dimenticando di specificare da chi è stato chiamato e il nome della macchina o del meccanismo che sta sabotando.
(A guardare le cose da lontano). La nostra società perdura da secoli anche perché i suoi elementi hanno a disposizione diverse scelte nelle loro faccende. Nella società vive una credenza, un pensiero generale,
seguito dalla maggioranza insieme con altri meno «ortodossi». Poco ortodossi per via di chi li formula ma altrettanto importanti per la sopravvivenza della cultura e di riflesso, della società stessa. Conformisti o poeti, conformisti o pittori. Si sta da una parte o dall’altra, discutendo civilmente senza offendere o delegittimare chi
si trova nel settore di fronte.
(Ho sbagliato ad infilare il blog in una deriva «movimentista», cinque anni fa. Dovrò limitare, fino ad azzerarle, le mie uscite – articoli, commenti – su altre testate. «Riflessivo». Quel termine è un insulto per qualsiasi artista della mia e della precedente generazione, cresciuto con più di un flirt per il buddhismo).

sabato 22 settembre 2012

KsLT 9

Un dettaglio. Giusto per capire come funziona (male) questo angolo di mondo.
C’è stato un torrente di nomi per la composizione della futura Giunta comunale, dopo le elezioni. I nomi ufficiali erano talmente tanti, da farci uscire almeno tre giunte – senza contare i semplici contattati.
Il sindaco-tecnico in «Il Centro» del 28 maggio: «Quanto alla cultura sceglierò una persona al di sopra delle parti». Le parti, quali sono? I partiti politici, gli spettatori, i produttori, le associazioni culturali, la bigliettaia?
Il pezzo prosegue: «Operazione non facile se è vero che gli esperti di cultura sono bene o male inseriti in associazioni oppure fondazioni di settore». Stanno proprio così le cose o è un’immagine come tante? E’
l’immagine che dà un giornalista o un politico – non un «tecnico» –, della nostra congiuntura. Il panorama culturale eccede l’establishment, in generale.
L’attuale situazione è figlia più o meno legittima del nicolinismo degli anni Settanta. Renato Nicolini (1942) non era né «al di sopra delle parti» – era comunista –, né un «tecnico» – faceva l’architetto; egli era un militante con solide letture alle spalle e qualche idea chiara. L’errore d’oggi consiste nell’assegnare un incarico a qualcuno che conosce minuziosamente il proprio orticello ma che ha un orizzonte particolarmente basso. (Ammesso che la faccenda, vada a finire così. E’ anche bene ricordare che tali assessori-tecnici, resteranno in carica solo alcuni mesi). M’aspetto qualcosa di meglio rispetto all’oggi? No.
Sta per uscire Il suono del mio passo: io lo segnalo giusto perché è la mia ventesima pubblicazione. E’ una novità editoriale perché è un testo di uno che va a piedi sul camminare. Non lo filerà nessuno, in quanto tale.

KsLT 8

Ho letto – ripetuto fino alla noia – l’uguaglianza: non-voto = antipolitica, da noi e nella Penisola.
Antipolitica è un termine di cui non si conosce il significato e chi lo pronuncia, vuole dominare l’interlocutore o colpirlo, in ogni modo. (Risulterebbe più simpatico: non-voto = «sarchiapone». «Lei è proprio
un bel sarchiapone matricolato!»).
Non votando alle Amministrative, io faccio parte dell’antipolitica o «sono», l’antipolitica. D.: quando, invece, io voto ai referendum e alle Politiche? Non sono un buon avezzanese e un buon abruzzese, ma sono un buon
italiano: Ok. Votando per il Senato e annullando la scheda della Camera, sono ancora un buon italiano? Votando un quesito referendario (dispari) e non prendendo la scheda di un altro (pari), sono un cittadino decente?
Chi sparge un tale termine è almeno una persona superficiale, che ignora le persone cui si rivolge. Chi dice antipolitica, è soprattutto un ignorante della politica.
(Mi auguro che le piogge d’autunno spazzino anche «antipolitica», dopo «attimino», «Tutto a posto?», «Ti auguro una buona serata!», «Tu che proponi?». Lo auguro a me e all’Italia intera).

KsLT 7

Rispondo alla lettera che mi ha chiamato in causa, nello scorso numero.
Il mio pezzo (Il Velino 64/7, 15 aprile), che trattava del diritto
all’istruzione nell’età dell’obbligo scolastico in Europa, non era
contestato nel merito, nel senso: si possono criticare le decisioni
degli amministratori per questioni legate all’urbanistica, da tempi
remoti. (Mostravo in modo «tridimensionale» com’è stato attuato il
diritto all’istruzione per alcune fasce d’età. E’ questo l’oggetto del
mio articolo e non la vendita della Camillo Corradini d’Avezzano come
mi viene attribuito).
Non è specificato il contenuto delle obiezioni al mio articolo e una
delle poche cose chiare è che esso ruota intorno alla coppia
concettuale «nuovo-vecchio». Nelle conversazioni, può passare senza
creare imbarazzo l’espressione: «nuovo teorema» riferito ad un
matematico che lo ha elaborato o che la musica di Reich (1936)
rappresenta «il nuovo» rispetto a Ravel (1875-1937). Va ancora meglio
con: «vecchia ciabatta» o «camicia nuova». «Nuovo» è un concetto poco
produttivo quando si parla di città – che funziona all’incirca come un
vivente. (Interessa a qualcuno sapere che sono più nuovo di quando ho
iniziato a scrivere questa risposta, ma più vecchio dopo che la
invierò alla redazione?).
Stabilito sul terreno con lo spago, il perimetro di un insediamento e
delle sue parti costitutive (palazzi, piazze, quartieri, arterie
principali, ecc.), il gioco è fatto. La città riproduce se stessa su
se stessa; incessantemente per millenni.
I Romani hanno costruito molte chiese dentro le aree riservate al
culto e direttamente sul basamento dei templi pagani – una volta rasi
al suolo. Non è balzato in mente a nessuno di usare lo spazio e di
riutilizzare i muri di un edificio religioso per un’abitazione, un
magazzino o una stalla. (Terreno e tipo di costruzione sono
strettamente legati).
Negli ultimi decenni alcune chiese sconsacrate sono trasformate in
teatri nelle grandi città, ma non in supermercati, uffici o
abitazioni. Nel nostro modo (europeo) di vedere le cose, vale
generalmente l’equazione: scuola = galleria commerciale. E’ giusta
sempre? No, nel caso della Corradini A e B in quanto per moltissimi
avezzanesi, tale gruppo d’edifici (anche la Mazzini) è divenuto negli
anni un tema collettivo. Il plesso scolastico è equiparato ad una
struttura di un ordine superiore e si ritrova perciò nel novero dei
temi collettivi per definizione (cattedrale, tribunale, municipio). Mi
fermo qui.
Ho trovato nella lettera qualche allusione e imprecisione di troppo
nei miei confronti (c’è di peggio, in realtà): tali elementi rientrano
nell’economia della stessa lettera che non vuol criticare uno o più
pezzi pubblicati dal sottoscritto, quanto tratteggiare il profilo di
una categoria di persone. Una siffatta categoria in tal modo, è pronta
per essere affidata al plotone d’esecuzione della plebaglia cresciuta
a Drive In, Bagaglino e Striscia la Notizia.

sabato 15 settembre 2012

KsLT 6

A dicembre se ne saprà di più della relazione su cui sto scrivendo, uno studio che è finanziato dal ministero dello Sviluppo economico e dal Comitato Abruzzo (Confindustria, Cgil, Cisl, Uil). M’interessa di scoprire quale ruolo sarà svolto dal concetto di smart city, nella redazione finale.
Io credo poco che un’area disomogenea riesca a svilupparsi maggiormente dopo una catastrofe che ha interessato una sua parte, tra le più de-sviluppate: «L’Aquila e la regione Abruzzo hanno l’opportunità di diventare un prototipo e un modello come moderno luogo di vita del XXI° secolo», 2.1.13.
C’entra poco anche la: «volontà di decidere prima quello che vogliamo diventare e di ricostruire in un secondo tempo in funzione di queste decisioni», 2.1.12. (Scrivere una cosa del genere è un omaggio alla
storia di L’Aquila; scriverlo a 3 anni dal terremoto e con la ricostruzione che va a rilento, si rischia il ridicolo). C’è – per il momento – una strana commistione tra la smart city, il terremoto più in generale e la scarsità di risorse per la ricostruzione.
Un altro paio di questioni. Come si può: «migliorare la prevenzione del rischio e mitigare gli effetti di disastri naturali»? Nella relazione c’è una vecchia idea, già sperimentata – non sempre con successo – nelle metropoli: affidare un’opera architettonica ad una firma: «architetti di fama mondiale e di livello internazionale», 2.4.34. Ha bisogno di questo il cumulo di macerie e puntellamenti che noi chiamiamo L’Aquila, i cui cittadini hanno manifestato – di recente – contro il progetto (Renzo Piano) e la costruzione (pagata dalla provincia autonoma di Trento) di un auditorium temporaneo? Pier Luigi Cervellati e Salvatore Settis hanno denunciato, da tempo, il «rischio Pompei» per il centro storico del nostro capoluogo.
Mi lascia indifferente la faccenda di una nuova immagine, di un nuovo brand di L’Aquila e dell’Abruzzo nel mondo, per rilanciarla (in senso turistico) pur restando tagliata fuori del circuito nazionale.
Mi mette i brividi leggere: «è necessario che il processo di ricostruzione del centro città [...] sia intrapreso in modo da incoraggiare un più vasto rinnovamento urbanistico di lungo termine, in maniera da rafforzare le risorse immobiliari private e pubbliche e in modo da far sì che tutta la zona attragga maggiori investimenti nel
futuro», 2.3.25. L’Avezzano dei nostri giorni è rinata così, dopo il terremoto del 1915: auto-distruggendosi e consegnandosi agli speculatori di mezz’Italia. (3/3)

KsLT 5

Tra pochi giorni, vincerò la scommessa sul nome del nuovo sindaco.
Lo davo davanti al primo turno (48% e 44%), ma le cose sono andate in modo quantitativo e qualitativo diverso dalle mie previsioni. Immaginavo una minore percentuale dell’astensione (un incremento di oltre il 6%) e un minor numero (molto minore) di preferenze per i partiti e le piccole liste: non mi sono reso conto di quello che bolliva in pentola. Per niente.
Lunedì sera, si saprà che Giovanni Di Pangrazio ha vinto le Amministrative del 2012. (Lo do con quattro punti di scarto, anche questa volta).
I raggruppamenti maggiori hanno cercato di fidelizzare i loro votanti. Non importava loro, se uno scriveva il nome di questo o quel candidato per una questione di fiducia, di stima, di simpatia o altro. I maggiori partiti si sentivano «obbligati» nei confronti dei loro votanti.
(Ho fatto cambiare un punto del programma di un piccolo partito: è bastato un commento salace su una testata on-line. Non hanno letto il resto sul blog, per mia fortuna...).

KsLT 4

Un’espressione che ha colpito nella relazione al convegno «Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila», è: «città intelligente legata al territorio».
Noi già conosciamo il significato di smart drugs (nootropi) e smartphone: che cosa significa smart city? L’espressione è recente (2011) e si riferisce ad un progetto dell’Ue che individua e investe (non ricordando male, cifre modeste) in una serie di città medie che riducono i consumi energetici e utilizzano più razionalmente le risorse e le tecnologie di cui dispongono.
In Europa, città media ha un significato diverso da quello che ha in Italia e vuol dire un agglomerato a metà strada tra Londra, Parigi, Madrid, Berlino e un paese. (L’ultima, è quella con meno abitanti ma è più grande di Roma). Una città media «europea» in Italia è Bologna (387mila abitanti); la conurbazione Pescara-Montesilvano – in Abruzzo – è l’unica che s’avvicina alla città media: sono 2 comuni distinti – d’accordo –, ma rientra nella fascia delle città medie e il suo hinterland ha una giusta dimensione. M’interessa poco se il nostro capoluogo di provincia rientra o no nel canone delle città medie quindi delle smart city: la seconda parte dell’espressione o dello slogan è pleonastica, francamente. Vuoi che un agglomerato tra i 100mila e i 500mila abitanti, non abbia rapporti con il proprio territorio, in Italia? Esiste, sulla Terra, un qualsiasi insediamento umano che non ha rapporti con il circondario?
L’Ue prova a «costruire» delle nuove aree sotto i 2 milioni d’abitanti, con ridotta estensione territoriale, in cui si vive meglio consumando meno energia. Io mi chiedo se l’Unione, nonostante i suoi ridotti poteri, possa fare qualcosa in più per ridurre gli sprechi, la produzione di rifiuti e per un sistema di trasporto comune in grado di superare l’attuale modello basato sull’automobile privata – soprattutto nelle zone depresse, dove la «macchina» è uno status symbol. Ci vuol tanto a scrivere un decreto che mette fuori-legge lo strato d’incarti che avvolgono le merci, quando le acquistiamo?
Qualcosa è cambiato a livello individuale: esistono condomini «cablati» – anche da noi –, gente che si sposta in bicicletta; i tetti con pannelli fotovoltaici, l’«acqua del sindaco» (quella del rubinetto), i doppi vetri alle finestre, i cosiddetti prodotti a km 0, la lotta per i beni comuni, ecc.
Le altre due espressioni: «specializzazione intelligente a livello regionale» e «sviluppo locale gestito dalla collettività», mi dicono poco e le trovo un po’ banali. (2/3)

martedì 4 settembre 2012

KsLT 3

Una dozzina d’anni fa c’era bisogno di un’intervista a Miriam Mafai per una pubblicazione sul «cinquantenario» delle lotte del Fucino. (Non se ne fece niente dell’una e dell’altra).
Non se ne sono ricordati in molti, dopo la sua morte: «Era a capo dell’Unione delle donne marsicane, dirigente di una delle lotte straordinarie di quegli anni, quella per strappare ai principi Torlonia il lago del Fucino», Luciana Castellina, Una comunista che sapeva ridere, in «il manifesto» 10 aprile 2012.

KsLT 2

Tempo addietro, m’era capitato di scrivere sulla ricostruzione di L’Aquila che al posto di Cialente era meglio Chirac e che invece di Berlusconi, Mitterrand. Mi riferivo alla ristrutturazione del centro di Parigi negli anni Ottanta, ovviamente. C’è voluta l’autorevolezza di due personaggi di quel calibro (sindaco il primo, presidente della repubblica il secondo) per far digerire ai parigini e non solo a loro, un progetto che ha cambiato – bene o male – il volto al centro della capitale francese.
Sono stato incuriosito dalla relazione presentata al forum Ocse «Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila» – 17 marzo 2012. Un esterofilo come me, non poteva sottrarsi alla lettura di un documento dell’università di Groningen (NL) riguardante L’Aquila, la sua provincia e l’Abruzzo. Sono stato stuzzicato da espressioni come: «città intelligente legata al territorio», «specializzazione intelligente a livello regionale» e «sviluppo locale gestito dalla collettività».
La lettura è stata deludente sotto diversi aspetti. Io trovo la relazione superficiale ed approssimativa: molto «italiana», in una parola. E’ difficile da riconoscere la regione, da parte di chi ci abita. Manca in essa, un inquadramento storico dell’area cui fa riferimento. Il massimo che si riesce ad esprimere è che: «il percorso
di sviluppo della regione Abruzzo, e della provincia dell’Aquila in particolare, era piuttosto precario anche prima del terremoto del 2009» – 3.2.39. Si tratta di una banalità, considerato l’inizio dell’ultima crisi economica mondiale – fine 2007.
La storia c’insegna che l’Appennino è in crisi da tempo e si tratta di un vero e proprio declino, soprattutto nelle regioni meridionali punteggiate ormai da paesi abitati solo da vecchi. (I pastori di D’Annunzio, a cavallo del Novecento, rappresentavano un mondo scomparso).
E’ tutto così, l’Abruzzo? Certo che no. L’Aquilano appare tra le zone più arretrate della regione, da decenni. Esiste una conurbazione da almeno 200mila abitanti sulla costa, a differenza dell’interno dove il centro più popoloso non arriva(va) a 50mila. Non scorgo la possibilità, in un intervento che parte da una zona declinante, di coinvolgere e sollevare anche le sorti di aree che stanno meglio come la Marsica, la costa adriatica e soprattutto la Val Vibrata.
La relazione Ocse è un’occasione per rendersi conto di come ci osservano da fuori. Come ci vedono? Ho l’impressione che – per ora – ci considerano come la Valpadana: geografia, economia e cultura, tutto
uniforme. (1/3)

giovedì 30 agosto 2012

KsLT

Conoscendo Daniele Vicari da quando sono tornato da queste parti, m’interesso alla sua produzione. Comincia ad andargli bene e sono contento: è una persona seria.
Ho letto, nelle settimane scorse, numerose recensioni al suo ultimo lavoro. Mi hanno dato fastidio le più velenose, perché non analizzavano il prodotto con le categorie della critica cinematografica.
Un anno dopo Genova, ho infilato le tavole «Don’t clean up this blood» nella mostra e nel catalogo di Far/closer (inverno 2003). Me ne vivo isolato e nascosto; se io fossi stato un appartenente all’establishment, i vecchi arnesi della politica mi avrebbero crocefisso, in quell’occasione.

Krapps Last Tape

Riprendo.
Posto quello che ho scritto (ho continuato a scrivere) in questo intervallo, così come l’ho scritto – da aprile in poi. Il materiale sarà inserito nella sequenza originaria ed in modo cadenzato.
Mostro i pezzi degli ultimi mesi per rendere conto a me stesso, con il senno di poi, quante ne ho – in precedenza – azzeccate. Per vedere l’effetto (immagino comico) che fa. A presto.

lunedì 27 agosto 2012

venerdì 27 luglio 2012

Avviso 2

Miei cari e mie care, sto nelle stesse condizioni del mese scorso.
Apple Italia vende MiniMac solo con Leopard, bisogna aspettare che inizi a montare il nuovo sistema operativo.
Ci si sente tra un mese e spero di pubblicare dal mio computer.
Vi auguro buone vacanze, di nuovo e per chi ci va.

venerdì 15 giugno 2012

Avviso

Non riesco ad aggiornare da aprile.
Aspetto l'uscita sul mercato di Mountain Lion, un nuovo computer.
Ci si risente entro luglio.
(Buone vacanze).

lunedì 23 aprile 2012

XXIV marzo # 2

La Lista verde è servita a dare smalto a 4-5 anni d’analisi, materiali e rivendicazioni delle associazioni ambientaliste avezzanesi. Era più gratificante per (quasi) tutti, impegnarsi nella politica più che proseguire nel lavoro lento e capillare. (Lontano dai riflettori). Inizia da lì, il lento declino dell’associazionismo ambientalista. Nessuno pensò a piazzare 3-4 persone per tirare avanti – casomai – con un’unica associazione e con l’attività ridotta al lumicino. Un altro occhio, un altro cervello che pensa, un’altra mano che scrive. La morte sopraggiunse per inedia.
Mi ritrovai ben presto a fare il battitore libero, all’inizio degli anni Novanta. (Era un modo di vivere la cittadinanza, più che la militanza).
Bisogna riflettere anche sulla vicenda della Rng Monte Salviano. Si è trattato di una battaglia ambientalista che ha raccolto un altissimo consenso – 7mila firme su 35mila avezzanesi. E’ terminata con una vittoria: l’ultima in qualcosa per i miei compaesani. Legambiente (locale e regionale) e WWF (locale e regionale) si sono sfilate dall’inizio della vertenza: non erano interessate. Non m’interessava, francamente e manca, tra quelle 7mila firme, la mia e quella dei pochi altri rimasti. L’odierna generazione? (Nei miei disegni, mi sono esercitato più volte sul tema del «Parco che protegge anche le antenne»).
(La ripresa). Dai tempi della torcia al plasma (autunno 2007) noto che: a) c’è più gente interessata alle tematiche ambientaliste, rispetto al passato, b) le associazioni sono a carattere locale, c) c’è una maggiore informazione e competenza tra i soci; i gruppi agiscono a stretto contatto, d) c’è un maggior scambio intergenerazionale, e) last but not least: non siamo solo maschi.
Si è deciso recentemente tra ambientalisti, come tanti anni fa, di aprire un nuovo fronte: una scelta indovinata ma soprattutto saggia, non c’è bisogno d’aspettare altro tempo per giudicare. Si tratta di distribuire e dislocare le forze in campo al meglio, evitando sovrapposizioni ed attriti.

venerdì 20 aprile 2012

XXIV marzo # 1

Sarebbe stato utile un mese addietro, chiedersi perché il WWF apriva una sezione marsicana solo nel 2012. Era un’occasione per riflettere sul tempo andato, per fare storia. (La storia serve ad evitare errori nel presente).
Ai trentenni ed ai ventenni possono interessare gli ultimi 30 anni, perché la situazione odierna deriva da quella temperie.
L’inizio degli anni Ottanta, ricorda molto ciò che noi viviamo da alcuni mesi. C’era la stessa effervescenza, dovuta alla confluenza dell’esperienza anti-nucleare da una parte (nuovo Pen) e da quella pacifista dall’altra (missili a Comiso – RG). Da noi l’effetto fu particolare: il primo corteo pacifista avezzanese fu aperto da uno striscione che recitava «No alle testate nucleari, No alle centrali nucleari».
Dato il numero delle persone coinvolte, fu pensato a tavolino di portare ad Avezzano un’associazione e fu preferita Legambiente – non si chiamava così, allora. Fu una scelta azzeccata.
(In quel tempo, bastavano due righi su un quotidiano ed era facile bloccare buona parte delle intenzioni o dei progetti che andavano a colpire l’ambiente: una condizione paradisiaca rispetto ad oggi).
A metà anni Ottanta, bloccammo in buona parte la cementificazione dei corsi d’acqua abruzzesi; si trattò di una vertenza che vide la partecipazione d’alcune sezioni locali delle associazioni, più dei gruppi locali. A trascinare tutto, ci pensò la Malaerba (Pescara).
Fu molto sentito dai militanti del tempo, il referendum anti-nucleare.
A forza di predicare per l’istituzione di parchi, oasi ed aree protette, non ci accorgemmo – a livello collettivo –, che gli enti pubblici (Stato, Regione, Provincia, Comuni) prendevano a perimetrare delle zone in modo da avere la situazione che c’è oggi. Arrivarono poi, le Liste verdi...

martedì 17 aprile 2012

Drowning by numbers

Durante le campagne elettorali, è usanza largheggiare nelle promesse da parte dei candidati: non si scandalizza nessuno. Da noi si va oltre e s’invade il campo delle fredde cifre.
Risale a pochi giorni fa questo pezzo: «risolvere il problema dell’accesso quotidiano di 100.000 persone». La città in questione è Avezzano.
In molti cominciano a ripetere – quasi con orgoglio –, che da noi giungono 100mila persone ogni giorno e la cosa non mi stupisce, visto il basso numero di quotidiani e libri venduti. (Risulta essere tra i più bassi d’Abruzzo che appare tra le regioni dove si legge meno).
La domanda da porre è: dov’è scritta tale quantità? (Autore/i, titolo/i, casa/e editrice/i, anno di edizione). Ci si può anche chiedere: come si desume? (Autore/i, titolo/i, casa/e editrice/i, anno di edizione).
Non è scritto in nessun testo tale quantità ma va ricavata. Analizzando i dati del nostro traffico veicolare – sono documenti pubblici –, spunta fuori che i mezzi in uscita da Avezzano sono più numerosi di quelli in entrata.
Spero che l’esagerata cifra, sia solo una costruzione della fantasia.

sabato 14 aprile 2012

da "Il Velino" 64/7

Rispondo alla mia maniera al quesito: Perché sono possibili le critiche ai recenti piani per l’edilizia scolastica del Comune d’Avezzano?
Ho percorso circa 200 metri ogni volta che mi recavo alle elementari o alle medie. Per coprire il tragitto, impiegavo dai 10 minuti al quarto d’ora. Si sono allungate le distanze e sono cambiate le modalità (andavo a scuola da solo) alle medie superiori. Io percorrevo una distanza maggiore dieci volte, di quella che separava casa e gli edifici delle elementari o delle medie, nell’ultimo anno di liceo scientifico.
Non ricordo proteste (mie o altrui, nonostante la turbolenza di quegli anni) per la nuova sede del mio liceo, né per quella dell’Istituto magistrale o dell’Istituto d’arte. Nessuno s’è mai lamentato per la distanza da via Mazzini del Serpieri, né per lo spostamento dell’Itis oltre la ferrovia.
La mia esperienza è identica a quella degli italiani vissuti almeno negli ultimi 70 anni. Il trasaccano, il pescinese o l’aiellese, dopo la scuola dell’obbligo – frequentata sotto casa – può andare al liceo classico d’Avezzano, al conservatorio Casella (L’Aquila), al liceo artistico (Roma), alla Scuola del fumetto (Milano).
La frase: «La concezione della scuola di quartiere dove un centinaio di bambini assiste alle lezioni è ormai obsoleta», letta in «il Centro» 29 ottobre 2011, è fuorviante. Non esistono scuole di quartiere perché le unità minime d’urbanizzazione (quartieri) presentano grandezze molto diverse tra loro, lungo la Penisola. (Una concezione basata sul niente non può divenire obsoleta).
La scuola italiana dell’obbligo risponde ad esigenze di distanza massima dalla residenza, più che a concetti di tipo geografico o architettonico. Si tratta di metri. L’istruzione è anche un diritto e per questo il regno sabaudo ed il fascismo prima e lo stato repubblicano poi, hanno disseminato le nostre città di strutture scolastiche. Lo stato facilita il più possibile l’accesso dei giovani cittadini all’istruzione, in modo particolare nel periodo dell’obbligo. E’ una questione di diritti, che non è messa in discussione nemmeno dal ricorso all’argomento di tipo consumistico: «Tanto la macchina ce l’hanno tutti». Non è vero che tutti possiedono un’automobile: è una diceria da bar ed anche classista.
(Un grano di buonsenso). E’ meglio fare la spesa a 100 metri da casa (a piedi, in bicicletta, in moto, in automobile), oppure a 2 km di distanza (a piedi, in bicicletta, in moto, in automobile)?

lunedì 9 aprile 2012

beans field

Tempo addietro, ho raccontato la mia esperienza con Il Velino.
All’inizio erano i cattolici che non leggevano la rivista a chiedermi: «Perché ci scrivi, che ci scrivi a fare?». Oggi sono i cattolici che la leggono a consigliare di non «sprecarmi». (Gli amici, generalmente, leggono quei miei pezzi sul blog).
Scrivo su quella pubblicazione perché m’è stato chiesto. (Ho già precisato: «Non collaborerò mai ad una rivista, un sito, un blog o ad una fanzine – anche lontanamente –, fascista, xenofoba o razzista»).
Non solo. Le riviste avezzanesi, fino a 5-10 anni fa, erano quasi dei bollettini che contenevano gli scritti di 3-4 persone, ciascuna delle quali pubblicava uno o più articoli a numero. Si parlava di se stessi e di quello che si combinava nel tempo libero o degli amici imbrattacarte o imbrattatele (numerosi, gli uni e gli altri). Hanno cambiato qualcosa nella vita della città? No. Restano delle tracce di tutto ciò? No: è tutto scomparso con le élite del tempo. (Ad Avezzano, si entra nell’establishment per diritto dinastico più che per cooptazione). Quei materiali ci dicono oggi, quanto provinciali eravamo ieri. E poco altro.
Intorno alla rivista Il Velino, gravita almeno una quarantina di collaboratori e numerosi sono gli argomenti trattati ad ogni uscita – oltre alla religione, ovviamente. Si tratta di gente che ruota intorno ad un direttore responsabile e che lavora – sovente – per progetti.
Ci sarà ancora la persona che vuol parlare solo di se stessa o che cerca un’occasione per promuovere i propri fogli imbrattati a tempo perso: tutto si disperde nella misura delle 20 pagine formato tabloid e nell’eterogenea massa dei lettori. E’ un gradino più in alto, rispetto al passato. Potendo dare una mano a mantenere tale situazione (senza pensare di cambiarla o migliorarla), lo faccio volentieri.

mercoledì 4 aprile 2012

all tomorrow's parties

M’è capitato di leggere sul Centro, a proposito del cosiddetto restyling di corso della Libertà, che chi si opponeva al progetto era interessato «più a strumentalizzare e alzare polveroni», secondo il sindaco – in Berardinetti E., «Floris: il progetto va avanti, Isola pedonale, per il Comune il commissario non serve», in «Il Centro» 16 luglio 2011. Nel pezzo non era citato il nome o i nomi dei soggetti o delle persone a favore delle quali era messa in atto la strumentalizzazione.
Alcuni giorni dopo, un concetto analogo è espresso dai «rappresentanti del Comitato nato da poco a sostegno di corso della Libertà»: «il loro no a prescindere fa pensare più a una speculazione politica» – in Berardinetti E., «Corso senza traffico. I negozianti contro Wwf e Italia Nostra», in «Il Centro» 19 luglio 2011. Nel pezzo, anche in questo caso, la giornalista ha dimenticato di chiedere o di riportare il nome del partito, della lista, delle persone o del movimento beneficiario delle azioni messe a segno dagli oppositori del cosiddetto restyling.
Le elezioni amministrative di maggio, è la prima occasione per capitalizzare la leadership e la visibilità acquisita da parte di tante persone, come me.
Ho dato una scorsa alle liste e non ho notato alcun partito o lista ambientalista, neanche vagamente.
Degli oppositori di allora, delle firme e delle facce in prima fila, io non ne ho notato alcuna nelle liste. (Bisognerebbe, la sera del 7 maggio, dare uno sguardo anche ai registri di sezione, per vedere quante di quelle decine di persone si sono recate al seggio).
Sarebbe interessante conoscere ora, il parere di Antonello Floris e dei suoi creduli e volonterosi bottegai di Corso della Libertà (solo loro e nemmeno tutti). Adesso.
Rispondere alle nostre obiezioni? Funziona di più gridare al complotto e tirar fuori frasi fatte ed amenità, ad Avezzano.
(Chi più si è interessato a questa disgraziata città, s’è defilato per l’occasione: è il tempo dei maneggioni, dei loro clan e delle clientele. «Confidiamo in Dio e teniamo asciutte le polveri da sparo» – O. Cromwell).

sabato 31 marzo 2012

da "Il Velino" 63/6

Altre crepe. Bisogna guardarci dentro per scoprire i motivi della crisi di un comprensorio, una crisi che non è solo congiunturale.
Ho assistito, per questioni anagrafiche, alla nascita del nucleo industriale d’Avezzano e, nello stesso tempo, alla fine del mondo contadino, da noi. In quel periodo in Italia, si decideva di fissare definitivamente lo sviluppo industriale (lo sviluppo tout court) lungo le fasce costiere.
M’è capitato, di dover scrivere sulla realtà produttiva fucense al tempo dell’università, negli anni 70. Detti un giudizio duro: sia l’assistente sia il docente conoscevano meglio di me, la breve e poco effervescente vicenda del nostro insediamento. (Il quotidiano Lotta Continua alcuni mesi prima, aveva pubblicato un’inchiesta da cui risaltava un numero sproporzionato di pensioni «agricole» rispetto ai lavoratori del settore, in Abruzzo).
Manca una qualsiasi analisi di tipo storico sul Novecento nella Marsica. Io m’accontenterei di qualche centinaio d’operai in meno nel nostro nucleo industriale e 2-3 fabbriche che stanno in piedi da sole in più. Gli imprenditori d’oggi provano ad uscire indenni dalla fase di de-industrializzazione rivolgendosi alle costruzioni oppure investendo – si fa per dire –, nell’energia.
La sensazione odierna di declino, di «spoliazione», è un effetto collaterale del fallimento delle scelte strategiche risalenti agli anni Ottanta. Avezzano e la Marsica, dopo aver archiviato frettolosamente la stagione dell’agricoltura e dell’industria, hanno puntato su un modello di sviluppo basato sul commercio e la pubblica amministrazione. (E’ bene osservare la vicenda della «provincia AZ» sotto questa luce).
Una scelta tanto sbagliata e miope non fu corretta, né tanto meno registrata dalle nostre parti nel decennio successivo quando l’Italia scoprì d’avere una rete distributiva «arretrata, fragile e costosa». I negozi non chiudevano per fattori esterni ed i prezzi delle merci erano alti perché bisognava «mantenere» troppi venditori.
Non ci ha insegnato nulla neppure il terremoto (2009), nella città degli affittacamere.
Oggi i marsicani la prendono con la crisi monetaria internazionale per le scrivanie e gli uffici dirottati altrove, mentre dovrebbero invece temere un qualsiasi governo nazionale o regionale che vuol tenere i conti in ordine.

lunedì 19 marzo 2012

waka/jawaka

Tanto per rinfrancare lo spirito:
www.site.it/liberta-di-stampa-intimazione-a-siteit-dal-comune-di-celano/03/2012/
www.primadanoi.it/news/525568/Piccone-in-ospedale-il-Comune-censura-e-offende.html
www.marsicanews.it/index.jsp?inizio=1&id=221&dettaglio=18854

sabato 17 marzo 2012

da "Il Velino" 62/5

S’è aperta una crepa l’anno passato: «L’immagine degli screzi tra commercianti ed ambientalisti è fuorviante [...] e serve a coprire lo scontro vero tra la città “dei cittadini” e quella “della rendita”» in «Pasticcio avezzanese», agosto. Franca Sanità (Cna) affermava a dicembre: «non esistono posizioni inconciliabili fra chi si batte per tutelare l’ambiente e migliorare la qualità della vita dei cittadini avezzanesi e chi difende gli interessi del piccolo commercio e dell’artigianato». Ho scritto ad ottobre, sullo schieramento favorevole al restyling di corso della Libertà: «Non piace probabilmente agli altri commercianti, dato che si sono tenuti un po’ in disparte (loro ed anche gli artigiani): non hanno tenuto il moccolo all’Amministrazione, com’era successo al tempo della vendita della Corradini-Fermi». (Confcommercio impegna sul plesso anche il prossimo sindaco – 30 gennaio. Il project financing non è passato per qualcosa più di un «cavillo giuridico»).
E’ bene metterci le mani dentro la crepa. «L’urbanistica e l’edilizia rappresentano due settori strategici per lo sviluppo economico della regione», Lanfranco Venturoni (Pdl) agli inizi di novembre.
Bisogna indagare sulle trasformazioni del centro per avere un’idea della politica delle ultime amministrazioni (cubature, mancato blocco delle licenze commerciali al centro, piano per l’edilizia scolastica, destinazioni d’uso, dehors).
E’ stato chiuso un occhio sulle ristrutturazioni e sulle ricostruzioni dei privati, incoraggiato la cessione d’edifici e spazi pubblici innescando un meccanismo insostenibile per la città e la società, nel tempo lungo. Il carico urbanistico ne ha risentito.
Altre crepe. La circolazione ingorgata allontana le persone dal centro – ma non solo –, alcuni negozi chiudono e c’è chi se la prende con gli amministratori. (Non hanno mai detto agli avezzanesi, costoro, che ci sono troppi negozi. I commercianti sono, tra l’altro, i maggiori azionisti dell’amministrazione in carica).
I dehors, col tempo, produrranno oltre a nuovi prodotti immobiliari (locali miniaturizzati) anche nuove frizioni tra commercianti ed esercenti: il dehors è la tipica struttura da isola pedonale. Gli esercenti spingeranno ancora per ottenere manifestazioni che prevedono la chiusura al traffico motorizzato.

venerdì 9 marzo 2012

Silence(s)

Ho notato che da quando sono stati definiti i candidati alla carica di sindaco, non si parla più dei problemi d’Avezzano nei mezzi d’informazione.
E’ come se – d’incanto –, il traffico automobilistico fosse più fluido, il porta-a-porta avviato e funzionasse a pieno regime, l’inceneritore PowerCrop allontanato. Gli attuali frequentatori della sezione commenti delle testate on-line si producono in professioni di fede verso questo o quel candidato. I nostri candidati spiccano per la loro sobrietà in fatto di commenti alla vita amministrativa locale, nella loro pur non breve esistenza. (Non sono da meno, gli aspiranti consiglieri comunali).
Chi commentava ed aveva, in ogni modo, un’idea della nostra città non ha più occasione d’intervenire mentre gli stessi candidati dimostrano di avere poche (è un eufemismo) e rabberciate idee sul luogo che vorrebbero amministrare per almeno cinque anni.
Il troncone del movimento carismatico di stampo populista che ha «governato» Avezzano negli ultimi dieci anni, manca – in maniera programmatica – d’idee: gli altri?

mercoledì 7 marzo 2012

Pettegolezzi

Ho seguito di striscio, a fine febbraio, una polemica legata ad un articolo pubblicato sul Corriere della Sera. L’autore è Antonio Pascale, mentre il titolo è: «Gli egoisti della decrescita». La polemica si è svolta tra scrittori (Pascale e Sandro Veronesi) meglio, tra scrittori italiani. (La discussione avrebbe avuto ben altro tono, altrove. Auster, Grossmann, Mc Ewan, Vidal, ecc.). Vale la pena di scriverci qualcosa.
Ho trovato il pezzo superficiale, in sé e ne consiglio la lettura, ovviamente.
Il punto non è tanto che Pascale non è Pasolini (nel senso: non possiede la «stazza»), né Parise e né Sciascia quanto che Pasolini (Parise o Sciascia), allorché andava – a suo tempo – fuori del seminato sulle pagine delle maggiori testate giornalistiche, egli studiava e si documentava.
Leggiamo ancora gli scritti di tali personaggi, costatandone i limiti – dopo alcuni decenni. Sono pezzi generalmente datati per via della loro età, ma si lasciano ancora leggere perché trasudano di passione civile e di cultura; restano dei documenti importanti, in ogni modo. (Il concetto di «mutazione antropologica» era insopportabile dal principio, ma non il suo contenuto; non è un caso che si continua a ragionare su quelle cose).
La bassa macelleria ideologica, era compito dei giornalisti (molto schierati) al tempo di Pasolini, Parise e Sciascia. Gli intellettuali d’allora provocavano dibattiti; gli scrittori d’oggi fanno cadere le braccia per la loro inconsistenza.

domenica 4 marzo 2012

Absolute Beginners

L’altro ieri ho inviato un commento su MN, Comunali ad Avezzano, le proposte di Sel:
www.marsicanews.it/jsps/135/Notizie/211/News/247/Tutte_le_notizie.jsp?inizio=41&dettaglio=18614&IDCOM=-1
(Qualcuno, a ragione, penserà che io debba aspettare qualche altro giorno, prima di riprendere la vita pubblica).
Il pezzo, riporta un programma elettorale: il primo – probabilmente anche l’ultimo – che appare nella campagna per le Amministrative di maggio.
(Detto tra noi).
Mi ha infastidito il linguaggio banale con cui sono enunciati alcuni obiettivi: punto 2) Opposizione alla realizzazione di impianti a biomassa, punto 8) Attivazione di un’isola pedonale permanente. Il punto 10 è l’oggetto del mio commento.
Tutto mostra un distacco incolmabile con la cosiddetta realtà, la vita sociale. Dove si vuol «attivare» un’isola pedonale? Centro, periferia, frazioni? Grande quanto? E’ la prima volta – soprattutto –, che si parla di problemi del genere?
E’ tanto complicato usare – dopo quasi cinque anni di lotte ed il Comitato marsicano NoPowerCrop –, il termine inceneritore al posto di centrale a biomasse o «termovalorizzatore»? (Evito di rammentare il nome ed il cognome di chi venne ad Avezzano a difendere gli inceneritori ed il nome del partito in cui adesso milita).
Ho mal sopportato il fatto che si rivangasse la questione del cosiddetto restyling di corso della Libertà: una faccenda conclusa cinque mesi fa. (Sottolineo: conclusa). I protagonisti della vicenda – quelli che hanno vinto, per intenderci –, hanno lasciato correre, hanno tralasciato di brindare o di festeggiare mentre quelli che sono stati sconfitti (dobbiamo annoverare anche Sinistra Ecologia e Libertà-Avezzano, a questo punto ed in qualche modo. Non è un onore perdere senza combattere), insistono. E’ solo un altro carnevale fuori stagione, tipico della città.

mercoledì 29 febbraio 2012

Kaddish

‘Strange now to think of you, gone without corsets & eyes, while I walk on the sunny pavement of Greenwich Village.’
Allen Ginsberg
(Grazie a tutti per la vicinanza, a presto).

da "Il Velino" 61/4

Nel 2011 è approdata da noi, la definizione «città-territorio», nel tempo della Grande Spoliazione. Non è diffusa in Italia e penso che l’approssimarsi delle Amministrative servirà a spargerla ancora nella comunicazione politica.
Ho raccontato all’inizio della mia collaborazione con questa testata, che il termine «città» dice poco o niente alle persone; «territorio» rimanda invece alle relazioni ed alle risorse. Il secondo è un fossile degli anni Settanta, quando indicava giusto una parte delle risorse presenti in un’area amministrata.
Metto all’opera il concetto tradizionale di «territorio» con due semplici esempi. A: La vegetazione della vallata X produce una quantità m di biomassa, utilizzata in parte dai residenti per il riscaldamento; è immaginabile sottrarre tale quantità all’uso civico (legnatico) per alimentare una centrale che produce, ad es.: 0,7 MW elettrici – in caso di bisogno. B: Osservando la vallata Y, m’accorgo che nel paese P1 si producono cereali, P2 ospita una centrale idroelettrica, in P3 si pratica l’acquacoltura, P4 è famosa per la raccolta di noci e mandorle e P5 è un borgo d’allevatori. Posso pensare e progettare agevolmente – a questo punto – un laboratorio di dolciumi in uno dei cinque paesi, in P6 o in P7. (Sono pensabili anche altre soluzioni, ovviamente).
Ci sono delle difficoltà ad avvicinare «città» e «territorio» – di là del trattino o meno: in città sprechiamo il suolo, l’acqua piovana, le foglie degli alberi ed il sole senza pensarci due volte. L’espressione, quando usata, significa all’incirca polo o attrattore.
Più che indicare una prospettiva, serve a coprire secondo me, la mancanza d’idee e di proposte su come ristrutturare i centri storici italiani dopo l’avvento delle recenti periferie e degli outlet. (A nascondere interessi inconfessabili, anche).
Chi s’è accorto del fenomeno, da noi?
Non ci trovo molta differenza tra città-territorio e l’ossimoro Centro Commerciale Naturale. Continuiamo ad aggirarci nelle nostre città ridotte a ciambelloni dopo gli anni Ottanta e lo spostamento in periferia di commercianti ed artigiani – dopo le abitazioni e le fabbriche nel secondo dopo-guerra.
D.: che fine farà la definizione «città-territorio»? Immagino la stessa di «attimino», «assolutamente» e «le tasche degli italiani».

domenica 26 febbraio 2012

Rock & troll music

M’è capitato di leggere «Il piano neve ha funzionato!», MarsicaNews 15 febbraio.
Spiccavano tra i commenti inviati, due che riguardavano la pista ciclabile: 1) «ho constatato che avevano liberato la pista ciclabile. E solo quella» 16 febbraio Toffy’, 2) «mi accorgo che la pista ciclabile è pulitissima» 16 febbraio MarsoMatto.
Sono uscito dall’ospedale il 17 mattina, e l’ho trovata quasi nelle stesse condizioni in cui si trovava al mio ingresso – il 15 mattina. Nessuno ci aveva messo le mani, tranne in un brevissimo tratto davanti all’Agenzia per la promozione culturale della Regione Abruzzo. (Nel senso: è stata confusa con il marciapiede. La pista ciclabile Nord, potendo interessare, è lunga oltre 3 chilometri).
Restando nei... due temi. Il 24, mi hanno tolto i punti ed ho notato, spostandomi tra casa e l’ospedale, che alcune parti della pista ciclabile Nord, sono stati sgomberati dal manto nevoso. I tratti in questione, sono stati prontamente utilizzati come parcheggio per le automobili o come marciapiede dai pedoni.
(Mi prendo una pausa, spero breve).

martedì 21 febbraio 2012

Appennino 2

Nei giorni delle nevicate, ho letto una frase il cui senso è: «Al Nord si spala, al Sud s’aspetta lo Stato».
Io rimprovero sovente – ai miei conterranei – la mancanza di consapevolezza di vivere in montagna. Una frase del genere mostra una mirabile ignoranza, più che un malcelato razzismo. Il Nord, che cos’è? dove comincia, dove finisce?
Preferisco utilizzare dei termini più concreti come Alpi ed Appennino. La prima è collegata alla Valpadana – alle fabbriche, per intendersi; la seconda, è una zona interna che ha iniziato il suo declino un paio di secoli fa e la tendenza s’è rafforzata negli ultimi anni Sessanta – con le politiche degli anni Sessanta.
Nei paesini e nei villaggi delle Alpi, sono presenti tre generazioni d’abitanti mentre in quelli dell’Appennino se ne incontrano due, al massimo. Le frazioni disseminate lungo l’Appennino sono abitate prevalentemente da vecchi, man mano che ci si sposta verso la Calabria: per questo mancano le braccia per spalare.
Tra vent’anni?

sabato 18 febbraio 2012

Appennino 1

In questi giorni nevosi, ho perso un po’ di tempo a guardare i video del web.
Ho notato, di là delle passeggiate sulla neve, frammenti di riprese d’animali. Volpe, lupo, cervo, soprattutto cinghiale. Il lupo appenninico compare nel marchio del Parco della Majella – l’orso marsicano (ora in letargo) in quello del Pnalm.
Il cinghiale? Il cinghiale è il simbolo dell’Appennino.

martedì 14 febbraio 2012

da "Il Velino" 60/3

Torno sulle celebrazioni del nostro terremoto.
Si tratta di messinscene talmente trite e ritrite da divenire interessanti, col tempo. Esse ci dicono molto sui marsicani, sugli avezzanesi in particolare.
Si ricordano generalmente e solo i morti anzi, «le vittime» Il termine «vittima», rimanda al mondo pagano quando erano gli dei a fare la storia degli uomini. Le religioni abramitiche hanno insegnato agli occidentali (ebrei, cristiani, musulmani, atei, agnostici) ed a molti asiatici che un conto è l’opera di Dio ed un altro conto, le azioni umane. E’ bene distinguere le due cose, sempre. (Si può essere d’accordo o meno sul fatto che è Dio a mandare la pioggia, ma si deve concordare sulla mano dell’uomo nelle piogge acide, cariche di contaminanti e che rovinano la vegetazione).
Mi chiedo ogni anno: chi commemora i morti del 1915? Si tratta di persone che hanno scarsi o inesistenti rapporti con gli stessi: bisogna considerare che sono passate almeno tre generazioni ed il caso d’Avezzano con un superstite su sei abitanti. I morti in quel sisma sono troppo distanti e perciò, affatto inquietanti. (C’entra poco anche il tipo di morte).
Impiegare il termine «vittime» o «morti», serve a poco anche per stabilire la qualità strutturale di un fabbricato. Le case ben costruite, hanno maggiori possibilità di scampare ad un terremoto rispetto a quelle tirate su, a casaccio. Sono degli uomini chi progetta, approva, costruisce e collauda un’abitazione.
Un sisma non può nemmeno cambiare una città o un comprensorio, come dimostra l’archeologia: gli storici sono affatto interessati alle nostre vicende. Il mio sindaco ha invece affermato che il terremoto: «cambiò per sempre il volto della città e della Marsica», lo scorso 13 gennaio. Gli uomini modellano anche l’ambiente che occupano, incessantemente. Nell’Appennino siamo abituati a ricostruire da secoli case, edifici, chiese, ponti e strade dopo un’inondazione, una frana, un incendio o un terremoto. (Abituati).
Si tratta di faccende solo umane: è bene discuterne in ogni modo, tra persone. E’ normale raccontare le vicende delle ricostruzioni, analizzarle per vedere se qualcosa poteva andare diversamente. Non è ancora successo questo da noi, soprattutto ad Avezzano; è un’anomalia che perdura da quasi un secolo.

venerdì 10 febbraio 2012

Wahlverwandtshaften

Girandola di bobcat, ieri pomeriggio. Il Comune ha fatto sgombrare dalla neve i tratti di carreggiata con le strisce blu. (Si trovano al centro, sì; i commercianti s’erano fatti sentire e s’era sparsa la notizia che il governo avrebbe rimborsato le spese per l’emergenza).
La neve, che fine ha fatto anche in questo caso? E’ stata ammucchiata sui marciapiedi contro i muri, per la gioia degli intonaci.
Si assiste alla battaglia per il parcheggio, lungo le strade. Chi ha liberato il posto sotto casa o quello che aveva occupato una settimana fa, lo presidia con bidoni, cassette per la verdura, sedie di plastica e listelli di legno, come se fosse una proprietà privata.
Si notano anche persone che per andare in un negozio, abbandonano l’auto in mezzo alla carreggiata provocando degli ingorghi.

mercoledì 8 febbraio 2012

White 3

Mi ha dato una brutta impressione la società locale durante la Grande nevicata – quello che resta di una società locale.
Ci hanno rimesso maggiormente gli abitanti delle zone abusive, quelli che avrebbero i problemi più grossi in caso di terremoto. (Non è difficile immaginare le difficoltà dei mezzi meccanici a sgombrare gli stretti vicoli dalla neve).
Ho letto nel Web resoconti allucinati di gente che lunedì scorso è andata in ospedale come me: non si sa più nemmeno camminare?
Molti altri non sono stati da meno, cresciuti a Mastro Lindo ed ora speranzosi che lo Stato con in semplice gesto fa scomparire ottanta centimetri di neve.
L’ordinanza di non circolare in auto è stata resa vana da 30 anni d’individualismo; domenica pomeriggio era pieno d’esibizionisti con il SUV.
«Viviamo in montagna», è stata la cosa più saggia che ho ascoltato in questi giorni.
Unfit, inadatti a vivere da queste parti. Gli avezzanesi vivrebbero bene, solo a Disneyland – ‘With the barkers and the colored balloons’.
Per rinfrancare lo spirito:
www.primadanoi.it/news/524600/L-informazione-Rai-sotto-accusa-«il-bluff-di-Porta-a-Porta-sull’emergenza-neve».html

martedì 7 febbraio 2012

White 2

Ai miei tempi, la gente (abitanti, commercianti, artigiani) spalava il proprio marciapiede per alcuni metri, il Comune faceva sgombrare la carreggiata; la neve era ammucchiata negli spazi liberi. Transitavano sia le poche auto e sia i pedoni.
Oggi, è tutto cambiato e il Comune fa spazzare giusto una parte della carreggiata. Il passaggio dei mezzi meccanici vanifica in molti casi, il lavoro dei residenti che aprono un varco tra il proprio portone e la strada. (Una parte degli avezzanesi passa il proprio tempo a scambiarsi foto della città innevata ed a lamentarsi sui siti Internet). La parte sgombra della carreggiata è usata dai pedoni e dagli automobilisti (è pericoloso per i primi); il pedone per stare tranquillo, deve seguire i sensi unici e la logica degli automobilisti. (Appaiono logiche cervellotiche agli occhi di chi va a piedi. Molti pedoni ignorano che bisogna tenere la sinistra, quando manca il marciapiede).
Piange il cervello, più del cuore, a vedere tanti parcheggi vuoti ed inutilizzati e tanta neve in giro.
Andando in ospedale ieri alle 8, ho avuto qualche problemino con le scale del sottopassaggio (quelle davanti alla stazione: impraticabili anche due ore dopo) e dalle parti della struttura (camminamento troppo stretto per auto e pedoni, tra via L. Einaudi e via E. De Nicola: pochi metri per fortuna).
Bisognerebbe rendersi conto che, in situazioni del genere, muoversi a piedi è il sistema migliore e più sicuro per spostarsi.
Avezzano è una trappola, per com’è (stata) ridotta. Paghiamo oggi anche per i parcheggi a raso degli anni addietro.
«Don’t play what’s there, play what’s not there».

sabato 4 febbraio 2012

White

Non ho molto tempo per pensare, andando in giro in questi giorni con 60 centimetri di neve.
Rientrando, faccio l’elenco delle (poche) persone che ho incontrato per caso. La maggioranza delle persone che incrocio, sono adolescenti che fotografano la nevicata: gli stessi, nel giro di un’ora, collocheranno i loro scatti su Facebook. (Non la vedono, quindi). I maghrebini girano allegri sotto i turbini di neve. (C’è il «battesimo» della neve?). Si vede un po’ di gente giusto in piazza; cammino e cammino senza vedere nessuno. (Nemmeno a spalare la neve davanti al proprio portone). Sono stato la seconda persona che è passata per via mons. Bagnoli, da ieri. Non ho visto pupazzi di neve in giro, nonostante la gran quantità di... materia prima. Sanno fare le statue di neve, i bambini d’oggi?
Tutto chiuso. Era aperto qualche bar ieri, a differenza di stamattina. Edicole chiuse e qualche SUV che arranca.
Gli spazzaneve sgombrano la carreggiata delle strade principali e spostano la neve su quelle secondarie.
Avezzano appare nella sua inutilità. Mi sono chiesto più volte: a che serve, un posto del genere?

martedì 31 gennaio 2012

da "Il Velino" 59/2

Mi sono sempre informato di quello che succede nelle città dove ho vissuto (Roma, Milano). Da quando sono tornato qui, mi capita un paio di volte l’anno di dover fare il punto della situazione a qualche amico che abita fuori.
Al tempo di Internet, posso conoscere con facilità di quello che accade a Bologna, mentre un bolognese trova difficoltà a sapere qualcosa della Marsica. Una testata on-line, che cosa racconta? Essa riporta – generalmente – l’opinione di un amministratore, di un partito locale, di un’associazione, di un movimento, di un giornalista o di un cittadino su un determinato argomento. E’ lecito chiedersi in mancanza di una siffatta informazione, se una città è ancora viva.
Le cittadine marsicane sono vive, tanto che sono contrapposte dai loro abitanti ad altre certamente vive: «M1 non è San Francisco», «M2 non è Berlino». Si scrive, dall’altra parte: «nelle grandi città la cultura è un elemento decisivo attorno a cui ruota la vita di molti, l’economia, la fruizione del tempo, gli stessi spazi della città» (Marco Belpoliti sulle dimissioni rientrate di Stefano Boeri sulla questione dell’ex-area Ansaldo, a fine novembre – La Stampa): a Milano nessuno sognerebbe di vendere le scuole storiche, come ad Avezzano. (Ad un milanese non salterebbe mai in mente di costruire intorno alla neviera o al Casino di caccia del parco ex-Arssa...).
I nostri paesi sono diversi dalle grandi città italiane ed europee: è solo questione di grandezza, di funzioni e d’urbanistica? Penso di no. Io cito la polemica in corso sull’area ex-Enel, sorta agli inizi dell’anno a Milano. Ad innescarla, è stato un paio di cittadini su due quotidiani nazionali (Il Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano); due sostenitori della prima ora della giunta «arancione». (Il progetto, risaliva all’amministrazione Moratti). Gli affari da noi, cementano amministratori, partiti, clientele ed elettori. Non solo. (La mancata approvazione dell’accordo Comune d’Avezzano-A.J. Mobilità sui parcheggi interrati, si deve più che all’azione di tre associazioni ambientaliste, ad una diffida e tre esposti di un privato).
Si può anche affermare, a questo punto: «Gli m3-esi sono diversi dagli x-esi». E’ anche una questione di cittadini, e di persone. Io consiglio di scrivere, d’ora in poi: «“M4” non è “Amsterdam”».

giovedì 26 gennaio 2012

Partito camionista italiano

M’è capitato questo, giorni fa:
orsattipietro.wordpress.com/2012/01/23/forconi-tir-clientelismo-e-mafie-e-qualche-suggestione-golpista-italiabloccata/
Lo trovo abbastanza utile per capire la sostanza del movimento di Forconi – al Sud.

martedì 24 gennaio 2012

Winterlude

Farei bene a perdere più tempo sul (bel) commento all’ultimo post – che invito a leggere.
La questione è: il centro commerciale ha sostituito la piazza? (Si può mutuare qualcosa del centro commerciale per ridare una qualche funzione alle vecchie piazze italiane?).
M’è capitato di scrivere: «L’ipermercato non è uno spazio pubblico, né un “diritto” da europei» – Einstellungen, 2011. La piazza e la stessa città sono rappresentazioni secolari della politica europea, l’ipermercato con la sua piazza sub-urbana, no. La politica è il propellente, la «benzina», della città europea, come ho scritto su «Il Velino», l’anno scorso.
Le persone che attraversano frettolosamente la piazza, sono le stesse che poi, sfilano veloci attraverso il centro commerciale. Abbiamo due contenitori ben distinti e molto diversi tra loro, ma il contenuto è pressoché identico. Passanti, stranieri gli uni agli altri ed ai luoghi attraversati. E’ questa la cosa più inquietante. Esiste ancora una società, per come la intendiamo comunemente? La poltiglia sociale che ci si para davanti, qual tipo di spazio può immaginare, rivendicare, reclamare o modellare?
(I «riots», gli «indignados» del 2011? Né caldo né freddo).

venerdì 20 gennaio 2012

Counting the cars on the New Jersey Turnpike 3

M’è capitato di passeggiare lungo corso della Libertà, l’estate scorsa: volevo contare quante automobili si potevano parcheggiare. Il Comune aveva proposto i parcheggi interrati sotto piazza G. Matteotti, per far scomparire i mezzi motorizzati in superficie.
Mi sono accorto – passeggiando e contando –, che corso della Libertà poteva contenere 96 automobili mentre il «progetto Luccioni» ne prevedeva 260.
Ho letto di «carenza di parcheggi» lungo corso della Libertà – Berardinetti E., I negozianti: il Comune ci abbandona in «Il Centro» 12 gennaio 2012. Altra passeggiata...
Ho contato stavolta solo i negozi, le agenzie e gli esercizi – quelli che tradizionalmente lamentano la «carenza di parcheggi» –, saltando gli uffici, gli studi professionali e le abitazioni: mi sono fermato a 50 (saranno 53, al massimo). Solo chi alza la saracinesca, occupa più della metà dei posti disponibili: non ho contato né soci, mogli, collaboratori.
Il numero dei parcheggi lungo il (molto) frequentato corso della Libertà è (molto) inferiore alla somma dei residenti e di chi lavora lungo il corso stesso. Da tempo. Il «problema» dei parcheggi lungo corso della Libertà non presenta soluzioni (collettive) di sorta ed è perciò, un falso problema. (Esso serve solo a riempire le pagine delle gazzette).

giovedì 19 gennaio 2012

Echospheres...

Qualcuno se n'è accorto...
ilcentro.gelocal.it/laquila/cronaca/2012/01/19/news/indagine-su-ecosfera-in-consiglio-salta-il-piano-strategico-avezzano-celano-5551875

lunedì 16 gennaio 2012

encore un effort...

Leggo sconsolato il web dalle nostre parti, sul nuovo arresto di Lamberto Quarta.
D.: mi sbaglio o Ecosfera ha qualcosa da spartire con la “Redazione del Piano Strategico dei Comuni di Celano, Avezzano e dell’area vasta di riferimento”?

venerdì 13 gennaio 2012

da "Il Velino" 58/1

Non m’aspetto molto dalle commemorazioni del 2015. Si parlerà d’altro, al solito.
Manca una storia scritta o un insieme di dati – per quanto disorganico –, sulla ricostruzione nella Marsica. «Manca una storia, ma circolano molte leggende»: questo il succo di un vecchio pensiero di Raffaele Colapietra sulla nostra terra. (Bisognerebbe aggiornarlo con: aneddoti e barzellette).
Possiamo ancora ricavare una storia della ricostruzione nella Marsica? Penso di sì, nonostante le occasioni perdute in questo quasi secolo. La stessa ricostruzione, che aveva rinnegato la città precedente, è stata messa da parte a sua volta dall’urbanistica-champagne degli ultimi decenni, soprattutto nel capoluogo.
Un paio d’anni fa, Ernesto Salvi ha ricordato che il Prg d’Avezzano è stato approvato alla fine dell’agosto 1916. C’è da chiedersi, però: che fine ha fatto la direttrice Comune-Stazione ferroviaria? La «città-giardino», dov’è?
La ricostruzione dopo il prosciugamento del Fucino (1878), ha rallentato il declino di questa parte dell’Appennino, occultandolo agli occhi dei nuovi abitanti. La città degli anni Venti era abitata da gente venuta dalle zone più disparate della Penisola.
Io individuo la frenesia edilizia come l’unico tratto comune tra la città post-sisma e l’odierna. E’ una città per costruttori più che per commercianti o semplici cittadini.
Avezzano, come sarà ridotta per il 15 gennaio 2015? Non ci sarà più il cinema e lo spazio-mostre al centro; neanche le scuole secondo il nuovo piano per l’edilizia scolastica ed il tribunale. (Il teatro è stato costruito direttamente fuori del centro).
Ora che il declino comincia a mostrarsi meglio, la gente prova a reagire e probabilmente nella direzione sbagliata. La storia può indicarci le scelte da evitare. (La vicenda di Valle dei Fiori ci ammonisce che siamo scarsi anche in geografia: una discarica al livello del mare è meno rischiosa di una a mille metri).
Si continua a scrivere Marsi anziché marsicani, a dividersi su tutto pur coscienti che è proprio il concorso di varie figure ed idee a produrre innovazione nelle metropoli, a parlare un (finto) dialetto estinto un secolo fa. Si prosegue intanto con gli spenti mercatini all’aperto, le sfilate di moda ed i concorsi di miss.

martedì 10 gennaio 2012

Mah...

www.primadanoi.it/modules/articolo/article.php?storyid=11151
www.site.it/laquila-libera-al-fianco-del-comitato-3e32/01/2012/
Non ci lasceremo intimidire, CaseMatte rEsiste e rilancia., www.3e32.com

copio-e-incollo

Il comune d’Avezzano, ha «congelato» l’isola pedonale che lo stesso aveva [sic!] deliberato nel 2009.
Il comunicato (9 gennaio) che conferma un ricorso al Consiglio di Stato – non è il primo –, è piuttosto interessante.
La scelta è stata imposta «dai numerosi cambiamenti avvenuti in questi due anni nel sistema viabilità, in primis l’entrata in funzione dell’anello del quadrilatero, che ha generato effetti sul traffico». Gli estensori (Floris, Giffi) dimenticano di citare a quali cambiamenti si riferiscono – dati compresi. (Non ricordando male, hanno varato proprio loro l’«anello a senso unico»).
«La sospensione della delibera è volta a evitare effetti negativi nell’immediato, soprattutto agli operatori economici, per non compromettere in maniera grave e, forse, irreparabile, il raggiungimento dell’interesse pubblico». Gli amministratori (in scadenza) dimenticano di immaginare una data qualsiasi, per «evitare effetti negativi» agli «operatori economici». Essi non spiegano neanche il nesso tra i commercianti e l’«interesse pubblico». (Per non far fallire Beretta, dichiariamo guerra a San Marino?).
I due giurano che per loro, è prioritario l’impegno per migliorare la qualità della vita ed incentivare la mobilità sostenibile ma anche in questo caso, dimenticano di dire in qual modo.

domenica 8 gennaio 2012

Buon gennaio 2012 – 3

Uno strano inizio dell’anno, da noi. S’è parlato di sicurezza a proposito di Luco dei Marsi.
Ci s’interessa all’argomento quando ci sono notizie che riguardano quel paese e solo in quel caso. (Lo hanno provato in diversi).
Il nostro sindaco in scadenza, considera: «Quando sono arrivato in Comune, Avezzano era un grande paese [...] oggi invece è una cittadina ma non certo più un’oasi felice», in Berardinetti E., Floris: aumenteremo la sicurezza, in «Il Centro» 31 dicembre 2011. E’ ancora un’oasi felice, secondo me, per la categoria dei costruttori, così come lo è stata per questo quasi secolo di vita che abbiamo alle spalle. E’ un’oasi felice per le mezze cartucce, per la gente senza arte né parte, per i servi sciocchi.
Per tirarsi su, il buon Botticchio: www.site.it/aciam-spa-deve-morire-poche-spiegazioni-non-dovute-ed-un-paio-di-missive/01/2012/

mercoledì 4 gennaio 2012

Buon gennaio 2012 – 2

Visto che ci siamo... Avevo consigliato l’assessore all’Ambiente – il 13 dicembre al Comune, per chi c’era –, di spiegare agli avezzanesi il senso della (lodevole, in ogni modo) pista ciclabile che aveva iniziato a costruire. (Perché ha ottenuto soldi pubblici, perché proprio quel tracciato, eccetera).
E’ partita la campagna pubblicitaria «Pedala per Avezzano», all’inizio di gennaio (PardiniApostoliMaggi, Roma). E’ stata sprecata un’occasione per far capire ai concittadini tante cose, da parte dell’ente locale.
Il senso del dépliant sembra prelevato dalle chiacchiere di un qualsiasi bar: basta leggere le prime righe. E’ come se la pista servisse ai tipi strani che, sempre più numerosi, si spostano in bicicletta più che al traffico dell’intera città.
Il suo tratto qualificante (via Salvador Allende, che la connette alla stazione ferroviaria e quindi al centro), è rinviato.
(Si citano anche «aree a traffico pedonale privilegiato già realizzate nel centro». La Ztpp, non ricordando male, è stata revocata circa un anno fa: da allora, si può transitare a 50 km/h).
Il destino cinico e baro, ha fatto in modo che, a forza di chiamarla «isola ciclabile», divenisse tale. Spero, per questo, di non essere un menagramo.

lunedì 2 gennaio 2012

Buon gennaio 2012 – 1

Una storia come tante, durante le festività di fine anno.
Una sorta d’articolo come tanti. Un paio di scatti con qualche rigo di spiegazione, sono bastati per catalizzare l’attenzione di oltre 1.600 persone. V’è di più: è stato uno degli articoli più commentati. (Pista ciclabile o carrabile?!, in MarsicaNews 29 dicembre 2011). Più di una persona che stimo, ha indugiato nella sezione commenti.
Mi ha colpito della faccenda, la frase: «Le foto si commentano da sole!». C’era bisogno di scrivere una frase del genere? Succede il contrario quindi, sì. Sempre.
Marco Belpoliti affermava, in un convegno sulla fotografia dello scorso 19 dicembre: «Per fortuna la fotografia non racconta; ha bisogno delle parole, delle didascalie, come ci hanno insegnato John Berger e Susan Sontag».
Il titolo indicava chiaramente dove andare a parare ed il tono ed il contenuto dei commenti era consono alla pagina web. (Un «frame» contiene in parte il suo esito). Gli avezzanesi non capiscono una pista ciclabile: è inutile costruirne.