In
Abruzzo si parla di candidature e schieramenti alle prossime Politiche
dall’inizio dell’anno, anche degli stessi argomenti riferiti alle Regionali ma
dalla fine dell’estate. Bocche cucite da
noi, prevedibilmente, mentre in giro parlano anche di avezzanesi e marsicani.
(Usi obbedir tacendo e tacendo morir). Prendo lo spunto da un
pezzo uscito pochi giorni fa, eccolo: P. Carducci, AQ-AZ, una nuova politica per le aree interne, in «IlCapoluogo» 25
ottobre 2017.
La
prima parte ruota intorno a: «le
bistrattate “aree interne”, se non iniziano a cooperare e difendere i livelli
di servizi presenti sui territori, faranno la fine dei capponi di Renzo». È
ora di riporre in un cantuccio i «campanilismi», naturalmente «sterili». Ho
scritto cose del genere, all’incirca, tempo fa (1997). Ci ho ripensato in seguito perché la formula del partito
carismatico o personale è stata applicata anche oltre Forza Italia. (Le
federazioni, i territori, hanno ormai scarso senso; sono ormai sufficienti
sette-otto leader di stanza nella
Capitale per indirizzare, gestire l’intera vita politica italiana). Cinque o
sei anni fa – dopo il 6 aprile 2009
in ogni modo –, ho proposto di lasciarci intrigare dalla geografia più che dai
confini amministrativi per tentare di risolvere i nostri problemi di
subalternità. Ho ripetuto l’invito durante la scorsa campagna elettorale
(Amministrative); mi spiego giusto un po’. Dice qualcosa una simile
espressione: «Autorità di Bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno»? Guardando
la montagna che ci sovrasta (Velino) possiamo chiederci: «Ci collega a chi?». A
dirla tutta, vent’anni fa, io non speravo solo di mettere fuori gioco gli
«sterili campanilismi», ma vi era dell’altro – che è puntualmente spuntato
fuori durante il lungo post-terremoto nell’Aquilano. Passare sotto Roma?
Restare sotto L’Aquila e perciò, sotto Roma?
Può
starci: «Bene ha fatto il sindaco
dell’Aquila, Pierluigi Biondi, ad appoggiare la recente iniziativa del sindaco di
Avezzano, Gabriele De Angelis, volta al salvataggio del Tribunale della Marsica».
In fondo, quanto gli è costato politicamente un simile endorsement? Il tribunale dell’Aquila tra l’altro non corre rischi di
sorta a differenza di quelli d’Avezzano, Lanciano, Sulmona e Vasto. Fa sorridere invece
quest’altro: «Bene pure ha fatto il
sindaco di Avezzano a sostenere […] l’azione
di Biondi a difesa dell’ospedale dell’Aquila». (Poteva dare anche l’assenso
all’idea di linea ferroviaria Roma-Pescara passante per L’Aquila e Sulmona,
trovandosi in quei paraggi). Si sostiene che «Per decenni, in Abruzzo, la
leadership politica si è modulata secondo uno schema duale: da un lato la costa
[…] dall’altro le aree interne»; la vicenda per me, è più articolata. Lo schema
citato è un adattamento dovuto al modello di sviluppo che l’Italia ha scelto negli
ultimi secoli. Non è un problema perciò. Bisogna però che l’economista spieghi
ai propri lettori perché il mondo politico dell’Abruzzo interno abbia scoperto
tutto ciò con almeno mezzo secolo di
ritardo. Vi è anche da chiarire, sempre da parte sua, i motivi per cui lo
stesso schema duale è ripetuto anche
a parità di quota – con economie pressoché
identiche –, dentro la nostra provincia: da una parte L’Aquila, mentre dall’altra,
ciascun altro comune. Detto più prosaicamente: perché diversi comuni sono incazzati,
tradizionalmente, con il proprio capoluogo?
È
difficile capire a chi attribuisca la responsabilità della nostra attuale
situazione Piero Carducci, anche se a un certo punto fuoriesce: «aristocrazia
PD». Una serie di sociologi e antropologi di lingua inglese tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, ha studiato il comportamento della
società nelle aree depresse del Meridione; i ricercatori ci hanno poi
raccontato in qual maniera i partiti di allora si assicuravano i consensi in
occasione delle competizioni elettorali. (È coniata in questo periodo
l’espressione amoral familism). Sciascia
ha considerato a suo tempo la tracimazione della mentalità mafiosa fuori dalla
sua isola, il suo diffondersi altrove non solo in senso geografico (1961). Prendiamo la vicenda Tangentopoli
nella prima metà degli anni Novanta:
è rimasto coinvolto anche l’Abruzzo? Non posso che rispondere sì, da avezzanese
con un briciolo di memoria. Ecco, è perciò sbagliato e fuorviante ricondurre i
problemi dell’Abruzzo interno al vertice di un solo partito e agli ultimi
dieci anni di vita politica regionale. (Come la mettiamo con la società
civile, quelli che votano?).
(11
febbraio 2018). I ruoli delle diverse comunità locali appaiono confusi nel «nuovo modello di cooperazione»: non si
può mettere insieme – a livello politico – L’Aquila e Capistrello, Opi o Civita
d’Antino; dominatori e dominati. Alle prossime Politiche – anche alle Regionali
– vi sarà sicuramente chi voterà insieme ai sulmontini, gli avezzanesi e gli aquilani
contro i pescaresi, i teatini e i teramani, ma tutto ciò avrà niente a che fare
con la politica, ma certo qualcosa a che spartire con l’innalzamento della «linea del caffè
ristretto, del caffè concentrato» – ancora per citare lo scrittore di Racalmuto. Poi,
qui viene il bello. È il più forte, chi sta vincendo che propone, impone,
gestisce la pacificazione (Genesi, 8,
11) mentre da noi si dovrebbe invece assistere al contrario.
È
piuttosto usuale che L’Aquila
(centrodestra) e Avezzano (centrodestra) attacchino a testa bassa la Regione
(centrosinistra): svolgono il loro ruolo. Alla fine gli abruzzesi voteranno alle
Regionali e si profila la vittoria del centrodestra considerando sia il trend nazionale sia la delusione per l’amministrazione
targata D’Alfonso. Cambierà qualcosa negli equilibri politici non tanto tra
costa e interno, quanto tra i quattro
capoluoghi di provincia e il
loro hinterland?
Per quanto ho finora scritto la risposta, è scontata: No! Ciò che paghiamo non
è tanto la mancanza di leader quanto
il nostro peso politico che va scemando lentamente ma costantemente a livello
nazionale perché l’Abruzzo ha imboccato la strada del declino.
Scrivere
di politica non è da tutti né è così facile come sembra. (Perdonate la
lunghezza).