domenica 29 ottobre 2017

Accoppiamenti bis

«E poi?» mi è stato chiesto, riferito all’ultimo post – che è andato benissimo –, aggiungo perciò un altro paio di riflessioni.
(1) Ho evitato di trattare l’aspetto grottesco dell’articolo dell’ex-«responsabile dell’attuazione del programma del sindaco di Avezzano (L’Aquila) Giovanni Di Pangrazio» (AbruzzoWeb) e di riflesso, della vicenda politica cui esso sembra legato. Balza all’occhio per primo. È come se andasse a fuoco il tuo appartamento, tu chiami i vigili del fuoco e una volta arrivata (finalmente) l’autopompa, il suo conducente ti consiglia di telefonare al 115. Nel nostro caso, un tipo che vive nel capoluogo di regione, si lamenta per com’è maltrattato questo proprio dalla Regione.
(2) Un altro mestolo di minestrone: «l’esclusione della Marsica dagli Aiuti di Stato o il riordino delle strutture sanitarie a vantaggio di Pescara/Chieti con il rischio per L’Aquila, di perdere pure la Facoltà di Medicina». Vendi ovunque in Italia «l’esclusione di X dagli Aiuti di Stato»; non conoscendone esattamente il contenuto chiunque può immaginare dei fondi utili a tirare su una fabbrica, raddrizzare una strada, intervenire nel settore agricolo, mettere in sicurezza un costone di roccia. Tutti ti battono le mani e sono pronti a votarti alle prime elezioni che capitano. È invece difficoltoso trovare un uditorio per la seconda parte: «il rischio, per Y, di perdere pure la Facoltà di Medicina», dovendo rivolgerti a popolazioni che vivano altrettanto di poltronifici, rendita e assistenzialismo da parte dello Stato come appunto, Y. Vi è un’altra città abruzzese che tira avanti allo stesso modo del capoluogo di regione? Penso di no, ma potrei sbagliarmi; nei centri più piccoli, tra l’altro, vi è gente che conosce perfino la fatica fisica.
(In fine). Mi capita di citare vecchissimi libri come Sanshiliuji o Sunzi bingfa ebbene, il larghissimo anticipo con cui è stata diffusa la notizia e anche l’inizio della «rivolta», fornisce la cifra esatta della sua velleità. Mi dispiace per loro ma succederà ancora per molti anni che i comuni più popolosi, ricevano più quattrini rispetto a quelli dove vivono quattro gatti. (L’arte consiste nell’uso oculato e soprattutto lungimirante dei fondi che giungono dall’alto, nei comuni minori in modo particolare. Un comune di 2-3mila abitanti deve fare i conti con un budget risicato). Ripeto: «È piuttosto usuale che L’Aquila (centrodestra) e Avezzano (centrodestra) attacchino a testa bassa la Regione (centrosinistra)»; allo stesso modo, non mi meraviglierà per niente quando s’insedierà la nuova giunta regionale (centrodestra) e i comuni citati smetteranno, come per incanto, di lamentarsi.

In ogni modo nella città degli affittacamere, la classe politica è messa male e mi dispiace un po’.

venerdì 27 ottobre 2017

Accoppiamenti (poco) giudiziosi

In Abruzzo si parla di candidature e schieramenti alle prossime Politiche dall’inizio dell’anno, anche degli stessi argomenti riferiti alle Regionali ma dalla fine dell’estate. Bocche cucite da noi, prevedibilmente, mentre in giro parlano anche di avezzanesi e marsicani. (Usi obbedir tacendo e tacendo morir). Prendo lo spunto da un pezzo uscito pochi giorni fa, eccolo: P. Carducci, AQ-AZ, una nuova politica per le aree interne, in «IlCapoluogo» 25 ottobre 2017.
La prima parte ruota intorno a: «le bistrattate “aree interne”, se non iniziano a cooperare e difendere i livelli di servizi presenti sui territori, faranno la fine dei capponi di Renzo». È ora di riporre in un cantuccio i «campanilismi», naturalmente «sterili». Ho scritto cose del genere, all’incirca, tempo fa (1997). Ci ho ripensato in seguito perché la formula del partito carismatico o personale è stata applicata anche oltre Forza Italia. (Le federazioni, i territori, hanno ormai scarso senso; sono ormai sufficienti sette-otto leader di stanza nella Capitale per indirizzare, gestire l’intera vita politica italiana). Cinque o sei anni fa – dopo il 6 aprile 2009 in ogni modo –, ho proposto di lasciarci intrigare dalla geografia più che dai confini amministrativi per tentare di risolvere i nostri problemi di subalternità. Ho ripetuto l’invito durante la scorsa campagna elettorale (Amministrative); mi spiego giusto un po’. Dice qualcosa una simile espressione: «Autorità di Bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno»? Guardando la montagna che ci sovrasta (Velino) possiamo chiederci: «Ci collega a chi?». A dirla tutta, vent’anni fa, io non speravo solo di mettere fuori gioco gli «sterili campanilismi», ma vi era dell’altro – che è puntualmente spuntato fuori durante il lungo post-terremoto nell’Aquilano. Passare sotto Roma? Restare sotto L’Aquila e perciò, sotto Roma?
Può starci: «Bene ha fatto il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, ad appoggiare la recente iniziativa del sindaco di Avezzano, Gabriele De Angelis, volta al salvataggio del Tribunale della Marsica». In fondo, quanto gli è costato politicamente un simile endorsement? Il tribunale dell’Aquila tra l’altro non corre rischi di sorta a differenza di quelli d’Avezzano, Lanciano, Sulmona e Vasto. Fa sorridere invece quest’altro: «Bene pure ha fatto il sindaco di Avezzano a sostenere […] l’azione di Biondi a difesa dell’ospedale dell’Aquila». (Poteva dare anche l’assenso all’idea di linea ferroviaria Roma-Pescara passante per L’Aquila e Sulmona, trovandosi in quei paraggi). Si sostiene che «Per decenni, in Abruzzo, la leadership politica si è modulata secondo uno schema duale: da un lato la costa […] dall’altro le aree interne»; la vicenda per me, è più articolata. Lo schema citato è un adattamento dovuto al modello di sviluppo che l’Italia ha scelto negli ultimi secoli. Non è un problema perciò. Bisogna però che l’economista spieghi ai propri lettori perché il mondo politico dell’Abruzzo interno abbia scoperto tutto ciò con almeno mezzo secolo di ritardo. Vi è anche da chiarire, sempre da parte sua, i motivi per cui lo stesso schema duale è ripetuto anche a parità di quota – con economie pressoché identiche –, dentro la nostra provincia: da una parte L’Aquila, mentre dall’altra, ciascun altro comune. Detto più prosaicamente: perché diversi comuni sono incazzati, tradizionalmente, con il proprio capoluogo?
È difficile capire a chi attribuisca la responsabilità della nostra attuale situazione Piero Carducci, anche se a un certo punto fuoriesce: «aristocrazia PD». Una serie di sociologi e antropologi di lingua inglese tra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, ha studiato il comportamento della società nelle aree depresse del Meridione; i ricercatori ci hanno poi raccontato in qual maniera i partiti di allora si assicuravano i consensi in occasione delle competizioni elettorali. (È coniata in questo periodo l’espressione amoral familism). Sciascia ha considerato a suo tempo la tracimazione della mentalità mafiosa fuori dalla sua isola, il suo diffondersi altrove non solo in senso geografico (1961). Prendiamo la vicenda Tangentopoli nella prima metà degli anni Novanta: è rimasto coinvolto anche l’Abruzzo? Non posso che rispondere sì, da avezzanese con un briciolo di memoria. Ecco, è perciò sbagliato e fuorviante ricondurre i problemi dell’Abruzzo interno al vertice di un solo partito e agli ultimi dieci anni di vita politica regionale. (Come la mettiamo con la società civile, quelli che votano?).
(11 febbraio 2018). I ruoli delle diverse comunità locali appaiono confusi nel «nuovo modello di cooperazione»: non si può mettere insieme – a livello politico – L’Aquila e Capistrello, Opi o Civita d’Antino; dominatori e dominati. Alle prossime Politiche – anche alle Regionali – vi sarà sicuramente chi voterà insieme ai sulmontini, gli avezzanesi e gli aquilani contro i pescaresi, i teatini e i teramani, ma tutto ciò avrà niente a che fare con la politica, ma certo qualcosa a che spartire con l’innalzamento della «linea del caffè ristretto, del caffè concentrato» – ancora per citare lo scrittore di Racalmuto. Poi, qui viene il bello. È il più forte, chi sta vincendo che propone, impone, gestisce la pacificazione (Genesi, 8, 11) mentre da noi si dovrebbe invece assistere al contrario.
È piuttosto usuale che L’Aquila (centrodestra) e Avezzano (centrodestra) attacchino a testa bassa la Regione (centrosinistra): svolgono il loro ruolo. Alla fine gli abruzzesi voteranno alle Regionali e si profila la vittoria del centrodestra considerando sia il trend nazionale sia la delusione per l’amministrazione targata D’Alfonso. Cambierà qualcosa negli equilibri politici non tanto tra costa e interno, quanto tra i quattro capoluoghi di provincia e il loro hinterland? Per quanto ho finora scritto la risposta, è scontata: No! Ciò che paghiamo non è tanto la mancanza di leader quanto il nostro peso politico che va scemando lentamente ma costantemente a livello nazionale perché l’Abruzzo ha imboccato la strada del declino.

Scrivere di politica non è da tutti né è così facile come sembra. (Perdonate la lunghezza).

mercoledì 25 ottobre 2017

Bottegai

C’entrava il provincialismo nel post precedente, proseguo su quella strada.
Molti candidati hanno immaginato mari e monti per Avezzano nella campagna elettorale delle ultime Amministrative, ne ho già parlato. (È stata inventata dalle nostre parti, ma è rimasta inutilizzata, la formula «città territorio»). In simili occasioni si può promettere di tutto, perché le persone sono mosse anche dalle emozioni oltre che dai consueti rapporti di parentela o personali, soprattutto al ballottaggio. A fine mandato invece, i sindaci elencano le cose «fatte» più che i loro effetti, ciò che esse hanno prodotto nella società locale. Bisognerebbe invece fornire i dati quantitativi di un quinquennio di vita politico-amministrativa più che contare le giacche estive che mi sono rimaste nel magazzino, i cartoni d’acqua minerale che ho venduto durante la settimana, i biglietti esauriti in un battibaleno per il concerto di XYZ o quanto ho incassato nel 2016.
È stato commemorato di recente Mario Spallone, già sindaco d’Avezzano oltre che di Lecce nei Marsi. Tra i vari aspetti della sua personalità e della sua lunga permanenza nel mondo della politica, è spuntato a un tratto un presunto miglioramento della nostra posizione in una non specificata classifica dei comuni italiani. Si è scritto circa il raggiungimento di «un’immagine nazionale invidiabile» – perdonate, ma preferisco non citare la fonte. (E poi: invidiabile da chi, dai lanuseini, i riminesi, i bassanesi, gli idruntini? Gli ultimi sono compaesani di Carmelo Bene). Ho invece provato più volte e senza successo a deviare gli avezzanesi dai loro sogni di gloria: questo posto non può sperare in avanzamenti di sorta. Perché?
Ripeto: perché siamo troppo pochi; ho ascoltato un mesetto fa – una radio musicale su un canale televisivo, dal barbiere – l’espressione «paesino di 80mila abitanti» – quasi il doppio di noi – e mi è rimasta impressa nella mente. È bene non dimenticare che il nostro agglomerato urbano tra l’altro è lontano dai flussi, dai circuiti che contano. (Più di cinque, dieci anni fa).
Non possiamo attrarre lavoratori, gente da fuori in generale perché non abbiamo la complessità produttiva di una grande città. Nelle città italiane con oltre un milione d’abitanti si riesce a fare di tutto perché i vari ambienti, fanno interagire le figure professionali più diverse e disparate; quelle mancanti sono importate a tempo determinato o per un’intera carriera. (Sono presenti le università, le accademie, i politecnici e le scuole più diverse nelle grandi città).
Vi è poi un altro dato da non sottovalutare, la dimensione del mercato. Un semplice esempio. Nella Marsica devi sputare sangue per vendere cento copie di un volume mentre chi abita a Roma o a Napoli con la stessa fatica, ne piazza almeno cinque volte tanto.
Non è perciò un caso se noi attraiamo manovalanza scarsamente specializzata; esportiamo laureati e importiamo badanti, venditori ambulanti, colf, al massimo braccianti. (Mal comune, mezzo gaudio: è una caratteristica dell’Italia negli ultimi lustri. Purtroppo). I recenti dati indicano che la disoccupazione diminuisce nei grandi centri e cresce nei piccoli; le percentuali sugli expat nell’ultimo anno (Rapporto Italiani nel mondo, Fondazione Migrantes), danno i giovani abruzzesi… in ottima posizione. A questo si aggiunga la leggera flessione della popolazione regionale negli ultimi due anni...

(Expat significa persone che non finiscono più nella periferia della Capitale o a Milano come un tempo, bensì a migliaia chilometri di distanza da noi).

martedì 24 ottobre 2017

Lontano dagli occhi

Ho aspettato un po’ prima di buttar giù qualche pensiero sulla vicenda ex-Superal (Scurcola Marsicana). Ho atteso invano che qualcuno commentasse. La notizia: un’azienda di Corropoli già presente nella zona l’ha acquistata in parte.
Ho già riflettuto sui capannoni (industriali, commerciali) abbandonati da anni, in queste parti: gli abitanti di una zona se ne disinteressano completamente, una volta chiusi i battenti di una simile struttura.
L’esperienza c’insegna che un luogo può essere colonizzato, abitato nuovamente e perciò niente di nuovo sotto il sole. Nelle grandi città in casi simili – parlo sempre di capannoni (industriali, commerciali) –, si sarebbero mossi gli imprenditori locali (singoli, in cordata) almeno per rilevare la struttura, un architetto avrebbe proposto di adattarlo per studi professionali e laboratori, qualcuno avrebbe proposto di ricavarci una serra o un orto, qualcun altro avrebbe tirato fuori il tema dell’archeologia industriale, altri ancora l’avrebbero occupato per ricavarci un centro sociale, il writer di passaggio avrebbe disegnato un pezzo di facciata con lo spray. (Aggiungo il senzatetto che mentre gli altri discutono, sfonda una finestra e ci va a dormire). Da queste parti invece: ‘lontano dagli occhi, | lontano dal cuore’.

Nella recente campagna elettorale tale tema è stato evitato non per cattiveria o per mancanza di acume politico ma proprio perché certe costruzioni sono divenute invisibili agli occhi di chi vive da queste parti.

sabato 21 ottobre 2017

Dove?

«Si possono trasferire i giochi in un’altra area della piazza per evitare le rimostranze delle mamme apprensive e iperprotettive in circolazione in questo periodo». Già, dove? Ho omesso di scrivere qualcosa nel post dello scorso martedì 17, qualcuno me lo ha fatto notare in privato.
Non è difficile immaginare dove si possono collocare i giochi per bambini in piazza A. Torlonia per allontanarli dall’albero monumentale (probabilmente) pericolante e da conservare. È sufficiente rivolgere lo sguardo oltre lo spiazzo che confina con l’area a essi dedicata: lì, infatti, si trova l’area più degradata dei giardini pubblici d’Avezzano – non vi è nemmeno bisogno di eliminare il prato. Venderei l’albero monumentale come un’attrattiva cittadina ai tre, quattro gatti interessati, al posto del Comune. (Quattro gatti, è meglio di niente). Lo riconosco: mi sono allargato un po’ un’altra volta perché in realtà spetta agli eletti dal popolo proporre delle soluzioni.
(In proposito). Tale spazio è denominato «piazza Torlonia» nell’uso corrente. Ecco, se prendessimo a chiamarlo per ciò che invece rappresenta (giardini pubblici, un tema collettivo), ci verrebbe la voglia di trattarlo come molti altri in Italia. (Curandolo costantemente com’è successo fino a qualche decennio fa; recintandolo soprattutto come si usa altrove, con apertura dall’alba al tramonto).

P.S. Potendo interessare, cent’anni fa è nato Dizzy Gillespie.