Non possedendo materiali di
prima mano, ho qualche remora a scrivere sulle undici «idee progettuali»
dell’Autorità di bacino Liri-Garigliano-Volturno (M. Sbardella, Irrigazione del Fucino, 11 progetti in lista
d’attesa”, in «TerreMarsicane» 7
aprile 2015).
Aggiungo qualche
riflessione ma provo prima a spiegare perché è facile iscriverli nella vicenda
«Amplero». È centrale nella mia lettura la captazione delle acque del Giovenco
– non dell’invaso finale –, basta perciò scorrere l’elenco dei progetti per registrare
la ricorrenza di tale corso d’acqua.
È stato facile a suo tempo,
ironizzare nel Web sull’alto numero delle proposte. Nella vita quotidiana
capita anche a me di dover far scegliere a qualcuno tra le mie elaborazioni:
come mi comporto? È prassi consolidata nel mondo del lavoro presentare tre
proposte di cui una è quella che vogliamo effettivamente portare avanti –
migliorandola, adattandola casomai –, un’altra non è certo all’altezza della
precedente mentre la terza supera appena il livello della decenza. Gli stessi
tecnici fanno capire che la prima idea avrebbe dei problemi a passare perché
produrrebbe – tra l’altro – un impatto «notevole sul fronte paesaggistico (una
diga alta 35 m in area parco)». I progetti 9
e 10, invece produrrebbero delle
«perdite» economiche rispettivamente di 44
e 34 milioni di euro. Un altro paio
di proposte ricorda da vicino – si fa tanto per dire – la vecchia idea
dell’Ersa. Tale numero dipenderà forse dalla cosiddetta progettazione
partecipata che ha coinvolto molti – non tutti – stakeholder (portatori d’interesse). C’è da chiedersi come cotanto
metodo democratico, abbia potuto produrre anche le cinque idee appena citate.
Com’è cambiato «Amplero»
rispetto agli anni Ottanta? È divenuto una questione meno tecnica e più politica
– nel senso deteriore del termine –, nonostante il coinvolgimento di
un’Autorità di bacino, secondo me.
L’ampia consultazione con
gli stakeholder, è una trovata da geologi,
agricoltori, ingegneri idraulici o da politici? (Tu puoi mettere fuori gioco
l’ipotesi di un progettista con una nuova teoria o una tecnologia in via di
sperimentazione, come fai a battere la decisione di un amministratore locale?).
Il rapporto tra chi forgiava
l’opinione pubblica e il mondo politico, è rimasto all’incirca uguale e ai nostri
giorni ci pensano più che altro i social
network a veicolare le idee dei leader.
Nessuno avrebbe però scritto trent’anni e passa fa che nel mazzo delle
proposte, c’è quella giusta: «per traghettare il comparto agricolo fucense nel
terzo millennio», nemmeno definire un’idea progettuale come «opera
rivoluzionaria che risolverà i problemi di irrigazione del Fucino» (Irrigazione nel Fucino, domani il primo
incontro per l’innovativo progetto da realizzare, in «MarsicaLive» 19
novembre 2013). Non è difficile immaginare come imposteranno la questione, i mass media – in tempi di populismo
galoppante –, una volta scelta dalla Regione l’ipotesi progettuale ritenuta migliore.
Si seguirà con buona probabilità, l’usato copione PowerCrop: noi abbiamo ottenuto
il malloppo e non dobbiamo farcelo scappare; nel nostro caso: «99.5 milioni in
stand-by dal lontano 2001». (Da impiegare «prima che quel tesoretto prenda
altre strade»).
Permane pertanto un perverso
intreccio di rapporti tra partiti, imprese, associazioni di categoria e
sindacati anche se meno evidente rispetto al passato.
C’è stata più partecipazione
«popolare» nell’indirizzare le proposte progettuali, ma essa è servita anche a rendere
omogenei e compattare interessi
disparati, forse contrapposti e a limitare eventuali contestazioni al progetto.
Il progetto dell’Ersa
(1980-81) fu criticato da chi chiedeva una maggior conoscenza della situazione
locale, da chi reclamava più scienza
in fase di progettazione; esso sembrava sorpassato nella sua concezione in quel
momento. (Poggiava su solide basi in realtà – «franco di coltivazione», tra
l’altro. Si aveva l’impressione che sconfiggere un progetto potenzialmente
dannoso equivaleva ad avere un’idea più avanzata, migliore in ogni modo; si
pensava – non so quanto ingenuamente – che il mondo funzionasse in quella
maniera).
Non ho un’idea dei singoli undici
progetti né se esistono i loro esecutivi, ma spero vivamente che rappresentare
i nostri corsi d’acqua non sia rimasta una questione meramente idraulica; i
fiumi funzionano in modo più complesso di un liquido che si muove in un tubo.
È importante che in quest’occasione
non sia alzata una sola briglia su un fiume, nemmeno alta un metro perché se
non lo studio almeno l’esperienza degli ultimi decenni insegna a noi italiani che
dopo uno sbarramento su un corso d’acqua giungono irrimediabilmente – dopo
qualche tempo – le frane e le erosioni.
(Ultime notizie. Gli
acquedotti abruzzesi registrano una perdita media del 53%, stando a un dossier dell’Osservatorio di Cittadinanza Attiva –
marzo 2015).
In fine. Perché aspettare
(almeno) trentacinque anni, se un
intervento del genere era tanto importante e urgente per l’agricoltura,
l’industria e le popolazioni fucensi? (5/5, Il
Martello del Fucino, 4 2015)