Riprendo
la mia obiezione riferita al numero (inferiore)
degli attori nella vicenda della vecchia costruzione abbattuta: è bene
considerarli tutti, assegnando loro casomai le rispettive percentuali di
responsabilità. La questione non riguarda, appunto, solo il COMUNE e la SOPRINTENDENZA.
Mi spiego
meglio. Siamo tutti felici e contenti se proteggono, buttano quattrini, conservano,
collegano, «valorizzano» una torre con un migliaio d’anni alle spalle o un
giardino storico. Succede lo stesso per un edificio pubblico dell’Ottocento o del secolo scorso. Come reagisce invece
un privato la cui proprietà è appena
stata sottoposta a un qualsiasi genere di vincolo? Le reazioni sono di diverso
tipo e spaziano dall’appuntarsi quella misura come una medaglia al considerare
la stessa una iattura. Né il Comune (Avezzano), né la Soprintendenza (Abruzzo) ha
apposto dei vincoli nel nostro caso. (Si può sbagliare in tanti e avviene di
quando in quando).
Torno al privato
cittadino – la storia non finisce con un pezzo di carta. Che cosa succede negli
anni successivi all’apposizione di un vincolo? È semplice. Chi l’ha apprezzato
cercherà in tutti i modi di mantenere il suo bene mentre chi non l’ha per
niente digerito, lo manderà in rovina infischiandosene del suo presunto valore
storico e artistico: è suo dopotutto.
Il paesaggio
costruito in cui ci muoviamo mostra bene tutto ciò. È facile, da alcuni secoli,
conservare un bene collettivo mentre non c’è scampo per quello privato – salvo
eccezioni s’intende.