venerdì 30 settembre 2016

Il pesce grande mangia il piccolo, ma non sempre. Non conviene agli aquilani, alla Regione sgonfiare Pescara Jazz. Non passa nemmeno per la testa a Pescara e L’Aquila di ridimensionare Muntagninjazz – tanto per restare in tema. (Tale festival ha sede a Introdacqua, un paese di 2mila abitanti). Che cosa ha costruito o prodotto Avezzano negli ultimi decenni da poter vantare in ambito regionale o almeno comprensoriale? È sortito poco o niente, seppur confrontato con Arzibanda (Capistrello) o addirittura con il Festival Internazionale di Mezza Estate (Tagliacozzo).
Gli animali delle dimensioni di Homo sapiens, possiedono un repertorio limitato in situazioni di supposto pericolo: essi lottano o fuggono. È contemplata solo la prima possibilità nel nostro caso: cambiare dun paio di rappresentanti eletti in zona per contare di più al tavolo regionale. (Non capisco il nesso, francamente ma è in ogni modo un’illusione, come ho spiegato in precedenza). Ci vogliono le armate in ogni modo per vincere o almeno, per provarci.
Ho confrontato la scorsa estate due situazioni simili se non identiche. A Pescara e ad Avezzano sono stati recisi in blocco degli alberi, dopo un’accurata analisi – oltre un centinaio nella prima: molti di questi erano malati mentre alcuni no. Dopo tale operazione si nota ancora – passeggiando per le due città – degli alberi inequivocabilmente malati. (Garantisco per la mia e prendo per buone le immagini provenienti dalla costa). La reazione dei cittadini è stata diversa nei due casi. Si è parlato diffusamente a livello regionale del capoluogo adriatico per via della protesta di alcune associazioni ambientaliste, delle manifestazioni quotidiane, delle carte bollate, della solidarietà ottenuta da alcuni personaggi (A. Celentano, E. De Luca, G. Francescato, A. Gassmann, F. Pratesi, V. Sgarbi); tale vicenda è finita perfino in un tg nazionale. (È stata una settimana «calda»). Ad Avezzano, in proporzione, ci si sarebbe immaginato il comunicato di un paio d’associazioni, una ventina di persone a manifestare per due-tre giorni e invece niente di tutto ciò: ne ha accennato giusto il sottoscritto in un paio di occasioni – mi avranno letto all’incirca una quarantina di persone. Mancano perciò le armate e presumo che sarà arduo trovare chi è disposto a farne parte: gli avezzanesi non sono una stirpe di combattenti.

Non solo. Il parco D’Avalos – come lo chiamano le persone che hanno almeno la mia età – è stato trasformato in una riserva naturale (2001) ed è conosciuta in giro come Pineta Dannunziana. Gli alberi d’Avezzano sono un pezzo della sua storia recente perché piantati lungo i marciapiedi costruiti ex novo nel nuovo centro e hanno perciò un’importanza simile a quella di edifici pubblici come San Giuseppe, la scuola Corradini, il municipio, il tribunale e poco altro. Tutto ciò andava affermato a chiare lettere nelle manifestazioni ufficiali durante il Centenario, l’anno scorso. Tale patrimonio è in via di liquidazione da vent’anni esatti – a differenza di quanto è avvenuto a Pescara, dove è stato valorizzato – mi si passi il termine. (Le liste elettorali delle Amministrative di maggio getteranno un po’ di luce sul senso che si è voluto imprimere alle celebrazioni del Centenario).

martedì 27 settembre 2016

Questo post chiude una parentesi di tipo «territoriale» che ha avuto origine da un paio di comunicati diffusi nel capoluogo del comprensorio. Ho notato un certo interesse alle Amministrative del maggio prossimo ad Avezzano. È comprensibile da parte di realtà locali mentre sembra strano – almeno al sottoscritto – quello dei «forestieri» (L’Aquila, Celano). Si notano conferme e fisiologiche nuove dislocazioni di personaggi legati alla politica.
Nelle ultime settimane ho però visto rimestare vecchi modi di pensare e di comportarsi, più che nuovi scenari, studi – degni di tale titolo –, utopie, visioni, analisi e idee più in generale. Stesso repertorio, identico linguaggio. (Ascoltiamo musiche, vediamo film, leggiamo libri in ogni modo diversi rispetto a trenta, quarant’anni fa. Siamo proprio diversi). Tutto ciò sia da parte di chi attacca sia di chi vuol conservare il proprio potere.
Non è confortante altrove. Fu sovrapposto il nuovo tracciato autostradale proposto dal gruppo Toto alla cartina degli acquiferi e a quella delle faglie attive, ma nonostante questo in qualche comune (Castelvecchio Subequo, per citarne uno), s’immaginò che un casello autostradale sarebbe stato un’occasione di sviluppo. A Celano invece pensarono probabilmente allo shopping nella Capitale da parte di chi vive lontano da Roma e avrebbe risparmiato del tempo per raggiungere i negozi del centro al tempo dei saldi. Da un convegno nazionale a Pescina, si è chiesto alla politica nazionale di dare una mano ai «piccoli Comuni», ignorando che il borgo di 420 abitanti situato lungo le nuove direttrici dell’Alta velocità o ricadenti nel perimetro di una città metropolitana, possiede senz’altro maggiori possibilità di sfangarla rispetto ad Avezzano – un agglomerato cento volte tanto – nella situazione che si va lentamente disegnando. (La politica nazionale ha perciò già scelto e sta lentamente mettendo in pratica, coerentemente le sue linee-guida: noi ci troviamo all’inizio della china, non qualche metro prima). Afferma Roberto Mascarucci durante un convegno organizzato da Uil nazionale: «L’Abruzzo ha perso il primo tempo però, […] perché non è riuscito a inserirsi tra le dieci città metropolitane», in «News-Town» 25 settembre 2016. Non è purtroppo il primo e unico «tempo» in cui si è andati giù; io ci aggiungerei il declassamento dei nostri porti. (Glisso sulla legge per L’Aquila capoluogo).
Torno ai comunicati di Marsica Come On (Laboratorio Abruzzo Giovani). I marsicani, gli avezzanesi in particolare hanno speso decenni a scagliarsi contro il capoluogo di provincia (anche di regione) senza cavarne un ragno dal buco anzi. Qualcuno adesso attacca una città che è grande almeno due volte L’Aquila e che – come ho scritto in precedenza – è una sorta di secondo capoluogo dell’Abruzzo. (Si spara su Pescara tralasciando L’Aquila che però conserva tutti i suoi poteri). Domanda: che cosa ci si aspetta in meglio? Il capoluogo adriatico – di là della Grande Pescara – è il cuore di una conurbazione che conta almeno 200mila abitanti; si tratta di quasi il doppio dei marsicani sparsi all’interno: un sesto dell’elettorato abruzzese è perciò concentrato in pochi chilometri quadrati – con tutto quel che ne consegue. (Perché dalle nostre parti un impianto convertibile per bruciare rifiuti da noi e non sulla costa abruzzese, dove – per via della cospicua concentrazione di popolazione – c’è una maggiore disponibilità di «materia prima»? L’Abruzzo, l’Italia ha in realtà rinunciato al Fucino come area per le colture pregiate. Almeno dal 2007).

È invece il caso di pensarne un’altra, una nuova soprattutto.

domenica 25 settembre 2016

(Ha avuto successo il «post» del 20, ne propongo una versione lunga). L’ultima volta che l’ho visto è stato il 27 giugno; c’incontrammo a cazzeggiare per un buon quarto d’ora davanti alla BNL, mentre gran parte degli altri maschi era alle prese con il calcio in tv. Ho conosciuto Domenico Mancinelli – lo posso nominare adesso – in un luglio del 1969 o del 1970. Me lo trovai davanti per la prima volta tra la verzura e gli alberi dentro il parco dell’Ente Fucino. Aveva un’aria riservata, timida; di uno che si sentiva spaesato – bisogna aggiungerci l’esile corporatura di quell’età. (Ricordo bene quella circostanza perché c’infilammo in un posto buio sotterraneo che oggi è noto come «neviera dei Torlonia»). Ho perciò avuto un atteggiamento protettivo nei suoi confronti, nei primi tempi: sono tanti tre anni e rotti di differenza in quella fase della vita.
Ci saremmo altrimenti incrociati in seguito a una conferenza naturalistica, alla biblioteca, in libreria, sicuramente al cinema; ci saremmo certo riconosciuti per il nostro modo di vivere a zonzo per la città o lungo qualche sentiero dell’allora Pna. Ci siamo ritrovati in diverse associazioni: un posto nel direttivo del Comitato mobilità sostenibile marsicano, è stato una sorta di Oscar alla carriera, per entrambi. (Fu gradito da parte mia perché proveniente da sconosciuti per di più, della generazione successiva).
I mezzi d’informazione hanno ricordato la spedizione sul Settemila senza nome ma non la sua risposta alla domanda: «Che cosa ti attrae di più di Himalaya 86?». (La novità del primo volo in aereo). Martedì sera, un giornalista del Centro considerava per me: «Era un grande sportivo!», mentre io a spiegare che non era questione di esercizio fisico né soprattutto di competizione ma c’entrava invece la passione, il bisogno di starsene da soli, la ricerca del silenzio, la curiosità. (Da almeno un quarto di secolo andare in montagna è divenuto come minimo uno sport e al massimo un lavoro). In poche frasi riusciva a farmi capire i paesaggi o le persone che lui incontrava; il mondo era veramente grande nei suoi brevissimi resoconti: «Durante i suoi viaggi, ciò che nota meglio degli italiani è la loro frenesia nel consumare – allontanarsi da una città, una nazione è un modo per conoscerle meglio. Inoltre, all’estero, hanno generalmente molta meno paura di non trovare, immediatamente, una farmacia, un distributore di benzina, un ufficio postale» – La memoria delle mani, 2006.
Non ho mai dedicato le mie pubblicazioni; volevo fare un’eccezione nel 2012 con Il suono del mio passo. Scriverci il suo nome all’inizio perché era la persona che l’avrebbe apprezzato più delle altre. Era un’invettiva contro la moda dei libri – e non solo – sul camminare in/da quegli anni; non se ne fece nulla perché io volli eliminare ogni sentimentalismo da quella specie di volantino. Non riuscii a dirglielo per pudore quando glielo consegnai.

È un buco che non si richiuderà almeno per me e gli amici che lo conoscono dagli anni Sessanta, anche se lui ha impiegato qualche decennio a farci capire che una qualsiasi vita è effimera e può finire da un momento all’altro. (‘A Love Supreme, A Love Supreme, A Love Supreme’).

venerdì 23 settembre 2016

Per l’Abruzzo interno: «presentarsi nelle sedi regionali o nazionali in ordine sparso significherebbe l’emarginazione o comunque avere meno potere di adesso», 1997. Mi lega giusto questo brano ai comunicati di Marsica Come On (Laboratorio Abruzzo Giovani) citati nel post precedente.
Qual era l’ambiente che avevo sotto gli occhi? Vi era stata nella Marsica la stagione della «Provincia AZ», con il suo pacchiano contorno di campanilismo e provincialismo, si stava inoltre affermando «Berlusconi»: il tempo dei partiti costruiti dall’alto. Sottoscriverei le stesse frasi oggi? No, perché la realtà nazionale e locale è cambiata. È da segnalare in primo luogo la nuova rete dell’Alta velocità e quindi, le città metropolitane. Il dopo-terremoto (2009) ha avuto un impatto negativo sui nostri paesi a livello provinciale, mentre si è assistito all’affermazione del «secondo capoluogo» di regione.
Sommando nel tempo gli effetti derivanti dall’istituzione delle città metropolitane e quella delle tratte ferroviarie più «veloci», deriva che l’Abruzzo (il Molise, un pezzo di Marche e di Puglia nel Centro-Sud), si allontana dall’Italia che conta. (Cambia poco a livello simbolico raddrizzare qualche tratto di strada ferrata o far transitare Freccia Rossa, come pensa ingenuamente Luciano D’Alfonso – il miglior politico che abbiamo, in ogni modo). Cambierà l’armatura dell’Italia per come la conosciamo, per com’è stata composta negli ultimi due secoli tra Tirrenica e Adriatica: è sufficiente sovrapporre le due piantine. Dovevano impensierirsi di ciò i politici abruzzesi negli anni passati, soprattutto quelli dell’interno; dopo decenni spesi ad attaccare L’Aquila, gli avezzanesi hanno invece scoperto da poco Pescara. (Io invece non riscriverei neppure: «Si spendono miliardi [di lire 1997] per l’Area metropolitana di Pescara e non si trovano risorse per riparare e asfaltare le strade del nucleo industriale di Carsoli». Che senso avrebbe?). Non è purtroppo solo una questione di fondi, di 107.3.c, anzi. M’intenerisco perciò quando i giovani di Marsica Come On scrivono: «E’ ora di reagire, prima che Avezzano si avvii sulla strada di un declino irreversibile», 18 settembre. (‘eravamo alla stazione, sì | ma dormivamo tutti’). Vale anche la pena ricordare che la popolazione abruzzese è scesa di oltre 4mila unità l’anno, negli ultimi tre: è un segno più rassicurante o più preoccupante?
Non mi piace ugualmente la strumentalizzazione politica della vicenda Vesuvius, da parte della stessa associazione. Si usa dagli inizi del secolo l’espressione delocalizzazione produttiva mentre io ne ho un’idea dalla seconda metà degli anni Settanta, per via degli studi universitari. (Uno storico aggiungerebbe più di qualche annetto alla nascita di tale pratica). È stato elaborato nell’ultimo quindicennio, ventennio in Italia, in Europa un metodo, una procedura, delle politiche per contenere, eliminare simili situazioni? No. È saggio perciò tacere di fronte all’iniziativa del sindaco d’Avezzano, di Forza Italia in Regione, dei 5Stelle in Parlamento. (O attaccare tutti, senza distinzioni). Va anche riconosciuto che non è stata mai elaborata una politica industriale degna di nota per il nucleo industriale d’Avezzano, nel senso: negli ultimi cinquant’anni e passa. (Almeno due generazioni di amministratori, politici e cittadini). No, non è solo una faccenda legata ai quattrini; la Marsica deve ritagliarsi in breve tempo un ruolo nei confronti della Capitale, della città metropolitana di Roma.

Trovo in versione ampliata: «il Sindaco è obbligato ad ingoiare tutte le decisioni propinate ad Avezzano dalla giunta targata PD di Luciano D’Alfonso, tutto proiettato su Pescara, perché non può mettere in imbarazzo il fratello Peppe che di D’Alfonso è un diretto collaboratore e come lui condivide la politica tutta a favore della costa del PD abruzzese», in «AvezzanoInforma» 21 settembre 2016. È tutto dire una redazione giornalistica che si meraviglia per alcuni meccanismi della politica italiana in auge da oltre vent’anni.

mercoledì 21 settembre 2016

Mi sono disinteressato ai membri dei Residents: nomi, cognomi, facce, luoghi di nascita e gusti – che loro tenevano nascosti. Mi bastava e avanzava ciò che sortiva dagli amplificatori di giradischi, mangianastri, radio. «Chi è Marsica Come On? Chi c’è dietro?» mi è stato chiesto più volte, di recente. La domanda riformulata da me è più semplice: mi piace, m’intriga quello che scrive MCO? La risposta è: no.
Dicono di se stessi, noi: «siamo apartitici e non schierati, svolgiamo “soltanto” una funzione territoriale di servizio», 8 settembre 2016. È abbastanza facile definirsi apartitici dopo le Amministrative di tre mesi fa: una buona parte delle liste partecipanti non rappresentava i partiti tradizionali. Devo fidarmi sul non volersi schierare, anche se ho i miei dubbi. «funzione territoriale di servizio», domanda: che significa? Il termine «servizio» proviene dal Novecento: lo usavano allora diversi partiti mentre ora lo senti in bocca giusto ad alcuni reduci della Dc (Democrazia Cristiana, per i più giovani).
Proseguono: «Un cittadino attivo e partecipativo deve essere trasversale nella sua azione, indipendentemente dalle sue idee politiche e del partito che voterà nel segreto dell’urna». Mi chiedo: perché associarsi con altri a questo punto? Mai pensato a un blog? Parlare di «idee politiche» e di «segreto dell’urna» nella nostra zona geografica mi sembra almeno un’ingenuità: mai sentito parlare di amoral familism (E. C. Banfield, 1958) o degli studi antropologici condotti (anche pubblicati) nella Marsica? Dopo l’Ottantanove poi…
Il resto è un patchwork e non elenco gli elementi cuciti insieme. (Ci tornerò prossimamente). Non giocano mai d’attacco nonostante la (presunta) giovane età, manca perfino un briciolo di ambizione. Mauro Febbo (ex An, ex assessore all’Agricoltura) se ne usciva così: nel PSR «vengono inseriti tutti i territori comunali della zona costiera, da Martinsicuro a San Salvo, ed esclusi i comuni come quello di Aielli, Avezzano, Celano, Cerchio, Collarmele, Luco dei Marsi, Ortucchio, Pescina, San Benedetto dei Marsi, Trasacco che da sempre hanno usufruito di tali Misure», 28 maggio 2016. Utilizza poche e misurate parole un politico per spiegare ai cittadini una situazione. In ogni modo: chapeau!
Leggo nel comunicato seguente: «Non possiamo più permetterci una Amministrazione che ingurgita passivamente tutte le scelte della Regione costacentrica senza colpo ferire», 18 settembre 2016. (Si riferiscono all’amministrazione Di Pangrazio). Che dire? Io niente, per via della mia frequentazione dei classici buddhisti, ma la maggioranza dei marsicani potrebbe osservare che ciò contraddice quanto affermato dalle stesse persone dieci giorni prima: non è vero che Marsica Come On (Laboratorio Abruzzo Giovani) non si schiera. Gli altri conterranei – non noi cageani e coltraniani – noteranno anche che un’associazione che fa riferimento all’Abruzzo, si scaglia contro una parte di se stessa e troveranno ciò contraddittorio o almeno ridicolo. Mi chiedo: come si fa a non schierarsi in un periodo in cui a ciascun connesso a una rete (cellulare, internet) è richiesto costantemente di essere pro o contro qualcosa? (È perciò «naturale» schierarsi, tifare, mobilitarsi per un nativo digitale a differenza delle generazioni precedenti).
Questi/e signori/e infine non conoscono il territorio in cui vogliono agire e ciò appare dal loro marchio: l’orso non è l’animale simbolo della Marsica, né dell’Abruzzo.

Noi siamo uguali agli altri, noi siamo come tutti gli altri, noi siamo diversi, noi siamo diversi, noi siamo uguali agli altri, ma siamo diversi, ma siamo uguali agli altri, ma siamo diversi», N. Moretti, Palombella rossa, 1989).