mercoledì 28 marzo 2018

(La terza). bis

Riprendo la sezione «traditori e traditi» considerando che è piaciuto.
(Politica). Ho già scritto che il civismo è repertorio del passato come pure il «partito dei sindaci», tirato fuori recentemente da uno di loro che mi sta pure simpatico. È invece il caso di chiamare le cose per nome, di preferire l’espressione «lista d’appoggio». (È poco cortese nei confronti di chi va a votare utilizzare il più appropriato «acchiappavoti»). Le liste civiche d’altra parte erano caratterizzate dai loro programmi dettagliatissimi – i loro promotori conoscevano minuziosamente la loro città. Esse avevano sparuti legami con le ideologie perché erano concentrate fin troppo sui luoghi da cui muovevano; erano – purtroppo – per niente interessate ai rapporti con gli altri enti (Provincia, Regione, governo centrale). Da noi è successo qualcosa di ben diverso e non solo nell’ultima tornata delle Amministrative – altro che «forte connotazione civica».
(Usi e costumi dei Paesi del Mediterraneo). I voltagabbana: è una novità per Avezzano, L’Aquila, l’Abruzzo, l’Italia? No, è una vecchia storia e non ci si fa troppo caso. Stando alle dichiarazioni che leggo nei siti d’informazione, qualcuno avrebbe tradito l’elettorato – il suo, in generale. Io mi chiedo: chi tradisce chi? Dalle nostre parti in genere, uno vota per decenni un parente, un amico, un collega, il datore di lavoro, il dirimpettaio che ha le mani in pasta in «politica»; se poi questo si presenta di volta in volta con il partito X, Y, Z o K è del tutto ininfluente. (Trenta, quarant’anni fa quando c’erano le ideologie e i partiti spuntati nel secondo dopoguerra, la situazione era solo meno chiara). Oggi è tutto più fluido, anche grazie all’invenzione delle liste d’appoggio. Uno vota generalmente una persona non una lista, un partito o uno schieramento politico – locale, nazionale – alle Amministrative. Il voltagabbana a sua volta tradisce una lista, un partito, un’ideologia mentre il suo elettore medio non può farlo; chi vota può tradire giusto un parente, un amico, un collega ma è comprensibile e per nulla disdicevole. Gli elettori e gli eletti viaggiano su binari paralleli, il collettore di voti (parente, amico, eccetera) è il canale tra i due tracciati. Fanno perciò sorridere le analisi del nostro voto locale che utilizzano categorie nazionali come centrodestra, centrosinistra ecc. (Cambridge Analytica ci fa un baffo…) È un vecchio film, anche i recenti malumori e screzi per la composizione della nuova Giunta – c’entrano come i cavoli a merenda con la politica e soprattutto con l’amministrare. Monica Santellocco pubblica questa cronaca che ci fa capire meglio di tante analisi antropologiche come da noi, funziona (quasi) tutto: «Se ne va sbattendo la porta Alessandro Barbonetti […]. Barbonetti [segreteria del sindaco De Angelis], ex consigliere nelle amministrazioni Floris [centrodestra] e Di Pangrazio [centrosinistra], marito della consigliera Maria Antonietta Dominici [De Angelis, neo-centrodestra]», TerreMarsicane 27 marzo 2018. (Tralascio il motivo perché immagino che lo avrete già letto).
Spero che riprenda presto la normalità amministrativa: Avezzano è una città di 42mila abitanti e non un borghetto sperduto tra le montagne, con i classici quattro vecchi a prendere il sole nella piazza principale.
(L’imagination au pouvoir – è una malignità, potete saltarla). La nuova Amministrazione di centrodestra si è riunita sotto un programma denominato Avezzano bene comune. Domanda: «bene comune» proviene dagli ecologisti, il centrosinistra, la sinistra, l’estrema sinistra? (Non è difficile se avete la mia età o addirittura veleggiate verso i settanta).

Si avvicina Pasqua e perciò il ritorno di diversi amici che vivono fuori da anni, avrò poco tempo per scrivere; ci si risente dopo le festività pasquali.

lunedì 26 marzo 2018

4 way street 41

Scrivo giusto tre considerazioni riguardanti la nuova Giunta comunale.
(La prima). Ritengo che un’amministrazione comunale – anche la più scalcinata, mediocre e ridicola –, sia migliore di un commissario prefettizio. (E poi, una nuova campagna elettorale…). Immaginavo, mi auguravo che finisse così. Si trattava secondo me di una sconfitta politica di Di Pangrazio che perciò non poteva essere ribaltata da una sentenza di tribunale; vi era perciò bisogno di una rivincita in nuove elezioni o dentro il Palazzo di città: non è stata tentata nessuna delle due strade. (È stata una sconfitta particolarmente pesante considerando anche che egli ha condotto la campagna elettorale da sindaco). Che cosa succede comunemente a un esercito in disfatta? Ci si separa e ognuno per la sua strada, senza problemi di direzione; questo è divenuto evidente dopo nove mesi, nel nostro caso. (Faceva parte della truppa dipangraziana, anche il partito più votato alle Amministrative, l’Udc). Continuo a chiedermi: perché De Angelis, ma anche l’altra «parte», ci ha impiegato tanto tempo a capire tale situazione? (L’ex-sindaco può solo consolarsi, dopo aver vinto la battaglia per la legalità: «Siamo pronti al confronto come minoranza»; «in modo chiaro e trasparente», mi sembra giusto). In fine: c’era purtroppo chi credeva che la giustizia amministrativa avrebbe lasciato tutto com’era, ad Avezzano.
(La seconda). Scrivevo l’anno passato, «Dovendosi rapportare ai palazzi romani del potere (leggi: alleanza politica che ruota intorno al Pd) per una qualche questione – come ho già scritto –, chi introdurrà un nostro uomo delle istituzioni, almeno fino all’addio del mite Gentiloni nel febbraio 2018? […] Si può anche concordare con la scarsa utilità di Giuseppe Di Pangrazio nei confronti del comprensorio per via del suo rapporto basato sulla sottomissione con D’Alfonso (di nuovo: alleanza elettorale intorno al Pd). Mi chiedo: farà meglio qualcun altro dell’attuale schieramento «locale» di De Angelis o del centro-destra – che mancherà per un altro paio d’anni?», 30 giugno 2017. Applico lo stesso ragionamento all’oggi. (Allora consideravo come gli avezzanesi, non avessero realizzato un buon affare a scegliere De Angelis perché staccato da un contesto regionale e nazionale – nonostante l’endorsement di Silvio Berlusconi pochi giorni prima del voto). Abbiamo oggi tre simboli di partito nella nuova maggioranza, il sindaco ha promesso d’iscriversi, a breve, a Forza Italia. Bisogna aggiungere che in Abruzzo si voterà anticipatamente, che il centrodestra ha delle ottime possibilità di vincere anche le prossime Regionali. È difficile prevedere il prossimo governo nazionale ma sarà in ogni modo sbilanciato verso destra. Siamo messi meglio di luglio 2017 come avezzanesi, senza dubbio.

(La terza). I traditori e i traditi: la dabbenaggine dei secondi. (In simili casi è preferibile non presentarsi alle elezioni, non impegnarsi in campagna elettorale e non votare). Ho già trattato di queste cose nei primi post della serie, mi porto avanti con il lavoro. (Si fa tanto per dire: non scriverò per niente sulle prossime Regionali, non ne sono capace). L’altro Abruzzo è un’alleanza politica che attacca «lista civica» a «territorio». È strano o no? Reclama potere non si capisce bene a chi, anche se si presume a chi ne ha di più; uno immagina una serie di listerelle provenienti da che so, Bisegna, Pero dei Santi e invece si trova di fronte alle città più popolose e importanti dell’Abruzzo. È strano anche questo o no? (Avezzano insieme a Pescara e L’Aquila, tra l’altro…). È invece di gran moda oltre che da furbetti dichiararsi inizialmente: «né a destra né a sinistra».

sabato 24 marzo 2018

Lavandare

Qualcuno mi ha rimproverato d’aver scritto poco sulla vicenda di piazza A. Torlonia, che non mi sono inserito nelle recenti polemiche riguardanti la recisione e la potatura di molti alberi. Ho saputo come gli altri compaesani della portata di quell’intervento su quel pezzetto di città nello scorso autunno, per bocca dell’allora assessore all’Ambiente (Crescenzo Presutti). «Gli alberi presenti nel “giardino della città” sono 330 ma ne vanno abbattuti subito 30», 9 ottobre 2017. (Si era già espresso pubblicamente in tal senso: c’ero anch’io il 23 luglio 2017). Non ho scritto nulla dopo aver conosciuto il numero particolarmente elevato delle piante sicuramente malate e pericolanti da abbattere: sono rimasto basito, non pensavo di conoscere così poco una zona che frequento almeno un paio di volte la settimana e pur denunciandone da numerosi anni il suo degrado. Si è anche conosciuto nel frattempo il numero esatto delle piante presenti in città: più del doppio di quello che comunemente si pensava fino allora. Io ho taciuto: «Non scriverò un rigo circa la potatura e i tagli di alberi in piazza Torlonia neanche sotto tortura», 23 novembre 2017); si sono comportati allo stesso modo qualche botanico, forestale, agronomo o il locale WWF – ho da imparare da gente del genere. La situazione era ben più grave di quanto potesse sembrare a prima vista, è inutile nasconderlo. Erano perciò legittime le contestazioni di sorta nei giorni seguenti la presentazione del progetto, diciamo entro metà novembre 2017. Meglio tacere, altrimenti. Frequentando quel posto durante i lavori come ho appena raccontato, mi sono reso conto dalle sezioni dei tronchi che numerose piante recise erano effettivamente malandate. (A nessuno è balzato in mente che tanto attivismo nel comparto Ambiente derivasse in realtà dalla maggiore quantità di quattrini dirottata in quelle parti rispetto alle precedenti amministrazioni: una questione politica).
Alcuni avezzanesi hanno invece sbroccato alla «novità» degli alberi potati e i ceppi di quelli tagliati. Gli stessi non hanno fatto caso alle decine di nuove piante – com’era ampiamente prevedibile. Se non hanno visto i nuovi alberi alti almeno tre metri, è facile immaginare che non faranno caso alle future siepi di bosso. Le polemiche sono partire nel febbraio 2018 e riprese con l’entrata della primavera. Non è spuntato fuori nulla che già non si sapesse da decenni da dette polemiche, ça va sans dire.
Nell’estate 2017, la questione era: che fare quando uno o più tecnici ti espone a parole, ti scrive che una quarantina d’alberi di un particolare posto sono malati e altri non se la passano bene rischiando di cadere su chi si trova nei pressi? L’amministratore si sarebbe comportato come Crescenzo Presutti, il politico no. Il secondo, democristianamente, avrebbe sostituito sì e no cinque piante l’anno durante il suo incarico, per non turbare, preoccupare, impensierire i frequentatori di piazza A. Torlonia. (Saluti e baci a quelle lasciate in piedi). Qualche ramo o albero caduto durante il suo assessorato? Il suo successore all’Ambiente o uno dei tecnici che riferisce a un giornalista il contenuto della vecchia consulenza? Tutto qua.

(‘E cadenzato dalla gora viene | lo sciabordare delle lavandare | con tonfi spessi e lunghe cantilene’).

giovedì 22 marzo 2018

on demand

(Ok, vuoto il sacco). Riprendo dall’inizio. Avevo già citato «C’è stata la volontà politica di far tornare il comando […] vicino al palazzo comunale» – Luca Montanari 6 febbraio 2018 –, aggiungendo una mia considerazione: «È una motivazione di tipo geografico più che altro», 2 marzo 2018. La geografia, lo spazio in questione era quello della mia adolescenza non quello in cui viviamo immersi ai nostri giorni. (Lo stesso comunicato comprendeva anche, di Gabriele De Angelis: «il presidio di polizia torna […] nel centro della città e si riavvicina alle istituzioni»).
Frasi del genere sarebbero suonate ridicole in gioventù per ciò che passava il convento – nel senso: i libri che leggevo allora. È invece il nostro paesaggio «naturale» tutto ciò, trent’anni e passa dopo. Posso telefonare e ricevere chiamate lontano dal mio «fisso», con il mio cellulare; potrei sostituire un decimo del lavoro al computer da cui sto pubblicando avendo uno smartphone stando lontano dalla mia solita (amata) postazione. È recente la notizia di un’automobile sperimentale senza guidatore che ha investito un pedone, negli Stati Uniti; da una dozzina d’anni, alcune azioni anti-terrorismo che prevedono uccisioni sono svolte da droni guidati a migliaia di chilometri di distanza.
Il Comando della nostra Polizia locale potrebbe perciò stare comodamente a Castelnuovo, a Paterno o a Cese: gli agenti si spostano con mezzi motorizzati nelle loro attività, ormai da alcuni decenni. È ridicolo anche parlare di «presidio di sicurezza, per di più adiacente a un parco frequentato da bambini e famiglie», 17 marzo 2018. Tutto ciò vuol dire che vi sarà uno o due agenti distaccati presso due finestre e intenti a sorvegliare i parchi, dietro le tende? (Parco ex-Arssa e piazza A. Torlonia, visto che ci siamo). Che senso ha tutto ciò, dopo decenni di tecnologie dedicate alla telesorveglianza? Ci pensano ormai le telecamere piazzate quasi ovunque in città a sorvegliare i luoghi dove viviamo e non vi è bisogno di gente che si sposta per andare a guardare. (Siamo fermi, secondo l’idea dominante ad Avezzano, agli inseguimenti a piedi come nelle prime comiche di Stanlio e Ollio). A proposito: funzionano – tutte, in parte – le numerose telecamere istallate in città da anni? (Quello che ho scritto non significa necessariamente che le pattuglie siano divenute inservibili negli ultimi anni; è vero altresì che i vigili urbani non sono in grado d’intervenire in tutti i casi di delinquenza: talvolta è più utile mobilitare la Polizia di Stato mentre in determinate situazioni, è meglio chiamare il 112).
Ok, i vigili urbani in una situazione – diciamo – tranquilla; chi sarà invece collocato intorno alla nostra famigerata stazione ferroviaria: i fucilieri di marina, i paracadutisti in assetto di guerra? (Non avrebbe guastato nell’ultimo mese l’intervento di un qualsiasi giornalista avezzanese con la voglia di entrare nel merito della questione. Solo uno, per carità).

martedì 20 marzo 2018

Montanari e pastorelli

Aggiungo una chiacchierata a quanto ho finora scritto sul trasferimento del Comando della Polizia locale, perché dà meglio la misura del dibattito che si sta svolgendo. Si è immaginato molto riguardo alle attività da inserire dentro il complesso ex-Arssa negli ultimi giorni – io invece scrivo che qualche stanza vuota, un capannone inutilizzato o un prato senza i gonfiabili della Settimana Marsicana non costituisce un problema. (Non mi appassiona nemmeno la «casa delle associazioni» in quelle parti o alla Montessori: è preferibile l’autonomia).
Un amico che risiede dalle nostre parti solo da alcuni anni mi ha chiesto recentemente delle informazioni sulla facoltà di Giurisprudenza. È poi sbottato: «Sì, ma com’è come facoltà?». Nel senso: è un corso di laurea importante, ricercato dagli studenti italiani oppure no? Ho risposto diplomaticamente che ai miei tempi, i coetanei preferivano Roma glissando – circa la facoltà teramana – su quanto si poteva arguire scorrendo gli annunci in cui si richiedeva del personale, nelle riviste (cartacee) del tempo.
Fu una scelta politica quella di dirottare un pezzo di quell’università; c’entrava di mezzo la possibilità di frequentare un corso di laurea risparmiando ai singoli o alle loro famiglie i quattrini per il viaggio o la residenza a Roma. Non sono nella condizione di tracciare un bilancio di tal esperienza ma è da tenere ben presente la motivazione che ha portato Giurisprudenza ad Avezzano, quando si parla di università. (Glisso sui castelli in aria fabbricati intorno a tale istituzione da diversi personaggi locali). Qualcuno l’ha ripresa nella scorsa campagna elettorale, mentre in generale si divaga e si prospettano scenari poco realistici. Si continua a scrivere «campus universitario di giurisprudenza», ignorando che cos’è un campus; si parla di «polo universitario» ma riferito giusto a un pezzo di Giurisprudenza e forse di Agraria. Ecco, ci vorrebbe un maggior senso della misura nel discorso pubblico, questo sì. (Anche di senso del ridicolo).
(In leggerezza). Scomparirà la famosa stanza dei radiologi nella nuova sistemazione? Che fare in tal caso? Immagino che i nostri cosmopoliti del «Lo fanno anche altrove» – a gettone s’intende –, saranno prodighi di consigli al riguardo. Li indirizzeranno forse nella vicina Capitale a San Carlo alle Quattro Fontane, al Panteon, dentro il Verano – con tutto quello spazio a disposizione, è un posto ombreggiato e soprattutto tranquillissimo.

È una grossolanità come altre il trasferimento in quelle parti del Comando della Polizia locale – è bene ripeterlo –, messa in atto probabilmente per tenersi allenati; esso porta le firme di numerosi, troppi autori, come ho cercato di raccontare negli ultimi post. (È questo il nocciolo della vicenda; era perciò il caso di evitarsi il benaltrare o il rimescolare le carte ricorrendo, di volta in volta, al futuro centro della città, al polo culturale, al salotto buono e altre amenità spuntate fuori nelle ultime settimane).