lunedì 31 agosto 2015

Altre macerie


(Ho avuto l’Adsl fuori uso per un paio di giorni). È una vecchia storia ripetuta, ciò che è successo nel Palazzo in occasione dell’«improvvisata» di Matteo Renzi – nessun lapsus freudiano; non stupisce – non solo me –, il ricorso alla categoria degli «intrusi» fatta dal quel mondo politico aquilano per spiegare – solo ai concittadini, immagino – l’esito dell’incontro. (È partito dal Pd per la cronaca. «Chi come la senatrice Pezzopane, si lamenta per il fatto che la protesta degli ambientalisti avrebbe oscurato il tema della ricostruzione dell’Aquila, evidentemente non riesce a comprendere che l’Abruzzo non è solo [L]’Aquila», Comitati cittadini per l’ambiente – Sulmona. È mio il grassetto. D’altra parte: Luciano D’Alfonso ci stava facendo che cosa, chi rappresentava in quel posto? Soprattutto: il presidente del Consiglio è andato a L’Aquila perché invitato da D’Alfonso o da una segretaria, da usciere di quel comune?).
C’era stato nei giorni precedenti un momento di crisi nella maggioranza alla Regione legato al salvataggio della Isa – che ha provocato un «rimpasto». Non salvare cotanta istituzione è una follia, ma è altrettanto comprensibile come tanti corregionali – compreso qualche consigliere regionale – considerino la Sinfonica poco abruzzese. Vale lo stesso discorso per altre simili situazioni: sono abruzzesi per denominazione ma aquilane di fatto. (Possiede un retroterra, una lunga storia alle spalle, l’equazione tutta aquilana: Abruzzo = L’Aquila).
Consiglio di leggere alcuni pezzi di Maria Cattini – pure una lunga lettera di Federico Fiorenza – sulla storia del Tsa in LAquilaBlog anche per avere un’idea di quello che succedeva in periferia, ai tempi della Guerra fredda. Il link:
Ritrovare il bandolo della matassa nella visita in Abruzzo di Matteo Renzi e anche il suo ruolo nella Regione, riguarda il personale politico aquilano. Non dovrebbe essere difficile, ad avere un briciolo di umiltà. A proposito di esso: «non sa proprio di che parliamo, non riesce ad inserirsi, si sente come un pesce fuor d’acqua, se non si parla di frazionisti e fontanelle, di case private da ricostruire e pratiche da considerare, contributi a pioggia da dare a giro o peggio, sollecitare il rimborso di traslochi e danni ai beni mobili a turno all’ufficio preposto per foraggiare le clientele», A. Cococcetta, Solo intra moenia, in «LEditoriale» 27 agosto 2016.
Non si parla nemmeno come passatempo di attività produttive nel poltronificio a cielo aperto a quaranta chilometri da noi, nella città degli affittacamere. (Avercene un paio di giornaliste del genere, da queste parti…).

venerdì 28 agosto 2015

Provincialismo 2.0


Ho avuto notizia dell’improvvisata del presidente del Consiglio dei ministri a L’Aquila, nemmeno ventiquattr’ore prima. E per caso. Doveva essere un incontro per pochi intimi nonostante l’ufficialità, suppongo. (Domanda: che gli vai a rimproverare a un comune ospite, a un presidente del Consiglio dei ministri?).
I mass media hanno generalmente e non inaspettatamente ignorato il contenuto politico degli incontri – ne hanno parlato dettagliatamente alcuni uomini politici presenti – ma si sono soffermati su una parte della cronaca. Parliamo di quella.
Si sono ritrovati nel capoluogo regionale alcuni gruppi legati a vertenze locali. (C’erano anche gli studenti – medi, universitari – che avevano interrotto le ferie estive). La manifestazione non era autorizzata e a porgere uno sguardo al bollettino medico, essa è finita fin troppo bene. Era perciò da rallegrarsi per giorni in tutta la Penisola anziché cedere a una pappagallesca solidarietà con gli uni o gli altri – ugualmente italiani, abruzzesi. (Poteva succedere il finimondo).
Perché sono andati da quelle parti i giovani dei comitati NoTriv, NoGasdotto, NoPowerCrop, eccetera? Perché è il governo – rappresentato dall’illustre ospite – ad avere in mano il boccino per alcune vicende riguardanti l’ambiente della nostra regione. Su questo dovrebbero essere d’accordo sia i manifestanti – pacifici e no –, sia chi ha applaudito Matteo Renzi, accomunati dalla recente proposta di un referendum nazionale sulle trivellazioni nell’Adriatico. (Una pessima idea quella del referendum, secondo il sottoscritto). La differenza tra i primi e i secondi consiste nella quantità di fiducia riposta nel governo centrale. (Per me è un po’ diverso. Un partito locale – dopo gli anni Novanta – conta poco o nulla a livello nazionale, in una situazione che vede partiti perlopiù legati a una persona. Di ciò che è elaborato alla base, arrivano echi spenti al vertice e quando arrivano… ).
Ho notato una differenza tra la reazione dei politici aquilani ai fatti successi nella loro città e quelli del resto dell’Abruzzo. Nei commenti sul web la faccenda è stata invece più chiara: «che ci vengono a fare quelli di Pescara qua?». (Ignorando tra l’altro che la conurbazione sulla costa, è quasi quattro volte il capoluogo abruzzese. Non erano solo i «pescaresi» in realtà, a manifestare). Si pensa da quelle parti che cotanto personaggio nel capoluogo di regione, debba parlare esclusivamente del posto, del sestiere o del vicolo in cui è approdato. Essere un centro di potere comporta onori ma anche oneri. (Né era la prima volta – né l’ultima – che tutti quei comitati mettevano i piedi a L’Aquila).
Glisso sulla battuta di Matteo Renzi – felice o infelice, non importa – riguardante una squadra di calcio ma soprattutto quello che ne è poi seguito a Teramo, capoluogo di provincia con 55mila abitanti ma per questo non meno periferia. (Il suo sindaco ha chiesto addirittura le dimissioni di un presidente del Consiglio dei ministri italiano, per una battuta).
È da segnalare anche questa preziosa lettura – l’italiano purtroppo è quello che è – da parte di un fresco e sottilissimo commentatore politico abruzzese che percorrerà molta altra strada, c’è da scommetterci:
Feelin’ alright | Not feelin’ too good myself’.

giovedì 27 agosto 2015

Fernsehen verblodet.


Se la televisione istupidiva, secondo la secca sentenza di un autorevole intellettuale europeo, che cosa dobbiamo noi oggi pensare del web?
Mi ha colpito questo pezzetto, a luglio: «La legge regionale salva-fiumi o ammazza-fiumi, a seconda dei punti di vista, giace nella secca». (Non interessa né la testata che l’ha pubblicata, né tanto meno il suo autore; i grassetti sono miei).
La legge in questione per intendersi, è quella sulla «Manutenzione dei Corsi d’acqua». Ho usato in proposito su questo blog l’espressione: «cosiddetta legge ammazzafiumi». Come stanno le cose? «Ammazzafiumi» è ascrivibile a Maurizio Acerbo (Prc) mentre «salva-fiumi» non si sa ed è probabilmente un’invenzione giornalistica. (C’è bisogno della seconda espressione? No, è sufficiente un numero dopo la sigla L.R.).
Nel giornalismo italiano da anni, vige una sorta di principio d’Archimede per cui, a ogni idea ne corrisponde necessariamente una contraria che la controbilancia. Esistono idee contrarie in questo caso? No, anche perché non si può raffrontare l’ecologia dei sistemi fluviali con un provvedimento amministrativo, per quanto oculato e meritorio ma riguardante un solo aspetto dei nostri corsi d’acqua.
Prelevare materiale litoide dall’alveo di un fiume (di un torrente) o lasciarlo dove si trova, non è la stessa cosa. Non è proprio questione di opinione.

mercoledì 26 agosto 2015

on demand


Non ho molta voglia di scrivere qualcosa sul ritorno al doppio senso di circolazione su via Roma. La vicenda dell’anello a senso unico secondo me, si è chiusa con le ultime elezioni amministrative: tutti i candidati alla poltrona di sindaco volevano la sua abolizione. L’unica realizzazione che rimane del Pgtu è la rotonda in piazza Orlandini.
Nove anni fa in uno dei primi post, raccontavo come gli strumenti di pianificazione sono considerati «carta straccia», dalle nostre parti.
Non si è pensato in questi tredici anni dall’adozione del Pgtu, a ridurre il traffico motorizzato, a eliminare la strozzatura costituita dalla stazione ferroviaria tra zona d’espansione nord e centro – sotto Floris è circolata qualche mezza idea –, a selezionare le strade. L’anello a senso unico è stato un sistema per separare – in qualche modo – il traffico proveniente altrove e diretto fuori città.
Non si è capito minimamente che il centro – nonostante la riduzione dei marciapiedi (1996) – non sopporta grossi volumi di traffico. Il Comune lo utilizza invece in modo clientelare e «cerchiobottista»: una volta lo chiude al traffico motorizzato per far piacere a chi vuole l’isola pedonale, un’altra fa in modo che sia ingorgato dalle automobili e tener buoni i commercianti.
Rimettere indietro le lancette della storia non servirà solo a far crescere l’inquinamento, come paventa qualcuno in cerca di notorietà:
In moltissimi saranno contenti perché nella loro imbecillità pensano che i marsicani abbandoneranno i centri commerciali e prenderanno d’assedio i negozi del centro d’Avezzano. Ho un’idea di come si trattano simili questioni negli Stati Uniti e perciò sono abbastanza sconfortato da quello che è successo da noi. Mah…

martedì 25 agosto 2015

Gli Stones in discoteca


Piazza A. Torlonia, la villa comunale è uno dei temi estivi di cui ci si occupa in modo rituale (consiglieri comunali, mass media) da decenni. La responsabilità del suo degrado è stata attribuita di recente agli extra-comunitari che iniziano a spacciare all’imbrunire. (I pusher di nazionalità italiana invece – com’è notorio –, svolgono la delicatissima funzione di educare i giovani del posto alle pasticchine e le polverine).
Mi sono accorto in questo scorcio dell’estate che la vicenda è ancor più complicata – da quando ne vado scrivendo. Ci sono passato di recente, dopo l’ultima manifestazione che vi si è tenuta: il prato – in un punto, per un centinaio di metri quadrati –, non esiste più. È rimasta solo la terra scura, senza un filo d’erba. Da che cosa dipende? Deriva dal continuo passaggio e dallo stazionamento del pubblico di qualche manifestazione – che non dovrebbe svolgersi da quelle parti.
È sbagliato concedere – da parte dell’ente pubblico – un luogo del genere per iniziative pensate per radunare migliaia di persone nell’arco di poche ore. Piazza Torlonia non regge un impatto simile; la gente per spostarsi o consumare in qualche modo invade e devasta, cancella i prati. (C’erano i cartelli: NON CALPESTARE IL PRATO, tempo fa). Si può addossar a essa alcune colpe ma non tutto.
(Chi attacca il sindaco dall’opposizione, sa che dovrà comportarsi allo stesso modo in casi del genere, qualora eletto al prossimo giro e perciò – comprensibilmente – non sfiora quel tasto).