venerdì 27 settembre 2013

Giacca tirata 2


Qualcuno da Milano (Selvaggia Lucarelli) ha sconsigliato gli avezzanesi dall’impiegare l’aula delle udienze del nostro tribunale come spogliatoio – in modo garbato.
Mi sono ritrovato tra i piedi entrando nei corsi di Composizione architettonica, un elemento del repertorio a cavallo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso: il centro polifunzionale. L’invenzione di un tema siffatto era legato alla diffusione di prodotti culturali e allo sviluppo del comparto delle arti, in Italia: c’era bisogno di costruire in fretta. Mi fecero però capire al quarto esame di quell’importante materia, che era ormai finito il tempo in cui si poteva fare tutto dentro uno spazio, un parallelepipedo bianco: mostre di pittura e di fotografia, concerti, conferenze, proiezioni di film e diapositive, dibattiti, spettacoli musicali e teatrali. (La musica si ascolta nell’auditorio, la pièce nei teatri, le mostre nei musei o nelle gallerie eccetera. Di là del conoscere il carattere e gli elementi di un singolo edificio).
E’ quindi facile immaginare il mio pensiero circa certe manifestazioni molto «contaminate», in certi luoghi.
(A livello spaziale). La manifestazione finita nel mirino (Noa-via Corradini-tribunale) – come quella precedente e i concerti estivi –, sbarra la strada e l’alto volume del suono protegge tale barra. Siamo fatti così, noi europei.
Non è una via come le altre, via Camillo Corradini: è il percorso principale e il luogo del passeggio di un centro di 42mila abitanti. Tale impedimento infastidisce oltre gli sparuti residenti nel centro, anche centinaia di persone che camminano e che vogliono farsi due chiacchiere a spasso con gli amici o con i famigliari, dopo cena. Dà fastidio. (Volendo rimediare, non è complicato ruotare le manifestazioni di Noa di 90° per lasciare libero uno dei due marciapiedi. Vale lo stesso per qualche altro locale, ma sono certo che alcuno si darà ai piaceri della geometria). In molti hanno accennato a ragione alla sacralità del luogo (aula delle udienze del tribunale), ma nessuno ha ricordato l’utilizzo improprio di uno spazio pubblico ed è in buona parte proprio questo che – secondo me – ha scatenato i commentatori nel web. Ha solo incanalato la rabbia e la frustrazione accumulate negli ultimi due anni, la foto su Facebook. (Alcune strade del centro sono divenute infrequentabili per le attività dei locali, nelle sere d’estate degli ultimi anni).
Consiglio di leggere anche questo comunicato perché dà un’immagine chiara dello scenario culturale, nell’Avezzano dei nostri giorni: potrebbe essere un documento storico, tra non molto.

Ho scritto della «privatizzazione» dello spazio pubblico al suo apparire, ad Avezzano e il caso in esame è solo il massimo che si è prodotto. Si ripeteranno quindi, manifestazioni del genere: non sono in ballo solo i quattrini.

mercoledì 25 settembre 2013

K'sLT 34


Da oltre un anno, bazzico la parte finale di via G. Garibaldi – quella che porta a via Nuova.
Mi capita d’incrociare lungo il tragitto, dei campi incolti e delle vecchie o nuove abitazioni isolate abbandonate. Le nostre case sono diverse da quelle che s’incontrano nel circondario: sono più povere. Nessuno saccheggia le case vecchie avezzanesi perché esse sono prive del portale in pietra o di un camino degno d’essere smontato. Si prelevano giusto gli infissi da usare come legna da ardere mentre le costruzioni recenti contengono anche numerosi elementi metallici (cavi di rame, rubinetteria, infissi, ecc.), buoni per essere riusati o venduti a peso. Un’abitazione isolata quando va in rovina, diviene un rifugio temporaneo per tossicodipendenti o per vagabondi: essa è abbandonata quando è troppo sporca. (Le finestre al primo piano di un’ala – abbondante – del vecchio ospedale nel centro cittadino, sono state murate da tempo in via cautelativa).
Nessuno s’inalbera quando sono consumati reati del genere: le case vanno mantenute soprattutto se in periferia e isolate.
Il mio, è un modo di rispondere a chi mi chiede un parere circa il pezzo: Scandalo profughi in città, scoperti dormitori in centro, in «MarsicaLive» 17 settembre [2012], comprendente il video Cuori duri di P. Guida. [E’ stata abbattuta il 4 luglio 2013, l’abitazione in questione]
(Oggi parte The Huffington Post italiano: speriamo bene).

sabato 21 settembre 2013

K'sLT 33


Ragionando di territorio, mi capita spesso di mostrare le differenze tra i confini amministrativi e la storia, l’economia, la vita quotidiana nella Marsica. A fine luglio, è uscito un pezzo su una piccola testata: Giorgio Nebbia, Bacini idrografici come confini provinciali, in «La Gazzetta del Mezzogiorno» 24 luglio [2012].
E’ stata musica per le mie orecchie per molti versi, anche se m’aspettavo più puntualità e coraggio da parte del merceologo, che è stato tra i primi a divulgare il tema dei bacini imbriferi e ha avuto dei trascorsi da parlamentare.
La spending review di Mario Monti «nella suddivisione e riaggregazione delle varie province», può produrre delle nuove entità amministrative i cui «nuovi confini potrebbero coincidere con quelli dei bacini idrografici».
Non sono affatto d’accordo e tanto per fare un esempio, ne cito uno a noi vicino. Il Tronto divide due regioni e due province: resterà tale anche dopo la spending review. Teramo sarà accorpata con una o più province abruzzesi e lo stesso sarà per Ascoli Piceno. Bisogna invece aggregare le due province, sperando che ben rappresentino l’area in questione. (Non è detto che i confini amministrativi ricalchino esattamente quelli di un bacino imbrifero).
Per unire – a livello amministrativo – un bacino idrografico bisogna accorpare i territori che fanno parte del bacino stesso. Non è una questione numerica o di bilancio, come per l’attuale governo: i bacini imbriferi possono essere estesi poche decine di chilometri quadrati o 71mila kmq come quello del Po. (Che fare?).
«La cultura ecologica odierna ha [...] riconosciuto che il fiume è punto non di divisione, ma di unione fra terre vicine e ha rivalutato l’importanza del bacino idrografico, quel territorio i cui confini, ben definiti geograficamente, coincidono con gli spartiacque dei monti e colline», appunto.
L’esperienza delle Autorità di bacino, ha modificato pochissimo o per niente la cultura di governo locale e centrale in questi decenni, purtroppo. L’autore cita la breve vita dei dipartimenti «italiani» post-Rivoluzione francese (Arno, Basso Po, Brenta, Olona, Ombrone, Reno, Serio, Taro). Si tratta di ripescare quell’esperienza politica e amministrativa a cavallo tra Sette- ed Ottocento che poi è l’attuale situazione francese. Non ci vuol molto per capire che è la scala migliore per pianificare l’uso delle risorse naturali, per restaurare un paesaggio minacciato dal dissesto idrogeologico, per combattere efficacemente gli inquinamenti.

venerdì 20 settembre 2013

L'automobile nel salotto


Per costruire il «salotto» di piazza del Mercato, saranno tagliati tre (begli) alberi lungo via Cesare Battisti e almeno due (altrettanto belli) lungo via del Mercato. (Almeno. Gli alberi su via del Mercato sono disegnati in una posizione che a me sembra fantasiosa, nel progetto della foto citata).
Non chiedetemi che fine farà la fontanella.

giovedì 19 settembre 2013

Giacca tirata


Mi lascia indifferente, la vicenda del cosiddetto restyling di piazza del Mercato: si sega qualche albero, si ricavano alcuni parcheggi e poco altro. Lo ricavo da una foto del progetto:
Solite cose avezzanesi, io non mi arrabbio per niente. Considero – per la mia formazione – una piazza come un luogo chiuso e per questo mi battei contro la distruzione del Mercato coperto, negli anni Ottanta del secolo scorso; m’interessa poco per lo stesso motivo, piazza Bruno Corbi.
Può intrigare della questione, la campagna di comunicazione del Comune.
E’ stata coniata l’espressione «città distretto» a proposito d’Avezzano. Avezzano sarà «consacrata» città distretto, anche se non si è specificato da chi (papa, governatore di Regione, presidente della Repubblica, ecc. Si consacra con olii appositi, in genere).
E’ un’illusione pensare che un simile posto possa diventare il «salotto» di tutta la città. (E’ lo stesso problema della periferia: non basta ricavare uno spazio simile a quello della piazza per poi trovarselo pieno di gente). Pensano di farci un affare, le stesse persone – i commercianti –, che appoggiano il progetto. L’operazione «offrirà ulteriori trenta posti di lavoro» – Gabriele De Angelis, ibidem. (Proprio «offrirà»). Mah…
(Bisogna fare attenzione alle aree dei distributori di benzina lungo via XX Settembre, una volta abbandonate).

martedì 17 settembre 2013

more trees



La vicenda del taglio degli alberi in piazza Orlandini (anche il proposto restringimento di un marciapiede e l’eliminazione di 6-7 alberi lungo via Garibaldi), ci consente di vedere in controluce alcuni aspetti della vita amministrativa d’Avezzano.
C’è nulla da eccepire alle parole del Comune, quando afferma che gli alberi hanno provocato: «notevoli danni agli scarichi fognari degli edifici privati adiacenti i marciapiedi»; la lettera indirizzata al WWF Marsica parla anche di: «evidenti danni ai marciapiedi e ai sottoservizi» – c’entra anche l’Asl. Non si può fare altro che fidarsi, secondo me. Chiude il capitolo del rapporto tra Comune e associazioni (cittadini) tale comunicazione, ma apre quello non meno inquietante, della vita amministrativa in sé.
Un normale amministratore dell’opposizione di un tempo, avrebbe affermato non senza una punta di snobismo: «Non ha una politica del verde urbano, quest’Amministrazione».
Le cose vanno in un altro modo, ai nostri giorni: lo Stato e l’Ue indicano il comportamento dell’ente locale in numerosi settori. (C’è da aggiungere: per nostra fortuna, in un’area depressa come la Marsica). La stessa quotidianità ci mostra anche un sindaco alle prese con l’attuazione della pianificazione precedente alla sua elezione o con il deficit accumulato dal suo predecessore. Ho speso diversi articoli per raccontare le tappe della sostanziale liquidazione del nostro piano traffico (Pgtu), mentre negli anni Ottanta è toccato al piano regolatore d’allora: perché sono scomparse le aree verdi ad Avezzano? S’è trattato, nel secondo caso, d’incrociare le prescrizioni del Prg e i progetti dei piani particolareggiati per mostrare com’è sparito il verde pubblico in qualche quartiere periferico.
Esiste una o più proposte per l’alberatura in città e soprattutto: è stata o sono state prese in considerazione? E’ concepibile soprattutto che una città con tante piante, non disponga un piano per l’alberatura? (Ammesso che tale piano non esista).
Un Comune sa ciò che deve fare, in genere e ha poco spazio per inventare. E’ possibile che qualcuno abbia mai avuto contatti con qualcuno della Forestale, che so: un Domenico Tascione? Sì, certamente: ci s’incontra in modo informale e ufficiale, e ci si parla – anche con la stazione dei carabinieri, con la Finanza –, ci si scambiano informazioni, relazioni, consigli ecc. (Ci si vede almeno per scambiarsi gli auguri di Natale e quelli di Pasqua alla processione del Venerdì santo). Che cosa ha scritto o consigliato Tascione, o chi per lui? Il Comune – in un secondo momento – ha seguito i consigli della Forestale?
Ricordo di problemi dovuti alle radici delle piante fin dai tempi delle elementari e mi chiedo: è possibile che negli ultimi cinquant’anni, nessuno abbia mai esposto tali questioni agli uomini Cfs? Che cosa hanno consigliato negli ultimi decenni gli stessi forestali ai vari rappresentanti del Comune per evitare che le radici di qualche pianta rovini il marciapiede o la fognatura? Andavano bene le essenze piantate per la città o ne hanno indicate delle altre?
Bruno Petriccione (Cfs) commentando a fine luglio sul blog del WWF Marsica, ammoniva a non prendersela troppo per il taglio di quel tipo d’albero: «Oggi essendo molto invasiva [Robinia pseudoacacia] e non avendo competitori naturali o fitofagi che possano contenerne l’espansione, è divenuta una grave minaccia alla biodiversità ed all’integrità degli ecosistemi naturali». (Sto parlando di una comune persona che invia un commento a un normalissimo blog di gente sconosciuta).
Mi sono tornate alla mente le parole di Marcello Vittorini (1927-2011) a margine di un convegno da me presentato, in proposito della pianificazione – trent’anni fa. L’ingegnere aquilano aveva trascorso alcuni anni dalle nostre parti – fu uno dei primi assunti dall’Ente Fucino e abbandonò la Marsica nel 1956 –, progettando tre borghi rurali nel Fucino. Ebbe dei contatti con l’Amministrazione del tempo che gli voleva assegnare l’incarico per un nuovo Prg e lui iniziò alcuni studi su Avezzano, poi lasciò tutto. Rimanemmo sbalorditi al suo racconto e lui ci disse: «Chi me lo faceva fare? Avevo carta bianca con le altre amministrazioni!». Poteva permettersi affermazioni del genere con il curriculum che aveva già allora alle spalle, in realtà. Mi accorsi in quei momenti della grossa occasione sciupata dagli avezzanesi: a) un intervento di un urbanista di rango, seppur agli inizi della sua carriera, b) un piano regolatore prima del boom economico e il conseguente abusivismo edilizio. (E’ bene ricordare che la classe politica degli anni Cinquanta aveva ben altro senso civico e dello Stato, rispetto a quella odierna. I politici dei decenni passati erano anche più competenti e onesti di quelli d’oggi, a dirla tutta).
(Il Martello del Fucino 14, 2013)