sabato 31 agosto 2013
K'sLT 29
Una trentina d’anni fa, mi fu consigliato di diffondere un comunicato in cui s’affermava che la mia associazione ambientalista, s’interessava da tempo alle acque del fiume Giovenco. S’era insinuato, privatamente: «Perché uscite fuori, solo quando si tratta d’attaccare giunte democristiane?». Erano in ballo nuove captazioni allora come oggi. (C’entrava anche l’abbassamento delle sorgenti e della portata del fiume, allora come oggi. Il colore dell’Amministrazione c’entrava come i cavoli a merenda, in quel caso). Scrissi di malavoglia – «Cazzo, non li leggono i giornali?» –, e consegnai alle redazioni locali. Ci fu qualche iniziativa pubblica a cui partecipai, comunicati e articoli sui giornali.
(Il tempo è galantuomo. Quel partito fu il primo a squagliarsi al sole di Tangentopoli. Io vado ancora concionando sugli stessi argomenti).
Quest’estate è filato tutto liscio nella vallata: niente rimproveri, colpi bassi, rinfacci o dietrologie di sorta nelle discussioni. Una situazione civile, normale.
Mi ha scandalizzato com’è stata trattata la questione dell’Ilva in Italia, soprattutto nel web. Queste le espressioni più in voga in Rete, tra «articolisti» e commentatori: «Nessuno ha fatto niente in questi anni», «Nessuno ha detto niente in questi anni». Tutto ciò che ho letto sui giornali negli ultimi decenni? E’ semplice: non è mai successo, avrò sognato al massimo. Nessuno ha mai scritto, nessuno ha mai stampato, nessuno ha mai letto. Le istituzioni sono state assenti, addirittura tutte e sempre. E’ mai possibile? E’ l’ignoranza e la malafede allo stato puro, di chi vuol conservare le cose come sono.
E’ riduttiva anche l’idea della contrapposizione tra lavoro (stipendio, a dirla tutta) e salute: un popolo che vuol restare in un posto, fa in modo di mantenere più a lungo possibile le risorse che ha a disposizione (suolo, vegetazione, acqua, proteine, eccetera). La faccenda riguarda solo chi abita in quel posto, come sempre. Nessuno vuol suicidarsi, però...
martedì 27 agosto 2013
K'sLT 28
Più di qualcuno tornato per Ferragosto, mi ha chiesto: «Perché non scrivi un altro libro sui bar d’Avezzano, visto che sono diventati così tanti?». Altri invece: «I commercianti ti copiano sulla “desertificazione del centro”». Il riferimento è una mia espressione usata sul quindicinale Il Velino, mesi addietro.
La popolazione locale cresce – da alcuni lustri – al ritmo di 400 unità l’anno: il centro è l’unica parte della città che non riesce – probabilmente – ad intercettare nulla di tale flusso. Il numero dei residenti al centro scende di poco, ogni anno. Io ho chiamato tutto questo, desertificazione. (Non ho inventato io, il termine desertificazione, che poteva essere più o meno appropriato).
Altra cosa è parlare di desertificazione a proposito della chiusura d’alcuni negozi nel Quadrilatero – come fanno le associazioni dei commercianti. (Un conto è un abitante e un altro è un imprenditore che passa 7-8 ore il giorno in un posto – nemmeno tutti i giorni dell’anno –, pronto ad abbandonarlo alla prima occasione più favorevole – come uno straniero qualsiasi). Un esponente della maggioranza afferma, addirittura: «La crisi finanziaria sta portando alla desertificazione del centro cittadino».
A me interessa parlare di un pezzo di città (centrale o periferico, non interessa), agli altri del proprio rendiconto.
La nebbia ideologica sparsa nell’occasione serve a nascondere un fatto semplicissimo: un affitto poco «sostenibile» è questione che riguarda un proprietario d’immobile e un negoziante – solo loro. (Avendo i quattrini per pagare l’affitto resto, altrimenti mi sposto o cambio attività). Un’Amministrazione comunale, non può mediare tra i due soggetti o intercedere. Alcuni commercianti del centro si sono spostati altrove. (Si sono già spostati altrove: oltre la «barriera di via Garibaldi»). Un’Amministrazione comunale, può incanalare il mercato immobiliare attraverso gli strumenti dell’urbanistica.
Al tempo della ventilata vendita della Corradini-Fermi – un complesso di quelle dimensioni –, i commercianti si schierarono con Floris. Le loro associazioni hanno chiesto più negozi al centro, in seguito. Nei due casi, ci sarebbero stati aumenti degli affitti (abitazioni, negozi). Gli affitti sono cresciuti senza operazioni immobiliari e senza aumentare il numero delle licenze. A distanza di pochi mesi, i commercianti chiedono affitti «sostenibili»... al Comune e al nuovo sindaco.
Io considero i commercianti non come un unico blocco; la proprietà dell’immobile è dirimente secondo me. Li divido così: a) proprietari del locale del negozio, b) chi sta pagando il mutuo del locale, c) chi è in affitto. Opero una suddivisione tra chi paga l’affitto al piccolo proprietario locale e chi tratta con una grossa immobiliare con sede altrove.
domenica 25 agosto 2013
intermezzo 2
Sono riuscito a ritrovare
nel vecchio computer, dei file che
facevano parte della serie K’sLT. Ha senso proporli, visto il pubblico degli
avezzanesi fuori regione; più di uno, si fida delle mie «informazioni». Si
parte – come periodo – dall’agosto 2012 e si arriva al gennaio 2013. Aspetterò
fino agli inizi di dicembre, per occuparmi di nuovo dell’attualità. (Ne
approfitterò per scrivere qualche lipogramma su Avezzano).
A proposito. Venerdì 30
alle 16,30, «Corteo di Sbandieratori e Musici» in piazza Risorgimento. Si
sentiva la mancanza d’arlecchinate del genere, evidentemente.
(Lo scorso 21, è andato
anche il buon Paolo Rosa. RIP).
venerdì 23 agosto 2013
twin B
Mostra più di un nervo scoperto, la vicenda degli alberi di via
Garibaldi.
La rotatoria da costruire in piazza Orlandini è stata ripescata
dallo studio dell’«anello a senso unico» (2009). I principali candidati alle
ultime Amministrative si sono esercitati alla critica contro l’anello e non
stupisce che chi ha vinto le elezioni elimini il senso unico. Ci si aspettava
la revoca del senso unico su tutto il tracciato, anziché procedere per tappe
(si vuol forse comunicare la sensazione che, al Comune ci si lavora alacremente
da più di un anno?) e la liquidazione in blocco di tutto lo studio, anziché
scegliere questo sì e quello no – la rotatoria non costruita da Antonello
Floris sì, mentre il senso unico avviato da Antonello Floris no. (Suscita
invece l’ilarità dei compaesani che tornano per le vacanze l’area pedonale
fuori dell’abitato – solo la domenica mattina quando circolano pochissime
automobili –, il dehors lungo la SS 5
e l’area pedonale a richiesta. Ha fatto arrabbiare molti il busto a Camillo
Corradini: un elemento fuori del nostro tempo e nel posto sicuramente
sbagliato).
«Gli alberi erano quasi tutti malati e li ripianteremo al più
presto». E’ stato questo il succo della reazione del Comune alle contestazioni.
Si tratta di un vecchio copione: uno sguardo alle foto pubblicate nel Web,
avrebbe consigliato di cambiare la prima parte. (Una passeggiata mostra invece,
che il numero delle piante malate o malandate da anni non è trascurabile).
Passiamo alla seconda. Non tutti gli alberi segati, negli ultimi decenni, sono
stati ripiantati: è stata coperta di cemento o d’asfalto la piazzuola talvolta;
in altri casi il nuovo marciapiede non presenta piazzuole di sorta. (E’ agevole
confrontare il filare intatto con quello «nuovo»: manca la corrispondenza, in
modo sistematico). Ammontano invece a un centinaio, gli alberi non piantati o
non ripiantati, nel Quadrilatero. In breve: le strade del centro erano
alberate, fino a quarant’anni fa. (Sono state segate centinaia d’alberi, con
disinvoltura). Le piante erano una peculiarità della nuova città; Avezzano è
stata progettata come una cosiddetta «città giardino».
Un’altra caratteristica del centro marsicano è costituita dai
marciapiedi: essi sono stati tutti costruiti insieme agli edifici, come capita
alle città europee nate negli ultimi due-tre secoli. I nostri marciapiedi e le
nostre piante hanno quindi lo stesso valore che ha una basilica a Roma o una
chiesetta lungo un tratturo per un paesino di montagna. E’ la nostra storia,
che piaccia o no.
Fa quasi tenerezza ricordare che un tratto del marciapiede di via X, è stato ristretto per ricavare
qualche parcheggio davanti al negozietto della sora Lella – che era rimasta in
quel posto sì e no quattro anni –, o il tal albero estirpato in gran fretta
perché «faceva ombra» al giardinetto del sor Luigi. La città che abbiamo sotto
gli occhi è modellata da centinaia di microstorie del genere: clientelismo allo
stato brado.
Più di un sindaco ha avuto l’intenzione di fare del Quadrilatero
il «salotto buono» della città ma per adesso, ci si è arrestati a qualcosa che
rimanda al luna-park.
martedì 20 agosto 2013
intermezzo
Ho evitato d’aggiungere,
alla fine dei pezzi «gemelli» – il prossimo dovrebbe uscire (spero) anch’esso
su carta tra un paio di giorni –, le seguenti riflessioni. (Ho puntato sul
valore peculiare che hanno da noi le piante e i marciapiedi. Gli alberi non
sono cemento ma sono più del verde pubblico, nella nostra storia recente).
«Ci si avvia in tal modo
alla commemorazione, tra nemmeno un anno e mezzo del centenario del terremoto.
C’è rimasto poco da memorare insieme, di là dell’evento naturale. C’è
soprattutto poco da ricordare insieme: insieme a chi? A chi sta manomettendo o distruggendo
in modo sistematico e molecolare la città uscita fuori dalla ricostruzione?».
domenica 18 agosto 2013
twin A
Sono volati gli stracci nella vicenda del taglio degli alberi in
piazza Orlandini e dintorni: perché? Tutto deriva da un annoso rapporto poco o
affatto fluido tra associazioni, cittadini e Comune; non è semplice scarsa
fiducia nell’istituzione. Bisogna cercare indietro, nella vita amministrativa
degli ultimi vent’anni, per capirne qualcosa.
La rotatoria da costruire è stata ripescata dallo studio
dell’«anello a senso unico» (2009), un oggetto odiatissimo – a larga
maggioranza – dagli avezzanesi e dai partiti politici. L’«anello a senso unico»
è stato accusato di alcune nefandezze, come il far chiudere i negozi presenti
lungo il suo tracciato e addirittura, lo stimolare velocità da Gran premio di
F1 agli automobilisti. Si smantella a tappe il senso unico, ma si costruisce la
rotonda. Un europeo trova tutto ciò almeno incongruente, contraddittorio. (Ci
vorranno ancora decenni prima che gli avezzanesi si rendano conto d’aver
buttato per puro capriccio alle ortiche una tangenziale interna).
Hanno fatto imbufalire gli ambientalisti più che annoiare le prevedibili
reazioni del Comune alle prime rimostranze. «Gli alberi erano quasi tutti
malati e li ripianteremo al più presto». A forza di ascoltare questo ritornello
da decenni – e da persone diverse –, ci ritroviamo un centinaio d’alberi in
meno, solo nel Quadrilatero. (Vanno aggiunte – nella stessa area – anche alcune
decine di piante danneggiate o malandate da anni, né curate né eliminate).
Le città fondate o ricostruite dopo il Settecento, sono
caratterizzate dai marciapiedi e dagli alberi, nel senso: essi appaiono al
momento della costruzione e non sono aggiunti, come succede per tutti gli altri
agglomerati, sorti in epoca precedente. E’ stato faticoso e complicato finora,
far comprendere ai miei compaesani che i nostri marciapiedi non sono semplice
asfalto e che i nostri alberi, non è ordinario verde pubblico. E’ ancora vivo in
molti il ricordo del Piano parcheggi (1996), che ridusse la sezione dei
marciapiedi del centro per diversi chilometri. Quell’intervento ha prodotto la
situazione d’ingorgo che abbiamo oggi sotto gli occhi. (Vi sono strade in città
i cui marciapiedi sono stati ristretti ben due volte, nel giro di una dozzina
d’anni). Fa scattare i nervi oggi, vedere una semplice ruspa presso un
marciapiede.
Infine. Ci si comincia a rendere conto che gli allagamenti del
sottopasso di via don Minzoni, sono essi dovuti in buona parte alla quantità di
cemento sparsa un po’ ovunque, lungo quella strada e nei suoi dintorni: una
fissazione non solo avezzanese, purtroppo. La città comincia ad aver bisogno di
liberarsi di tante superfici impermeabili.
Qualche pianta di troppo segata lungo via G. Garibaldi, è stata la
goccia che ha fatto traboccare il vaso.
(Il martello del Fucino 13,
2013)
sabato 17 agosto 2013
Cronache ferragostane
A Ferragosto m’è capitato
di leggere un comunicato che mi ha fatto vacillare. Lo riporto:
Ci ho messo del tempo per
elaborare qualcosa sulla sgradevole sensazione che ho provato e alla fine ho
trovato un solo termine: colonialismo. Una situazione simile a quella in cui un
indiano o un malese ascoltava i (buoni) consigli e le (ottime) raccomandazioni di
un inglese sul come sbarcare il lunario. (Con la differenza che un inglese del
periodo coloniale trasportava in giro armi, scienza, tecnica, idee e tecnologia
mentre a me è stato proposto un intruglio d’idee raccogliticce, idolatrie, populismo
di maniera, rancore, trovate da pubblicitari).
In sostanza: c’è un’associazione
che si schiera a favore di una riduzione del PNR Sirente-Velino. Non mi
scandalizza che si tratta di un’associazione ambientalista.
E’ l’eccessivo,
sovrabbondante resto che infastidisce. Non ci si rende conto che un qualsiasi
parco naturale, per quanto troppo esteso, difettoso o imperfetto, difende (poco,
tanto, così-così) un territorio dalle attività – legali o illegali – di
cavatori, cacciatori, smaltitori, tagliatori, albergatori, lottizzatori. (E’
più difficile rubare la ghiaia di un fiume, costruire decine di villette a
schiera abusive, spargere rifiuti tossici e nocivi dove capita in un’area
protetta). Capisce ciò chi porta avanti da anni vertenze di tipo ambientale,
mentre chi passa la vita a contare il numero degli orsi, dei cinghiali o dei
camosci se ne infischia: perché è il suo modo di fare secessione – anche se poi
gode in modo parassitario i frutti delle lotte altrui. L’Abruzzo sarebbe un’altra
cosa senza i parchi naturali e senza le vertenze ambientaliste degli ultimi
trent’anni; sarebbe almeno una pattumiera o un parco dei divertimenti a uso e
consumo di chi vive altrove. L’esperienza degli ultimi decenni – soprattutto
quella dei tre inceneritori nel nostro nucleo industriale – mi ha insegnato che
i vincoli su un territorio non sono mai troppi.
(E’ da incorniciare l’espressione:
«vero ambiente naturale»).
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