sabato 30 novembre 2013

K'sLT 46


Tanto per concludere. Le «premialità» non sono applicabili in una zona che comprende l’ex centro storico e una parte del Quadrilatero prolungata fino all’ex ferrovia dello zuccherificio: una buona parte degli edifici di un certo valore, non è toccata. Non prevedo delle ricadute rilevanti, sommando la compattezza nei nuclei abitati del capoluogo territoriale e delle frazioni alla diffusione dell’abusivismo edilizio – che esclude dalla «premialità». Le case sono appiccicate le une alle altre, nei nostri paesi. I nostri edifici non sono sparpagliati come in moltissimi comuni lombardi e del Nord Est, dove la «premialità» si applica a tutte (proprio tutte) le villette mono- e bi-familiari che trovi sia nei quartieri residenziali e sia lungo le strade di collegamento. La nostra percentuale (50%) significherebbe un’altra mezza città affiancata a quella che c’è già, da quelle parti. Non mi meraviglia affatto che qualcuno utilizzi l’espressione «alluvione di cemento» riferita all’adozione del Dl Sviluppo, oltre il Po. Noi non ce n’accorgeremo degli interventi probabilmente, un po’ perché limitati nel numero – diluiti nella comune attività edilizia –, e un po’ perché saranno nascosti alla vista dalle facciate che danno sulla strada. Ignoro le modifiche alla 439/2012 nel consiglio comunale di febbraio, ma mi auguro che nella «ciambella» in cui sono previste le «premialità», sono esclusi tutti gli stessi «edifici individuati dal P.R.G di elevato valore storico, culturale ed architettonico». La decisione sortita dall’aula consiliare serve a «migliorare la qualità urbana e ambientale della città», come ho appreso da fonti autorevoli. Io penso un po’ diversamente. Il provvedimento di tipo economico del governo centrale entra non di rado in rotta di collisione con le politiche e gli strumenti urbanistici degli 8144 comuni italiani e con il mondo dell’urbanistica. Un’amministrazione comunale può agire per migliorare il luogo dove si vive per conto dei cittadini (elettori e non elettori) e solo essa può farlo, non certo l’immobiliarista o il privato che deve necessariamente realizzare il profitto nella sua attività. E’ un affare per chi l’intraprende, ma non è certo un passo in avanti per la collettività o per la «qualità urbana» avere palazzine che ospitano solo studi professionali, solo uffici o solo negozi. Infine: la qualità ambientale di una città – quando c’è o quando è scarsa –, si conserva evitando d’aggiungere altro cemento e asfalto a quello esistente.
Temo invece, la prossima variante al Piano regolatore, il ripescaggio del cosiddetto Piano strategico Celano-Avezzano o una nuova applicazione del «metodo Vitruvio» a qualche edificio pubblico situato al centro. (2/2)

giovedì 28 novembre 2013

Novantaquattro, 2


«Non vi dovete preoccupare: ogni albero eliminato sarà ripiantato al più presto». Imperversa – da parte degli amministratori che si sono succeduti negli ultimi due decenni –, tale refrain. Ho battuto la parte interna al Quadrilatero per dimostrare che tale consiglio è una presa in giro, ad agosto. La cosa peggiore è che alcuni non sono stati piantati nemmeno una prima volta. (La situazione nonostante il suddetto refrain, non è migliorata né è rimasta stabile, anzi).
Ho lamentato l’espianto d’alberelli sani o andati a male, lo scorso 22 novembre. Faceva impressione vedere le piazzuole vuote e con la terra ben risistemata, come se l’alberello mancante fosse stato semplicemente sfilato – con un gesto lezioso – dall’alto, come uno stuzzicadenti da un panino imbottito. Mi sono messo nuovamente in perlustrazione e ho aggiornato l’elenco. (Il dato tra parentesi tonde è nuovo mentre quello tra parentesi quadre si riferisce alla situazione precedente). Non ho tenuto conto di alcuni arbusti e delle piante sistemate dagli abitanti al posto degli alberi. Riporto solo dov’è peggiorata la situazione.
Corradini (via C.): 10 [7], Cadorna (via L.): 5 [2], Croce (via B.): 5 [4], Diaz (via A.): 2 [1], Garibaldi (via G.): 16 [11], Marruvio (via): 17 [14], Pagani (via G.): 5 [4], Repubblica (piazza della): 3 [2], Sauro (via N.): 9 [7], Trento (via): 9 [2], Trieste (via): (1), Valerii (via mons. D.): 4 [3], Vittorio Veneto (via): 2 [1].
La somma, potendo interessare, è 123. (Segnalate, se ho «intoppato» qualcosa: le condizioni di luce erano diverse – rispetto ad agosto).
I vecchi dati si trovano qua:
E qua – aggiornamento di via C. Corradini:

lunedì 25 novembre 2013

K'sLT 45


S’è molto parlato del consiglio comunale che ha fatto approdare ad Avezzano una legge dello Stato – «uno dei primi in Abruzzo», come si è scritto. Provo ad esprimere qualche giudizio, aggirando quando è possibile la mancanza di documenti attendibili. E’ rischioso formulare un giudizio incrociando documenti eterogenei (comunicato stampa del 5 febbraio, leggi). La prima cosa che balza agli occhi, è uno strafalcione nel comunicato del sindaco – «Decreto legge del governo Monti»: il punto di partenza della vicenda è invece il cosiddetto Dl Sviluppo Berlusconi-Tremonti (160, 12 luglio 2011). Mario Monti è diventato presidente del Consiglio quattro mesi dopo. Si possono confrontare anche le «premialità» del comune d’Avezzano con quelle licenziate dalla giunta Chiodi. Sono possibili aumenti del 50% per le residenze da noi, mentre l’Abruzzo si ferma al 40% (Legge regionale 49/2012, art. 3, c. 2). La volumetria d’edifici non residenziali può crescere del 35%, nei due casi – Legge regionale 49/2012, art. 4, cc. 1, 2, 4, 5. Non ricordando male, le percentuali del Berlusconi-Tremonti erano 20% per le residenze, 10% per le non residenze. Ho preferito scrivere d’altro su questa rivista [Il Velino], perché vedo limitato l’impatto del suddetto decreto sulle città centro-meridionali, in generale. M’aspetto che centinaia di normali abitazioni restino identiche a quello che sono oggi nel capoluogo comprensoriale ma anche che un complesso (o più di uno) di 17-18mila metri cubi, possa esso espandersi.
Parto dall’argomento delle volumetrie. Il mercato immobiliare locale presenta un ristretto ventaglio di proposte rispetto a una grossa città e manca la tensione abitativa di Roma o di Milano. A Torino, io possiedo (o ricavo ex novo con il Dl Sviluppo) una linda topaia e trovo qualcuno che mi paga l’affitto mentre ad Avezzano, non succede né la prima e né la seconda cosa; a Napoli, io compro una casa di 150 mq con un ettaro di terreno intorno mentre ad Avezzano, non trovo una soluzione simile. Nel caso di Napoli, posso aggiungere due o tre camere senza problemi, con lo stesso decreto. I nostri prodotti immobiliari sono generalmente ritagliati o di poco sovradimensionati rispetto alle esigenze dei compratori. Andando in giro, io noto che manca proprio lo spazio fisico per aggiungere dei volumi e quando c’è, manca talvolta quello «urbanistico» nel senso: posso avvicinarmi alla casa del confinante, ma fino ad un certo punto e lo spazio a disposizione non mi basta più per il mio intervento. La 49/2012 (Bura 56, 31 ottobre 2012) e la nostra Delibera di giunta comunale 439/2012, si riferiscono al Decreto interministeriale 1444/1968: i limiti per densità edilizia, altezza, distanza fra i fabbricati e altro, non sono né sospesi né ritoccati e restano inderogabili. Ciò significa anche che io non posso disporre in modo stravagante della mia «premialità»: nessuno m’autorizza a costruire quattro piani in una zona dove si può arrivare massimo a due o a tre.
Mi trova scettico anche il cambio di destinazione d’uso dalle nostre parti, a cui il Comune tiene particolarmente. Proseguo il racconto che n’è stato fatto finora sui mass media più che interessarmi al suo impatto sul Piano regolatore generale. Trasformo uno spazio accessorio in una parte organica di un appartamento: è un’idea. Mi salta in mente di trasferire un letto nel lavatoio e uno studio in cantina, Ok. Due stanze in più fanno crescere la mia bolletta energetica e non solo; a questo bisogna aggiungere che le nuove stanze mi costano più delle altre volendo mantenere un clima (temperatura, umidità) accettabile al loro interno – anche nei passaggi. Mi conviene, vado pari o ci rimetto? Dipende dalle costruzioni e dalle persone in ultima analisi. Non solo, c’è dell’altro prima di tutto ciò. La destinazione d’uso non può cambiare se il locale non ha i requisiti minimi che la nuova funzione richiede. Conosco più di un garage alto sì e no un metro e ottanta: ecco, devono restare come sono. (La tipologia degli edifici avezzanesi è varia e abbiamo anche palazzi e palazzine ad uso misto: quale sarà il loro futuro?). (1/2)

venerdì 22 novembre 2013

the decline of western civilization


(Quando manca il gatto, i sorci ballano). Segnalo un comunicato del Comitato Parchi Italia. È scritto in buon italiano e soprattutto affronta con competenza degli argomenti. È una boccata d’aria fresca dopo l’alluvione di amenità comparse nel web, negli ultimi mesi – si può essere d’accordo o meno con il suo contenuto, ovviamente.
M’è stato segnalato questo:
Ho trattato anch’io – a modo mio, a quaranta chilometri di distanza – della «ricostruzione», ma non me ne faccio un cruccio. Capisco che un conto è assistere a uno stillicidio di notizie lungo quattro anni e un conto è avere una sorta di tavola sinottica di quello che è successo. Il problema è se l’europarlamentare danese ha raccontato fatti veri o inventati: solo quello. («Roba vecchia», come ha sentenziato qualcun altro che si è arrabbiato). Consiglio a mia volta:
È molto interessante della stessa autrice per noi marsicani, una serie di post sui cinquant’anni di Tsa:
Segnalo anche il comunicato della sezione celanese di un minuscolo partito:
In esso è riferito il verbo «pascolare» (intransitivo) a degli esseri umani. (Glisso sulla vergognosa vicenda del 19 u.s.).
Si continua a cavare alberelli al centro d’Avezzano – senza clamore. (Perché è difficile notarlo, con gli occhi dei residenti). Uno passa, tira fuori, rimette a livello il terreno e se ne va.
Per finire. È bene rendersi conto di quello che succede nel comparto dello spettacolo nel resto della Penisola:
(Mi restano altri cinque pezzi per esaurire la serie K’sLT).

mercoledì 20 novembre 2013

K'sLT 44


Una lettera nel numero precedente (Il Velino 81/2), ha suscitato la mia curiosità. Essa trova la sua origine dai platani di via Roma e finisce per chiedere l’allargamento dei marciapiedi accorciati dal 1996 in poi e la costruzione di piste ciclabili. Si chiede: «perché non tornare oggi all’antico»? Non è semplice innestare la retromarcia nelle faccende umane.
Per dirne due. 1) Alla campagna elettorale per le Amministrative 2012: «Si chiede il ripristino della norma del Regolamento comunale riguardante i marciapiedi, con il ritorno degli stessi alla larghezza minima di 2 metri», firmato Cmsm. 2) Sono previste due piste ciclabili che partono dalla Zona a traffico pedonale privilegiato – non c’è più –, nel Piano traffico. (La Ciclabile nord, è stata costruita in parte – manca il suo pezzo più importante ma è stata prolungata fino all’ospedale).
La realtà è quindi, più ricca. D.: quali marciapiedi vanno allargati per primi? Sono da riportare tutti alla dimensione (anche 20-30 cm in più, in alcuni casi) precedente? Sì, cum grano salis. (Ciò eviterebbe alcuni ingorghi pedonali; lascerei proprio il tratto da piazza Torlonia a via Monte Velino come monumento alla sciatteria della nostra classe politica).
Io mi chiedo invece: noi collettivamente, lo meritiamo? Le idee che hanno portato a tale situazione – il Quadrilatero o una sua parte, ridotto come un centro commerciale o di recente, come un luna-park –, sono tuttora in piedi e continuano a produrre politica. Ci vorrà ancora del tempo per capire che la guerra alla grande distribuzione va contro la storia ed è persa in partenza, e soprattutto che è saggio risparmiare nelle ostilità la città fisica.
Tra un paio d’anni saremo nel pieno delle celebrazioni per il centenario del terremoto. E’ una ghiotta occasione per ricordare un po’ come doveva essere la città «risorta dalle macerie». La nuova Avezzano era caratterizzata da una folta alberatura: doveva essere una città-giardino ma s’è persa nel suo breve cammino.
Al posto del Comune, constatato il buono stato di salute dell’asse municipio-stazione ferroviaria, io mi dedicherei al resto del Tridente (via del Montello e via G. Garibaldi – fino a via XX settembre); nel senso: piante degne di tale nome. Una bella rifilatura agli alberi di piazza del Risorgimento, come nelle vecchie cartoline. Sistemerei nuove essenze lungo via Mazzini. (Si chiama viale G. Mazzini in realtà ed è bene che torni ad esser tale: una strada ampia alberata).
Piazza Torlonia? Troppa grazia!

sabato 16 novembre 2013

Passerelle autunnali


M’è capitato di scrivere due commenti in margine a un comunicato uscito il 29 ottobre e apparso nella Marsica lo scorso 13 novembre; lo linko per comodità:
«Tu, che cosa ne pensi veramente?».
Franco Zunino (AIW) confuta non una proposta di legge (o una legge tout court), non una delibera, non una circolare, non una raccomandazione, non un’ordinanza di un sindaco o un regolamento condominiale bensì un’interrogazione parlamentare: «Interrogazione a risposta scritta sulla morte di un esemplare di Orso Bruno Marsicano a Villalago». Poiché manca nel suddetto comunicato – io ne ignoro il motivo –, l’autore della stessa interrogazione, io ricordo agli internauti che il suo nome è Gianni Melilla. Un’interrogazione su un argomento particolarmente misconosciuto in Parlamento, presentata da un membro della minoranza (Sel), che cosa produce prevedibilmente? Zero.
È invece strumentale tirare in ballo altri soggetti che non hanno a che fare né con la vicenda della (poco felice, a mio parere) interrogazione, né con il parlamentare abruzzese. Ho inviato un paio di commenti a TM perché mi sono sentito usato. Non è la prima volta che resto sconcertato dai comunicati di detta associazione. Ho già pubblicato questo; ero un po’ alterato:
È bene anche soffermarsi sull’invito: «piuttosto che gli studiosi e gli ambientalisti sarebbe bene che sentisse il popolo della Marsica; e non quello politicizzato, ma quello più proletario e rurale, quello più vicino al mondo dell’orso».
Esternazioni simili a quelle del comunicato vanno indirizzate al Miur più che a una testata on-line, per di più locale. (Può essere affidata alla sora Lella – quella del chiosco di grattachecche davanti San Carlino – la lectio magistralis al convegno d’architettura: Francesco Borromini e il Barocco a Roma, ecc.). Non solo. Coerenza esigeva che dopo aver reso pubbliche cose del genere, il primo atto da compiere era sciogliere l’Associazione Italiana per la Wilderness. È invece necessaria – oltre alla scarsa coerenza – anche una cospicua dotazione di sprezzo del ridicolo, per aggiungere in calce a una considerazione simile, dopo il proprio nome e cognome: «già primo studioso sul campo dell’Orso marsicano».
È abbastanza deprimente, la svolta populista impressa all’associazione in questione. (Io me ne sono già fatto una ragione, ad agosto).

venerdì 15 novembre 2013

K'sLT 43


In questo periodo m’è capitato di raggiungere la zona dell’ospedale con una certa frequenza. A forza d’incrociare la Ciclabile nord, m’è venuta voglia d’elencare i suoi vari usi da parte dei compaesani.
Lungo il tracciato s’incontrano persone che camminano a piedi, podisti in allenamento – lasciano una scia di bottigliette d’acqua minerale e d’integratori, ciclisti, ragazzi che scorazzano in motorino, gente con l’Apetta, pattinatori, persone che abbandonano sacchetti della spazzatura, auto parcheggiate di traverso ad interrompere tutta, o parte della suddetta pista.
Il suo colore rosso mattone, fa spiccare maggiormente gli oggetti che lanciano dal finestrino gli automobilisti in marcia.

mercoledì 13 novembre 2013

Passeggiate novembrine


Mi risparmio da decenni le estemporanee di pittura. M’è capitato di passare qualche ora a disegnare insieme a gente che faceva altre cose (fotografare, mangiare, suonare, recitare, chiacchierare, proiettare video, mixare), domenica scorsa. Un ambiente caldo, in qualche modo. Un’esperienza per capire per quali motivi, io mi tengo lontano da manifestazioni «culturali» del genere.
Ho camminato abbastanza in questi giorni di pioggia e m’è capitato di confrontare le rotonde con i giardini pubblici. (Il giardino pubblico è un tema collettivo delle città europee). Le rotonde sono isolette dove non passa nessuno – io le attraverso di quando in quando mentre piazza Torlonia è frequentata da centinaia di persone, ogni giorno. Le prime, a differenza della seconda, sono ben tenute. Può sembrare strano ma è così.

domenica 10 novembre 2013

K'sLT 42


C’è stata una sorta di guerra a bassa intensità, un lavorio discreto contro il passato recente, di là della cultura modernista e fin dal 1915. (La mia prima pubblicazione su Avezzano s’intitolava non a caso, Algoritmi dell’oblio). Dietro cosa c’è, a livello di pensiero?
Gli avezzanesi hanno indugiato finora con il mito della città risorta dalle macerie. (Proprio risorta, prima d’ascendere non si sa dove. Si parla sempre di «vittime» del sisma e mai di morti, ça va sans dire). Tale mito, che cosa nasconde a sua volta? (Quali azioni degli uomini devono sembrare naturali e perciò, al disopra d’ogni sospetto?). L’elenco è lungo in proporzione inversa a ciò che è stato tramandato a livello storico ed è quindi corposo. Colpisce della vicenda il fatto che un centro semidistrutto da un sisma, conta lo stesso numero d’abitanti nel volgere di pochi anni. Com’è potuto succedere? A che prezzo? Quali equilibri sono stati sconvolti, a livello comprensoriale? Chi ha tirato fuori i quattrini per ricostruire (privati, Regno d’Italia, stati stranieri – nonostante la guerra in corso)? Si è preferito distruggere il vecchio impianto urbanistico: perché? (San Giovanni decollato s’è salvato dai picconi per il rotto della cuffia. Dicono che sia stato lo speziale a spiegare ai funzionari del Regno il tipo di costruzione che si voleva abbattere). è stata costruita la periferia-dormitorio prima della direttrice principale della nuova Avezzano (municipio-stazione ferroviaria): come mai? Ci sono volute quattro generazioni per inaugurare un nuovo teatro: perché? (C’è un decennale coriaceo rifiuto della storia a fronte della venerazione tout court di un passato inventato di sana pianta e immancabilmente «glorioso»).
C’è un’enorme massa di domande da porsi in realtà e un lungo lavoro di tipo storiografico da avviare. Sono semplici mie curiosità le precedenti: uno storico porrebbe questioni di ben altro tono e che avrebbero un probabile effetto decisivo sul pensiero locale.
Il terremoto del 1915 entra di diritto nelle commedie cosiddette dialettali ma nemmeno l’arte riesce ad aggiungere qualcosa alla Vulgata ad uso delle élite. La foga di fabbricare un dialetto, una tradizione e di citare sul palcoscenico aneddoti e fatterelli del tempo andato, fa dimenticare un vecchio detto che suona all’incirca: «Dove non ha potuto il terremoto, è riuscita la ricostruzione». (2/2)

giovedì 7 novembre 2013

guerre asimmetriche


A proposito dell’ultimo consiglio di lettura – 4 novembre. Esso mi ha riportato con la mente a trent’anni fa, quando mi era successa una cosa analoga – anche allo «stampatore» d’allora. L’ambiente, la situazione nel frattempo è peggiorata ad Avezzano, seppur di poco – tanto per rassicurare chi mi segue fuori dei confini nazionali.
Al politicante, al parvenu, al potente di turno, non interessa tanto vincere alla grande, pareggiare onestamente o perdere malamente una causa per diffamazione, quanto intimorire il cosiddetto avversario; metterlo nella condizione di non riprovarci più. (Si può cantar vittoria alla sentenza ma quando c’è da saldare la parcella dell’avvocato difensore – per una persona comune –, è tutt’altra musica).
È bene non aspettarsi solidarietà dalla gente comune (compaesani e non), dai partiti (democratici e non), dai sindacati (gialli e non) e dai giornali (cartacei, on-line) – ‘Non mi svegliate ve ne prego | ma lasciate che io dorma questo sonno’. (Qualche filosofo da bar sentenzierà: «Se la sono cercata»).
Mi si venga a chiedere di firmare il referendum contro la chiusura del tribunale d’Avezzano…