Lo stato centrale si è
perciò comportato come ci si aspettava, dopo il 13 gennaio 1915. (Per meglio
chiarire: io perdo un volume nel 1890 e lo stato mi risarcisce con uno uguale,
succede un caso analogo nel 1970 e l’autorità centrale m’invia due o tre paperback; io smarrisco un libro nel
2014 e mi arriva a casa un tablet con
una decina di titoli già caricati). Mi chiedo ora: come hanno reagito, i
superstiti del terremoto e i nuovi, numerosi abitanti giunti da mezza Italia?
Hanno accettato con favore ciò che si può definire come un cambio d’epoca? Ho
raccontato di recente la (purtroppo strenua) resistenza delle élite avezzanesi e di almeno quattro
generazioni di residenti al nuovo ed è bene approfondire la questione.
Una parte (piccola, grande)
della pianta delle città ricostruite è stata impostata dai tecnici del Regno
d’Italia secondo il pensiero allora corrente: la fabbricazione delle nuove
abitazioni (spettante ai singoli proprietari) invece? La mia città ha dovuto
aspettare almeno altri quarant’anni per registrare l’abolizione del corridoio
nelle abitazioni – era un fossile già negli anni Dieci del secolo scorso. La
nuova pianta della città non ha trovato imitazioni – nemmeno lontane – nelle
zone periferiche, dove si è costruito – come nei secoli precedenti – addossando
i locali e le case le une alle altre, alla rinfusa. (Anche abusivamente).
L’anno e i danni dovuti
alla catastrofe, fa immaginare un intenso impiego dei materiali e delle
tecnologie sperimentate alla fine dell’Ottocento (ferro, calcestruzzo, cemento
armato), nella produzione delle nuove costruzioni. Non andò così invece e
generalmente si preferì il sistema misto (pietre e ricorsi in mattoni) o la
pietra. I residenti (vecchi e nuovi) pensavano probabilmente ai danni del
terremoto come una punizione divina o una mera, unica fatalità.
L’uso comune del cemento
armato nell’edilizia risale al secondo dopo-guerra, da noi. (Il ricordo dei
fatti di trent’anni prima avrebbe però consigliato di largheggiare anziché
lesinare nell’impiego di tondini ma soprattutto di staffe).
Negli anni Ottanta sono
entrati in commercio i dissipatori sismici che in teoria dovevano andare a ruba
in una zona ad alta sismicità come la Marsica ma anche in questo caso, il loro
contenutissimo utilizzo nella zona, si deve più ai clamori sollevati dai mass media nel periodo successivo al
sisma nell’Aquilano (2009) che all’esercizio della memoria e alla razionalità
dei cittadini.
(Proprio cinque anni fa, ho iniziato a indugiare su
quelle pietre mal squadrate e quei ricorsi in mattoni talvolta incerti che
affiorano qua e là da vecchi intonaci in rovina e che ci comunicano – in
compenso – una profondità del tempo difficile scorgere nelle città moderne).
(2/2) (Territori in movimento/per
Comitato Pescina 2015, 4 2014)