venerdì 26 settembre 2014

Vino vecchio in botte nuova 2


Lo stato centrale si è perciò comportato come ci si aspettava, dopo il 13 gennaio 1915. (Per meglio chiarire: io perdo un volume nel 1890 e lo stato mi risarcisce con uno uguale, succede un caso analogo nel 1970 e l’autorità centrale m’invia due o tre paperback; io smarrisco un libro nel 2014 e mi arriva a casa un tablet con una decina di titoli già caricati). Mi chiedo ora: come hanno reagito, i superstiti del terremoto e i nuovi, numerosi abitanti giunti da mezza Italia? Hanno accettato con favore ciò che si può definire come un cambio d’epoca? Ho raccontato di recente la (purtroppo strenua) resistenza delle élite avezzanesi e di almeno quattro generazioni di residenti al nuovo ed è bene approfondire la questione.
Una parte (piccola, grande) della pianta delle città ricostruite è stata impostata dai tecnici del Regno d’Italia secondo il pensiero allora corrente: la fabbricazione delle nuove abitazioni (spettante ai singoli proprietari) invece? La mia città ha dovuto aspettare almeno altri quarant’anni per registrare l’abolizione del corridoio nelle abitazioni – era un fossile già negli anni Dieci del secolo scorso. La nuova pianta della città non ha trovato imitazioni – nemmeno lontane – nelle zone periferiche, dove si è costruito – come nei secoli precedenti – addossando i locali e le case le une alle altre, alla rinfusa. (Anche abusivamente).
L’anno e i danni dovuti alla catastrofe, fa immaginare un intenso impiego dei materiali e delle tecnologie sperimentate alla fine dell’Ottocento (ferro, calcestruzzo, cemento armato), nella produzione delle nuove costruzioni. Non andò così invece e generalmente si preferì il sistema misto (pietre e ricorsi in mattoni) o la pietra. I residenti (vecchi e nuovi) pensavano probabilmente ai danni del terremoto come una punizione divina o una mera, unica fatalità.
L’uso comune del cemento armato nell’edilizia risale al secondo dopo-guerra, da noi. (Il ricordo dei fatti di trent’anni prima avrebbe però consigliato di largheggiare anziché lesinare nell’impiego di tondini ma soprattutto di staffe).
Negli anni Ottanta sono entrati in commercio i dissipatori sismici che in teoria dovevano andare a ruba in una zona ad alta sismicità come la Marsica ma anche in questo caso, il loro contenutissimo utilizzo nella zona, si deve più ai clamori sollevati dai mass media nel periodo successivo al sisma nell’Aquilano (2009) che all’esercizio della memoria e alla razionalità dei cittadini.
(Proprio cinque anni fa, ho iniziato a indugiare su quelle pietre mal squadrate e quei ricorsi in mattoni talvolta incerti che affiorano qua e là da vecchi intonaci in rovina e che ci comunicano – in compenso – una profondità del tempo difficile scorgere nelle città moderne). (2/2) (Territori in movimento/per Comitato Pescina 2015, 4 2014)

mercoledì 24 settembre 2014

Vino vecchio in botte nuova 1


Nel mio pezzo precedente [I Panini nella Marsica] ho spiegato perché le figurine Panini dei calciatori (Serie A) rappresentavano poco per noi ragazzi, nonostante l’uso improprio in qualche gioco e alcune vocazioni precoci al collezionismo. Ai nostri giorni, gli stessi album Panini racconterebbero ancora meno, per com’è organizzato il mondo del calcio. Ho anche immaginato la classica pubblicazione per il Centenario con le (solite) fotografie di edifici che non ci sono più; ora ne ipotizzo un’altra che mostra invece materiale risalente agli anni Venti e anche questa, con una buona parte delle costruzioni raffigurate ormai scomparsa. (Si stamperà alla fine un volume del genere, c’è da scommetterci). C’è differenza tra le due? Sì, è questione di quantità: la seconda rischia di rendere oscuro tale periodo, più della prima. Mi spiego.
La ricostruzione dei paesi colpiti dal sisma impostata a livello centrale, ha scaraventato i paesi marsicani coinvolti – chi più, chi meno – nello spazio della modernità. (Proprio così: scaraventato). «Spostare» il paese X fino alla strada di fondovalle ha immesso i suoi abitanti in un flusso e perciò dischiuso un mondo; collocare delle abitazioni (provvisorie, definitive) in una maglia ortogonale ai margini di Y, ha fatto scoprire degli innegabili vantaggi riguardanti la circolazione, la pulizia delle strade, le fognature, l’illuminazione ecc. Impostare la nuova Avezzano secondo l’ottica ottocentesca ha preparato il suo primato nel comprensorio. (Il disegno di piazza Risorgimento presentava uno spazio capace di ospitare un maggior numero di funzioni ed era certo diverso dalle tre piazzette irregolari della città precedente e poteva perciò attrarre frequentatori più numerosi e di altro tipo rispetto ai loro predecessori. Ho già fatto notare che è occorso quasi mezzo secolo per vederla completata: la formazione dell’opinione pubblica e quindi la democrazia non erano certo in cima ai pensieri di alcune generazioni di amministratori). (1/2) (Territori in movimento/per Comitato Pescina 2015, 4 2014)

lunedì 22 settembre 2014

Senza leggerli


Alla presentazione di un documentario sull’informazione auto-prodotta nel Fucino, ci fu qualche battibecco tra gli autori – ma non solo – e qualche giornalista presente (Odore di inchiostro, 2007). Le testate on-line e la carta stampata, furono accusate di pubblicare prevalentemente dei comunicati stampa. «Senza nemmeno leggerli», fu aggiunto. Sembrarono anche a me delle critiche ingenerose nei confronti della categoria e poi: ognuno fa come meglio crede.
Sabato scorso ho notato il «mercato del pesce» transennato con una tabella che segnalava l’inizio dei lavori di ristrutturazione. Ho poi letto questo, ieri mattina:
«“Il mercato” conclude l’assessore “in parte destinato alle produzioni a chilometro zero, si svolgerà dalle 8 alle 14, a seguire l’area sarà utilizzata come parcheggio”» – Red., Iniziano i lavori a Piazza del Mercato in «AvezzanoInforma» 21 settembre 2014.
Dopo averlo copiato, ho cercato altre notizie sull’argomento e mi sono ritrovato questo:
«La piazza ospiterà delle strutture fisse di nuova concezione e 30 bancarelle. Si potranno comprare prodotti a km 0 e di coltivazioni locali biologiche fino alle 14, poi nel pomeriggio la piazza sarà a disposizione di giovani e famiglie. […] «“A breve incontrerò anche i responsabili di settore”, conclude [il sindaco o l’assessore alle Attività produttive: non si capisce bene], “per discutere della possibilità di chiudere al traffico il quadrilatero intorno alla piazza, in modo da renderla godibile, fino alle 14, come mercato e poi come punto di ritrovo, per i giovani e le famiglie» – Avezzano, la nuova piazza mercato in «IlCapoluogo», 19 settembre 2013.
Almeno senza nemmeno leggerli…

sabato 20 settembre 2014

I Panini ad Avezzano


Temo una sfilza di pubblicazioni sul terremoto simile agli album delle figurine Panini, l’anno prossimo: bulimia d’immagini e una ventata di passione all’inizio, poi più niente dopo qualche mese. Ogni cittadina si sta preparando in tal senso, immagino. Qualcuno non ce la farà o metterà in circolazione materiale non degno di considerazione e così si avrà – a livello editoriale – un «cratere» bucherellato, mentre la scossa sismica di un secolo fa fu rigorosamente unitaria.
Sarà facile notare lacune in ogni modo, proprio come i gonfi quadernoni della Panini. Che cosa potevano aggiungere a ciò che già conoscevamo da radio, giornali sportivi e tv, quelle fotografie (a colori)? Erano immagini di singole facce (sbarbate e pettinate) mentre noi eravamo abituati a corse, stoppate, sudore, guizzi, dribbling e tiri, al gioco di squadra soprattutto – era raro vedere un primo piano seppure sgranato e in bianco e nero, in quegli anni. La posizione delle figurine ci indicava il ruolo del calciatore cui si riferiva, ma noi si sapeva che al terzino X piaceva sconfinare nella metà campo avversaria o che l’ala Y dava man forte alla difesa, di quando in quando. (È bene ricordare in questa sede e per quest’occasione che in fondo era collocata la «panchina»; c’era poco posto per tutta la rosa della squadra e la scelta cadeva su chi avrebbe giocato di più).
È altrettanto o più complicata la storia di una città rispetto a un campionato di calcio.
Che cosa può mostrare – a noi e ad altri –, il dagherrotipo di un edificio distrutto dal terremoto o di una strada cancellata dalla ricostruzione? A chi interessa la riproduzione della pianta di una stanza (nemmeno nove mq, con un soffitto a quattro metri)? Il disegno di un corridoio lungo sei metri? La facciata di una casa? (Non avevamo un’architettura degna di nota, dalle nostre parti). Conosciamo non molto come usavano gli spazi (privati, pubblici) i marsicani del secolo scorso ma ancor meno le vicissitudini (precedenti, seguenti) del pezzetto di terreno su cui insisteva la costruzione raffigurata in una vecchia immagine.
È mancato un lavorio di tipo storiografico, come ripeto da anni – che è essenzialmente scrittura. Non ho notato nemmeno un briciolo di curiosità nell’incrociare dati vecchi e nuovi, nel porsi delle domande almeno sulle questioni rilevanti della ricostruzione.
Vedo invece una sorta di frenesia nella ricerca di vecchie fotografie o cartoline e nella caccia all’«inedito» che deriva dalla mancata cernita dei materiali oggi a disposizione. (La scelta è invece un’operazione necessaria almeno quando si pubblica su carta; il Web aggira invece tale operazione, con il suo sterminato spazio a disposizione). Molte immagini sono in realtà già state scartate – perché giudicate inservibili – da chi ci ha preceduto nei decenni passati nel nostro processo collettivo – per quanto incerto, lacunoso e maldestro – per elaborare e tramandare il ricordo di quel triste evento. (M’immagino molti: «Non ce l’ho… non ce l’ho…», tra non molto).
(Territori in movimento/per Comitato Pescina 2015, 3 2014)

martedì 16 settembre 2014

DW 4


La mia generazione non ha generalmente regolato i conti con la precedente, mentre la seguente preferisce aggirare noi di mezza età – mantenendo intatti nei due casi i meccanismi di formazione e conservazione dell’intellighenzia, per non perdere piccoli privilegi e rendite di posizione acquisite in qualche maniera. (È pur vero che per chiudere i conti con qualcuno o ammazzare i propri padri serve della competenza e una buona dose di coraggio). Dipendendo dalle dinamiche interne del blocco (meglio: marmellata) di potere, il ruolo del ceto intellettuale non poteva che divenire marginale, negli ultimi anni.
Manca secondo me proprio la trahison del titolo, perché certi personaggi non avevano giurato niente a nessuno e non potevano perciò stracciare patti di sorta; la loro attività è stata una maniera intelligente d’impiegare il proprio tempo libero. (Liberi gli amministratori di turno d’intitolare «piazze, slarghi, strade, aule, premi» a chi essi preferiscono).
Leggo all’inizio: «Le nostre misconosciute opinioni personali, provenendo dal livello che si definirebbe del quisque de populo, contano in generale, molto poco; pochissimo in particolare, nell’ambito “culturale”». È bene ricordare periodicamente che fine ha fatto sia le nostre pensate per quanto misconosciute e sia quella delle idee sovrastanti – più che dominanti – degli altri.
È un modo di partecipare alla vita pubblica il mio scrivere soprattutto tra pochi mesi, quando io non avrò in tasca uno straccio di tessera associativa. (Non essere complice di tante ridicole situazioni, a dirla tutta).
Mi rendo conto che le mie idee non sono funzionali agli interessi della classe dirigente e perciò anche dell’intellighenzia. Che fare? «Esilio, silenzio, astuzia»? In modo più pragmatico: lavorare su shi, aspettando l’occasione buona per sferrare l’attacco risolutivo? Ho cominciato due settimana fa a leggere J. Diamond, Il mondo fino a ieri, acquistato appena uscito (maggio 2013) e ancora non riesco a sentire alcuni vecchi pezzi di PCO che mi ha mollato un amico almeno un paio di anni fa a forza di studiare l’avversario o lavorare sul potenziale della situazione... (Vuoi mettere l’ukulele di J. Jeffes con i vecchi tromboni sfiatati di lungo corso o quelli alle prime armi?). (4/4)
P.S.: venerdì, presento Dimenticare-Vergessen a Vieniviaconme – ore 17,30.