Mi è capitato uno strano
pezzo sotto gli occhi. È un comunicato di protesta di alcuni medici che si sono
presentati nelle liste di Di Pangrazio alle recenti Amministrative, che però
lascia intuire in qualche modo da dove esso discenda. (I medici candidati si difendono dopo le accuse di Verrecchia: noi scesi
in campo per dovere civile e morale, in «MarsicaLive» 29 agosto 2017. È
uscito nello stesso giorno anche su Il
Centro). Ignoro le accuse specifiche di Massimo Verrecchia è bene ripeterlo,
anche se interessa poco per ciò che vado scrivendo.
Ho citato la madeleine nell’ultimo post e in questo
caso sì, la mente ha vagato altrove dopo aver scorso fino in fondo tale pezzo.
Mi è capitato di collaborare all’edizione di C. White, Padrini e ideologie, Aleph editrice 1996; conosco bene il testo,
anche perché la stessa autrice chiarì a me più di un passaggio, prima della
presentazione. Si tratta di uno studio d’antropologia sociale condotto dalle
nostre parti nella prima metà degli anni Settanta; è un lavoro che segue il
solco di altri simili lavori che hanno avuto come teatro alcuni piccoli paesi
del Meridione dagli anni Cinquanta del secolo scorso in poi.
Tra le cose che mi sono
rimaste maggiormente impresse di quel volume, vi è una scala dell’autorevolezza
all’interno di quelle piccole comunità; le figure di riferimento. Le elenco in
ordine alfabetico: il farmacista, il medico condotto, il prete. Sono loro che
«comandavano» in qualche maniera allora, nei paesini del Sud-Italia. Nella
cultura europea fondata sulla partizione dell’essere umano in anima e corpo, tali personaggi rappresentano chi cura, si prende cura
rispettivamente della prima (prete) e del secondo (farmacista, medico).
Le stesse tre figure
esercitano una sorta di leadership anche
ad Avezzano con i suoi 42mila residenti per di più, negli anni Dieci del
Ventunesimo secolo?
L’unico prete del paese X o Y
– entrambe compattissimi –, ha certo un maggiore ascendente sui fedeli rispetto
al parroco di k o di w; i luoghi di culto tra l’altro sono
meno frequentati che in passato, in città. (Qualcuno mi ricorderà che la chiesa
cattolica ha fatto votare per la Democrazia cristiana per quasi mezzo secolo,
fino alla metà degli anni Novanta). Di là della costante secolarizzazione che
investe la società italiana, quanto conta oggi l’opinione di un parroco
soprattutto in una grande città, notoriamente frammentata in mille pezzi? L’ex-speziale,
il farmacista dei nostri giorni gestisce in realtà una sorta di negozio e non
dispensa più direttamente dei consigli o dei preparati – cui egli stesso
provvede personalmente – ai clienti. (Ci pensa il medico di base per i primi mentre
l’industria chimica, farmaceutica e alimentare per i secondi. Mi capita
raramente d’incrociare il titolare nel suo esercizio: il farmacista
generalmente non conosce i suoi clienti). Nel rapporto tra un paziente e il suo
medico o il suo specialista, entra in gioco degli elementi come la fiducia, la
confidenza, la complicità, l’amicizia, l’ammirazione: è rimasto all’incirca tutto
come prima. (Ci si reca in uno studio medico con maggior frequenza rispetto a trenta,
quarant’anni fa).
Dopo l’Ottantanove e la
crisi delle principali ideologie, delle tre precedenti figure solo i medici si
sono dimostrati non a caso dei buoni opinion
leader e i migliori acchiappavoti: le nostre liste elettorali e le
preferenze nelle ultime tre o quattro elezioni amministrative lo dimostrano
ampiamente. (Il sindaco Antonio Floris era un medico). Seguono in tale
graduatoria altri professionisti come gli avvocati e i commercialisti che invece
vigilano sulle sostanze dei cittadini
e perciò sulla tenuta della loro posizione nella società.
Diventa perciò ozioso tale
battibecco, una volta dentro tale cornice interpretativa.