L’attuale situazione mi fa ripensare all’inizio degli
anni Ottanta, ai primi processi alle Brigate rosse. Loro erano il massimo della
democrazia nello scegliere un obiettivo e poi gestire l’intera operazione – prima
ripetute ed estenuanti discussioni, dopo votazione finale a maggioranza. Ai
giudici che poi se li sono trovati di fronte in un’aula di tribunale, non
interessava nulla di tutto ciò; sentenziavano quindici anni per un omicidio
volontario – come si usa comunemente –, più i reati associativi. Le intenzioni
di quel gruppo armato costituivano anzi un’aggravante, al momento della lettura
della sentenza. Oggi è molto simile: si mette d’accordo la maggioranza degli
elettori italiani – alla luce del sole, democraticamente – di rinegoziare o
addirittura, non pagare i debiti a Tizio o a Caio (entrambi stranieri). Penso che ci voglia molto più di un referendum –
abrogativo, consultivo, altro – per decidere che cosa fare dei soldi degli altri. Che succede in ogni
modo? Quello che avviene normalmente tra privati (amici, conoscenti, eccetera)
in casi del genere: fine della fiducia e perciò, meno o niente più soldi. Il
creditore non sa che cosa farsene dell’altrui
democrazia: a lui, interessa solo la somma che ha prestato – con gli interessi
maturati ovviamente. (È sempre la solita storia di avere i conti in ordine, il
più possibile – non 2300 miliardi di
debito come noi; provate anche voi a dividere quella cifra per 61milioni d’italiani).
Nel (fortunato) post dello scorso 23 maggio ho
commentato i dati Istat riguardanti la popolazione abruzzese negli ultimi anni;
ne siamo ancora meno e la popolazione invecchia. (Si tratta di quattrini anche
in questo caso, perché chi si trova in condizione lavorativa, deve mantenere sempre più persone). Una
simile situazione non riguarda solo noi ma anche altre regioni italiane per cui
è velleitario immaginare una qualche ripresa in diverse, estesissime zone della
Penisola: mancano i giovani. Chi racconta certe cose nelle altre regioni avviate
sulla strada del declino? Chi ne ha parlato nella campagna elettorale delle
scorse Politiche, chi lo utilizzerà come argomento per le prossime? Non si è
nemmeno parlato di Europa perché è roba da sognatori, da milionari; la politica
industriale è ormai modernariato, l’agricoltura è competenza di Slow Food, l’allevamento
è la vocazione propria degli immigrati macedoni.
Gli italiani dovrebbero uscire dalla buia tana in
cui si sono cacciati verso la luce del sole – anche la vita e il casino della
partita domenicale –, come gli etarra in Ogro (G. Pontecorvo, 1979).
Dovrebbero riscoprire che vivono sulla Terra insieme con altri sette miliardi
di uomini più che in un mondo separato.
Un’altra cosa simpatica è l’autoassoluzione di molti
politici nei confronti di una probabile crescita dell’astensionismo: la gente non
si recherebbe al seggio perché, a loro dire, «non serve a niente». Io
personalmente ho più di una difficoltà, un po’ perché non trovo un partito che
mi somigli in qualche maniera, un altro po’ perché votare contro certi magliari significherebbe rivalutarli.
C’è bisogno di gente che racconti la gravità della
situazione ai connazionali, mentre i nostri partiti tacciono, gli intellettuali
ufficiali seguono a ruota e i giornalisti si comportano di conseguenza. Ci vorrebbe
un nuovo Ennio Flaiano a ripetere in faccia agli italiani che nonostante
settantadue anni di repubblica democratica sono rimasti nella loro mentalità, irresponsabili,
provinciali e anche fascisti. Certi italiani negli ultimi ottant’anni sono passati,
per evocare il nemico, dalla locuzione complotto giudeo-demo-pluto-massonico* ai più brevi: poteri forti,
banchieri, Europa, elite – scritto proprio così, per risparmiare al massimo.
* demo e pluto stanno rispettivamente per democratico e plutocratico.