martedì 25 settembre 2012

KsLT 12

Ho rimesso il naso fuori da questa città, dopo 7-8 anni. Ho passato un periodo sufficientemente lungo da accorgermi che Avezzano è peggiorata rispetto ad altri posti. (Viaggiando di più un tempo, a me sembrava di
vedere le stesse cose, gli stessi processi ovunque).
Le città italiane sono degradate negli ultimi lustri ma Avezzano ha preso giusto i peggiori difetti dalle altre. Mi dà un’idea di miseria e di pacchianeria.
Mi capita di passare un paio di volte ogni giorno davanti a Libero House (largo M. Pomilio) e noto com’è stata ridotta la vecchia e sobria facciata: cartelloni ingombranti – a coprire perfino il balcone –, loghi imponenti (corona) alle bucature. Questa invece, è una forma di volgarità.
I bar del centro intanto, si preparano al karaoke per la prossima estate. (Il karaoke è una forma di spettacolo risalente agli anni Ottanta del secolo scorso).

KsLT 11

Molti negozi d’abbigliamento sono rimasti aperti, durante la festa della Repubblica: «si viene incontro alle esigenze degli operatori, ma anche e soprattutto dei consumatori». I consumatori marsicani sono stati squisiti impippandosene alla grande, dell’attenzione dei commercianti.
«Non c’è più religione» ma non per tutti. C’è chi crede che i negozi avezzanesi chiudono per via dell’anello a senso unico o per la mancanza d’aree di sosta al centro: questa è superstizione, però. D.: dove vorrebbero costruire altri parcheggi al centro?
(Copio-e-incollo dal web). Vittorio Sgarbi: «L’Emilia saprà reagire, non come l’Abruzzo che si piange addosso... Se il terremoto avesse colpito nel Meridione la tragedia sarebbe stata doppia» – 20 maggio 2012.

KsLT 10

(The Mothers of Prevention). Torno sulla lettera anonima apparsa su Il Velino 66/9. Ci si può parlare diversamente tra noi.
Lo scritto è un frutto del peronismo in salsa meneghina di questi decenni, della cultura del talk show. Non si confuta un’opinione ma si mette sotto una luce sinistra chi la esprime. Io appartengo secondo l’autrice (non ci vuole molto per capire il sesso di chi scrive), al «ceto medio riflessivo» – nemmeno al «precariato cognitivo», coi tempi che corrono. (Sono accreditato al «medio alto», altrove). Il fatto vero o falso, non importa: ai nostri tempi è una vergogna incassare soldi e leggere qualche rivista. (Vero o falso che uno disponga quattrini; vero o falso che uno legga dei libri. Vere o false le due cose insieme).
Dà scandalo un personaggio «chiamato al mondo per spingerlo in avanti e non per tenere premuto il freno» – dimenticando di specificare da chi è stato chiamato e il nome della macchina o del meccanismo che sta sabotando.
(A guardare le cose da lontano). La nostra società perdura da secoli anche perché i suoi elementi hanno a disposizione diverse scelte nelle loro faccende. Nella società vive una credenza, un pensiero generale,
seguito dalla maggioranza insieme con altri meno «ortodossi». Poco ortodossi per via di chi li formula ma altrettanto importanti per la sopravvivenza della cultura e di riflesso, della società stessa. Conformisti o poeti, conformisti o pittori. Si sta da una parte o dall’altra, discutendo civilmente senza offendere o delegittimare chi
si trova nel settore di fronte.
(Ho sbagliato ad infilare il blog in una deriva «movimentista», cinque anni fa. Dovrò limitare, fino ad azzerarle, le mie uscite – articoli, commenti – su altre testate. «Riflessivo». Quel termine è un insulto per qualsiasi artista della mia e della precedente generazione, cresciuto con più di un flirt per il buddhismo).

sabato 22 settembre 2012

KsLT 9

Un dettaglio. Giusto per capire come funziona (male) questo angolo di mondo.
C’è stato un torrente di nomi per la composizione della futura Giunta comunale, dopo le elezioni. I nomi ufficiali erano talmente tanti, da farci uscire almeno tre giunte – senza contare i semplici contattati.
Il sindaco-tecnico in «Il Centro» del 28 maggio: «Quanto alla cultura sceglierò una persona al di sopra delle parti». Le parti, quali sono? I partiti politici, gli spettatori, i produttori, le associazioni culturali, la bigliettaia?
Il pezzo prosegue: «Operazione non facile se è vero che gli esperti di cultura sono bene o male inseriti in associazioni oppure fondazioni di settore». Stanno proprio così le cose o è un’immagine come tante? E’
l’immagine che dà un giornalista o un politico – non un «tecnico» –, della nostra congiuntura. Il panorama culturale eccede l’establishment, in generale.
L’attuale situazione è figlia più o meno legittima del nicolinismo degli anni Settanta. Renato Nicolini (1942) non era né «al di sopra delle parti» – era comunista –, né un «tecnico» – faceva l’architetto; egli era un militante con solide letture alle spalle e qualche idea chiara. L’errore d’oggi consiste nell’assegnare un incarico a qualcuno che conosce minuziosamente il proprio orticello ma che ha un orizzonte particolarmente basso. (Ammesso che la faccenda, vada a finire così. E’ anche bene ricordare che tali assessori-tecnici, resteranno in carica solo alcuni mesi). M’aspetto qualcosa di meglio rispetto all’oggi? No.
Sta per uscire Il suono del mio passo: io lo segnalo giusto perché è la mia ventesima pubblicazione. E’ una novità editoriale perché è un testo di uno che va a piedi sul camminare. Non lo filerà nessuno, in quanto tale.

KsLT 8

Ho letto – ripetuto fino alla noia – l’uguaglianza: non-voto = antipolitica, da noi e nella Penisola.
Antipolitica è un termine di cui non si conosce il significato e chi lo pronuncia, vuole dominare l’interlocutore o colpirlo, in ogni modo. (Risulterebbe più simpatico: non-voto = «sarchiapone». «Lei è proprio
un bel sarchiapone matricolato!»).
Non votando alle Amministrative, io faccio parte dell’antipolitica o «sono», l’antipolitica. D.: quando, invece, io voto ai referendum e alle Politiche? Non sono un buon avezzanese e un buon abruzzese, ma sono un buon
italiano: Ok. Votando per il Senato e annullando la scheda della Camera, sono ancora un buon italiano? Votando un quesito referendario (dispari) e non prendendo la scheda di un altro (pari), sono un cittadino decente?
Chi sparge un tale termine è almeno una persona superficiale, che ignora le persone cui si rivolge. Chi dice antipolitica, è soprattutto un ignorante della politica.
(Mi auguro che le piogge d’autunno spazzino anche «antipolitica», dopo «attimino», «Tutto a posto?», «Ti auguro una buona serata!», «Tu che proponi?». Lo auguro a me e all’Italia intera).

KsLT 7

Rispondo alla lettera che mi ha chiamato in causa, nello scorso numero.
Il mio pezzo (Il Velino 64/7, 15 aprile), che trattava del diritto
all’istruzione nell’età dell’obbligo scolastico in Europa, non era
contestato nel merito, nel senso: si possono criticare le decisioni
degli amministratori per questioni legate all’urbanistica, da tempi
remoti. (Mostravo in modo «tridimensionale» com’è stato attuato il
diritto all’istruzione per alcune fasce d’età. E’ questo l’oggetto del
mio articolo e non la vendita della Camillo Corradini d’Avezzano come
mi viene attribuito).
Non è specificato il contenuto delle obiezioni al mio articolo e una
delle poche cose chiare è che esso ruota intorno alla coppia
concettuale «nuovo-vecchio». Nelle conversazioni, può passare senza
creare imbarazzo l’espressione: «nuovo teorema» riferito ad un
matematico che lo ha elaborato o che la musica di Reich (1936)
rappresenta «il nuovo» rispetto a Ravel (1875-1937). Va ancora meglio
con: «vecchia ciabatta» o «camicia nuova». «Nuovo» è un concetto poco
produttivo quando si parla di città – che funziona all’incirca come un
vivente. (Interessa a qualcuno sapere che sono più nuovo di quando ho
iniziato a scrivere questa risposta, ma più vecchio dopo che la
invierò alla redazione?).
Stabilito sul terreno con lo spago, il perimetro di un insediamento e
delle sue parti costitutive (palazzi, piazze, quartieri, arterie
principali, ecc.), il gioco è fatto. La città riproduce se stessa su
se stessa; incessantemente per millenni.
I Romani hanno costruito molte chiese dentro le aree riservate al
culto e direttamente sul basamento dei templi pagani – una volta rasi
al suolo. Non è balzato in mente a nessuno di usare lo spazio e di
riutilizzare i muri di un edificio religioso per un’abitazione, un
magazzino o una stalla. (Terreno e tipo di costruzione sono
strettamente legati).
Negli ultimi decenni alcune chiese sconsacrate sono trasformate in
teatri nelle grandi città, ma non in supermercati, uffici o
abitazioni. Nel nostro modo (europeo) di vedere le cose, vale
generalmente l’equazione: scuola = galleria commerciale. E’ giusta
sempre? No, nel caso della Corradini A e B in quanto per moltissimi
avezzanesi, tale gruppo d’edifici (anche la Mazzini) è divenuto negli
anni un tema collettivo. Il plesso scolastico è equiparato ad una
struttura di un ordine superiore e si ritrova perciò nel novero dei
temi collettivi per definizione (cattedrale, tribunale, municipio). Mi
fermo qui.
Ho trovato nella lettera qualche allusione e imprecisione di troppo
nei miei confronti (c’è di peggio, in realtà): tali elementi rientrano
nell’economia della stessa lettera che non vuol criticare uno o più
pezzi pubblicati dal sottoscritto, quanto tratteggiare il profilo di
una categoria di persone. Una siffatta categoria in tal modo, è pronta
per essere affidata al plotone d’esecuzione della plebaglia cresciuta
a Drive In, Bagaglino e Striscia la Notizia.

sabato 15 settembre 2012

KsLT 6

A dicembre se ne saprà di più della relazione su cui sto scrivendo, uno studio che è finanziato dal ministero dello Sviluppo economico e dal Comitato Abruzzo (Confindustria, Cgil, Cisl, Uil). M’interessa di scoprire quale ruolo sarà svolto dal concetto di smart city, nella redazione finale.
Io credo poco che un’area disomogenea riesca a svilupparsi maggiormente dopo una catastrofe che ha interessato una sua parte, tra le più de-sviluppate: «L’Aquila e la regione Abruzzo hanno l’opportunità di diventare un prototipo e un modello come moderno luogo di vita del XXI° secolo», 2.1.13.
C’entra poco anche la: «volontà di decidere prima quello che vogliamo diventare e di ricostruire in un secondo tempo in funzione di queste decisioni», 2.1.12. (Scrivere una cosa del genere è un omaggio alla
storia di L’Aquila; scriverlo a 3 anni dal terremoto e con la ricostruzione che va a rilento, si rischia il ridicolo). C’è – per il momento – una strana commistione tra la smart city, il terremoto più in generale e la scarsità di risorse per la ricostruzione.
Un altro paio di questioni. Come si può: «migliorare la prevenzione del rischio e mitigare gli effetti di disastri naturali»? Nella relazione c’è una vecchia idea, già sperimentata – non sempre con successo – nelle metropoli: affidare un’opera architettonica ad una firma: «architetti di fama mondiale e di livello internazionale», 2.4.34. Ha bisogno di questo il cumulo di macerie e puntellamenti che noi chiamiamo L’Aquila, i cui cittadini hanno manifestato – di recente – contro il progetto (Renzo Piano) e la costruzione (pagata dalla provincia autonoma di Trento) di un auditorium temporaneo? Pier Luigi Cervellati e Salvatore Settis hanno denunciato, da tempo, il «rischio Pompei» per il centro storico del nostro capoluogo.
Mi lascia indifferente la faccenda di una nuova immagine, di un nuovo brand di L’Aquila e dell’Abruzzo nel mondo, per rilanciarla (in senso turistico) pur restando tagliata fuori del circuito nazionale.
Mi mette i brividi leggere: «è necessario che il processo di ricostruzione del centro città [...] sia intrapreso in modo da incoraggiare un più vasto rinnovamento urbanistico di lungo termine, in maniera da rafforzare le risorse immobiliari private e pubbliche e in modo da far sì che tutta la zona attragga maggiori investimenti nel
futuro», 2.3.25. L’Avezzano dei nostri giorni è rinata così, dopo il terremoto del 1915: auto-distruggendosi e consegnandosi agli speculatori di mezz’Italia. (3/3)

KsLT 5

Tra pochi giorni, vincerò la scommessa sul nome del nuovo sindaco.
Lo davo davanti al primo turno (48% e 44%), ma le cose sono andate in modo quantitativo e qualitativo diverso dalle mie previsioni. Immaginavo una minore percentuale dell’astensione (un incremento di oltre il 6%) e un minor numero (molto minore) di preferenze per i partiti e le piccole liste: non mi sono reso conto di quello che bolliva in pentola. Per niente.
Lunedì sera, si saprà che Giovanni Di Pangrazio ha vinto le Amministrative del 2012. (Lo do con quattro punti di scarto, anche questa volta).
I raggruppamenti maggiori hanno cercato di fidelizzare i loro votanti. Non importava loro, se uno scriveva il nome di questo o quel candidato per una questione di fiducia, di stima, di simpatia o altro. I maggiori partiti si sentivano «obbligati» nei confronti dei loro votanti.
(Ho fatto cambiare un punto del programma di un piccolo partito: è bastato un commento salace su una testata on-line. Non hanno letto il resto sul blog, per mia fortuna...).

KsLT 4

Un’espressione che ha colpito nella relazione al convegno «Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila», è: «città intelligente legata al territorio».
Noi già conosciamo il significato di smart drugs (nootropi) e smartphone: che cosa significa smart city? L’espressione è recente (2011) e si riferisce ad un progetto dell’Ue che individua e investe (non ricordando male, cifre modeste) in una serie di città medie che riducono i consumi energetici e utilizzano più razionalmente le risorse e le tecnologie di cui dispongono.
In Europa, città media ha un significato diverso da quello che ha in Italia e vuol dire un agglomerato a metà strada tra Londra, Parigi, Madrid, Berlino e un paese. (L’ultima, è quella con meno abitanti ma è più grande di Roma). Una città media «europea» in Italia è Bologna (387mila abitanti); la conurbazione Pescara-Montesilvano – in Abruzzo – è l’unica che s’avvicina alla città media: sono 2 comuni distinti – d’accordo –, ma rientra nella fascia delle città medie e il suo hinterland ha una giusta dimensione. M’interessa poco se il nostro capoluogo di provincia rientra o no nel canone delle città medie quindi delle smart city: la seconda parte dell’espressione o dello slogan è pleonastica, francamente. Vuoi che un agglomerato tra i 100mila e i 500mila abitanti, non abbia rapporti con il proprio territorio, in Italia? Esiste, sulla Terra, un qualsiasi insediamento umano che non ha rapporti con il circondario?
L’Ue prova a «costruire» delle nuove aree sotto i 2 milioni d’abitanti, con ridotta estensione territoriale, in cui si vive meglio consumando meno energia. Io mi chiedo se l’Unione, nonostante i suoi ridotti poteri, possa fare qualcosa in più per ridurre gli sprechi, la produzione di rifiuti e per un sistema di trasporto comune in grado di superare l’attuale modello basato sull’automobile privata – soprattutto nelle zone depresse, dove la «macchina» è uno status symbol. Ci vuol tanto a scrivere un decreto che mette fuori-legge lo strato d’incarti che avvolgono le merci, quando le acquistiamo?
Qualcosa è cambiato a livello individuale: esistono condomini «cablati» – anche da noi –, gente che si sposta in bicicletta; i tetti con pannelli fotovoltaici, l’«acqua del sindaco» (quella del rubinetto), i doppi vetri alle finestre, i cosiddetti prodotti a km 0, la lotta per i beni comuni, ecc.
Le altre due espressioni: «specializzazione intelligente a livello regionale» e «sviluppo locale gestito dalla collettività», mi dicono poco e le trovo un po’ banali. (2/3)

martedì 4 settembre 2012

KsLT 3

Una dozzina d’anni fa c’era bisogno di un’intervista a Miriam Mafai per una pubblicazione sul «cinquantenario» delle lotte del Fucino. (Non se ne fece niente dell’una e dell’altra).
Non se ne sono ricordati in molti, dopo la sua morte: «Era a capo dell’Unione delle donne marsicane, dirigente di una delle lotte straordinarie di quegli anni, quella per strappare ai principi Torlonia il lago del Fucino», Luciana Castellina, Una comunista che sapeva ridere, in «il manifesto» 10 aprile 2012.

KsLT 2

Tempo addietro, m’era capitato di scrivere sulla ricostruzione di L’Aquila che al posto di Cialente era meglio Chirac e che invece di Berlusconi, Mitterrand. Mi riferivo alla ristrutturazione del centro di Parigi negli anni Ottanta, ovviamente. C’è voluta l’autorevolezza di due personaggi di quel calibro (sindaco il primo, presidente della repubblica il secondo) per far digerire ai parigini e non solo a loro, un progetto che ha cambiato – bene o male – il volto al centro della capitale francese.
Sono stato incuriosito dalla relazione presentata al forum Ocse «Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila» – 17 marzo 2012. Un esterofilo come me, non poteva sottrarsi alla lettura di un documento dell’università di Groningen (NL) riguardante L’Aquila, la sua provincia e l’Abruzzo. Sono stato stuzzicato da espressioni come: «città intelligente legata al territorio», «specializzazione intelligente a livello regionale» e «sviluppo locale gestito dalla collettività».
La lettura è stata deludente sotto diversi aspetti. Io trovo la relazione superficiale ed approssimativa: molto «italiana», in una parola. E’ difficile da riconoscere la regione, da parte di chi ci abita. Manca in essa, un inquadramento storico dell’area cui fa riferimento. Il massimo che si riesce ad esprimere è che: «il percorso
di sviluppo della regione Abruzzo, e della provincia dell’Aquila in particolare, era piuttosto precario anche prima del terremoto del 2009» – 3.2.39. Si tratta di una banalità, considerato l’inizio dell’ultima crisi economica mondiale – fine 2007.
La storia c’insegna che l’Appennino è in crisi da tempo e si tratta di un vero e proprio declino, soprattutto nelle regioni meridionali punteggiate ormai da paesi abitati solo da vecchi. (I pastori di D’Annunzio, a cavallo del Novecento, rappresentavano un mondo scomparso).
E’ tutto così, l’Abruzzo? Certo che no. L’Aquilano appare tra le zone più arretrate della regione, da decenni. Esiste una conurbazione da almeno 200mila abitanti sulla costa, a differenza dell’interno dove il centro più popoloso non arriva(va) a 50mila. Non scorgo la possibilità, in un intervento che parte da una zona declinante, di coinvolgere e sollevare anche le sorti di aree che stanno meglio come la Marsica, la costa adriatica e soprattutto la Val Vibrata.
La relazione Ocse è un’occasione per rendersi conto di come ci osservano da fuori. Come ci vedono? Ho l’impressione che – per ora – ci considerano come la Valpadana: geografia, economia e cultura, tutto
uniforme. (1/3)