mercoledì 7 marzo 2012

Pettegolezzi

Ho seguito di striscio, a fine febbraio, una polemica legata ad un articolo pubblicato sul Corriere della Sera. L’autore è Antonio Pascale, mentre il titolo è: «Gli egoisti della decrescita». La polemica si è svolta tra scrittori (Pascale e Sandro Veronesi) meglio, tra scrittori italiani. (La discussione avrebbe avuto ben altro tono, altrove. Auster, Grossmann, Mc Ewan, Vidal, ecc.). Vale la pena di scriverci qualcosa.
Ho trovato il pezzo superficiale, in sé e ne consiglio la lettura, ovviamente.
Il punto non è tanto che Pascale non è Pasolini (nel senso: non possiede la «stazza»), né Parise e né Sciascia quanto che Pasolini (Parise o Sciascia), allorché andava – a suo tempo – fuori del seminato sulle pagine delle maggiori testate giornalistiche, egli studiava e si documentava.
Leggiamo ancora gli scritti di tali personaggi, costatandone i limiti – dopo alcuni decenni. Sono pezzi generalmente datati per via della loro età, ma si lasciano ancora leggere perché trasudano di passione civile e di cultura; restano dei documenti importanti, in ogni modo. (Il concetto di «mutazione antropologica» era insopportabile dal principio, ma non il suo contenuto; non è un caso che si continua a ragionare su quelle cose).
La bassa macelleria ideologica, era compito dei giornalisti (molto schierati) al tempo di Pasolini, Parise e Sciascia. Gli intellettuali d’allora provocavano dibattiti; gli scrittori d’oggi fanno cadere le braccia per la loro inconsistenza.

Nessun commento:

Posta un commento