sabato 31 marzo 2012

da "Il Velino" 63/6

Altre crepe. Bisogna guardarci dentro per scoprire i motivi della crisi di un comprensorio, una crisi che non è solo congiunturale.
Ho assistito, per questioni anagrafiche, alla nascita del nucleo industriale d’Avezzano e, nello stesso tempo, alla fine del mondo contadino, da noi. In quel periodo in Italia, si decideva di fissare definitivamente lo sviluppo industriale (lo sviluppo tout court) lungo le fasce costiere.
M’è capitato, di dover scrivere sulla realtà produttiva fucense al tempo dell’università, negli anni 70. Detti un giudizio duro: sia l’assistente sia il docente conoscevano meglio di me, la breve e poco effervescente vicenda del nostro insediamento. (Il quotidiano Lotta Continua alcuni mesi prima, aveva pubblicato un’inchiesta da cui risaltava un numero sproporzionato di pensioni «agricole» rispetto ai lavoratori del settore, in Abruzzo).
Manca una qualsiasi analisi di tipo storico sul Novecento nella Marsica. Io m’accontenterei di qualche centinaio d’operai in meno nel nostro nucleo industriale e 2-3 fabbriche che stanno in piedi da sole in più. Gli imprenditori d’oggi provano ad uscire indenni dalla fase di de-industrializzazione rivolgendosi alle costruzioni oppure investendo – si fa per dire –, nell’energia.
La sensazione odierna di declino, di «spoliazione», è un effetto collaterale del fallimento delle scelte strategiche risalenti agli anni Ottanta. Avezzano e la Marsica, dopo aver archiviato frettolosamente la stagione dell’agricoltura e dell’industria, hanno puntato su un modello di sviluppo basato sul commercio e la pubblica amministrazione. (E’ bene osservare la vicenda della «provincia AZ» sotto questa luce).
Una scelta tanto sbagliata e miope non fu corretta, né tanto meno registrata dalle nostre parti nel decennio successivo quando l’Italia scoprì d’avere una rete distributiva «arretrata, fragile e costosa». I negozi non chiudevano per fattori esterni ed i prezzi delle merci erano alti perché bisognava «mantenere» troppi venditori.
Non ci ha insegnato nulla neppure il terremoto (2009), nella città degli affittacamere.
Oggi i marsicani la prendono con la crisi monetaria internazionale per le scrivanie e gli uffici dirottati altrove, mentre dovrebbero invece temere un qualsiasi governo nazionale o regionale che vuol tenere i conti in ordine.

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