Ho ritrovato questo vecchio scritto a
matita e lo riporto – ho avuto per mesi anche XPress fuori uso.
Ho perso almeno una quarantina di
post, durante il «trasloco»: mi avrebbero messo nella condizione di non pensare
al blog fino all’anno nuovo, almeno.
Una domanda del maggio scorso: «Mario
Spallone, perché ha cambiato così poco Avezzano, nonostante l’entusiasmo che
l’ha circondato?». La mia risposta: A) perché era supportato da un blocco di
potere che voleva mantenere le cose come stanno, B) perché non conosceva la
città.
C’è un’idea di città nel quesito più
vicina alla mia che a quella dell’ideologia dominante (o meglio: sovrastante).
In sintesi: un posto non migliora necessariamente aggiungendo qualche fioriera,
una fontanella o una decina di cestini.
A Spallone è toccato di amministrare
una situazione in cui il nucleo di un grosso paese cresciuto per decenni
intorno alla sua piazza principale, sta raggiungendo la soglia dei 30mila
abitanti. I suoi predecessori hanno ignorato o finto di non capire, quando era
invece il caso d’avviare un processo per la costruzione di una città
policentrica o almeno di (ri)qualificare i quartieri periferici – non tutti,
per carità, bastava provarci con uno a caso. (Il tema della periferia è
scomparso da allora dall’agenda politica locale ed è stato un pessimo affare).
Si è speso molto il sindaco, certo ma
la sua azione è stata contraddittoria, «veltronista» per molti versi. Mario
Spallone ha risolto l’annosa questione di un nuovo Prg, ma ha anche
«battezzato» la sua Variante. Egli ha voluto Angelo G. Sabatini alla Cultura,
ma anche molti altri; ha istituito un’area (non un’isola) pedonale, ma ha anche
difeso la riduzione della sezione di molti marciapiedi al centro.
Il piano parcheggi (Pup) ha congelato
la situazione esistente: un Quadrilatero meno permeabile avrebbe spinto
l’amministrazione comunale ad interessarsi della vita dei quartieri. (Parte
proprio dal Pup, la congestione nel nucleo centrale della città).
Fa tenerezza leggere oggi, che il
sindaco si era «messo in testa che gli alberi nel centro della città andavano
abbattuti» (Domenico Palumbo in Motta N., “Ecco
come Spallone rilanciò Avezzano dopo Tangentopoli” in «Il Centro» 19 maggio
2013). Chi tuttora difende quella scelta, dimentica d’essersi trovato contro,
tra gli altri, l’Istituto nazionale d’urbanistica.
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