Mi attrae poco la
discussione su «Amplero» più di trent’anni dopo la mia prima esperienza. Il
mondo politico proponeva un’opera pubblica e se ne discuteva in pubblico: amministrazioni
locali, partiti, sindacati e associazioni. C’erano i favorevoli e i contrari:
alla fine si procedeva o si accantonava. (Si preferì soprassedere nel nostro
caso, per la seconda volta).
I piani alti della politica
hanno maggior potere rispetto allora – si può far passare un’opera per
«strategica» e aggirare alcuni controlli –, ma hanno bisogno di maggiore
legittimazione. I primi sindaci italiani eletti in modo diretto – con maggiori
poteri rispetto alla situazione precedente –, non risparmiavano ai cittadini
appelli del genere: «Statemi vicino e aiutatemi a governare»; mentre a quanti poi
provavano a consigliare o a dissentire ricordavano stizziti: «Sono stato eletto
democraticamente dal popolo!».
Il metodo dell’intervista Aqua Piana del Fucino ai portatori
d’interesse non mi appassiona. Cresce il numero dei punti di vista ma la rappresentazione
che s’intravede è risicata e non solo perché gli sguardi sono incanalati. (Senza
contare che si tratta di pareri, in ogni modo). Ho già posto una questione
simile: Giuliano Pisapia volendo discutere del traffico cittadino, come riesce
ad ascoltare tutti i portatori d’interesse giacché, Milano è raggiunta – cinque
giorni su sette – da 400mila persone? (Non solo). Gli albergatori di un comune
montano propongono di eliminare un bosco, allargare la strada che attraversa la
loro montagna e di costruire lungo il suo tracciato alcune aree da picnic per
«valorizzare» lo stesso rilievo. L’associazione XYZ è contraria a una
striminzita frazione del taglio perché da quelle parti, vi è una ventina
d’esemplari di una pianta officinale rara che rischia di scomparire dal
Pianeta. Il sindaco darà ragione agli albergatori – ça va sans dire. La montagna inizierà a franare dopo 12-15 anni con
buona pace di tutti. (Non ricordiamo collettivamente nemmeno che le frane sono
provocate dal taglio irrazionale degli alberi).
Non hanno uno spazio le mie
(e le altrui) osservazioni del tempo andato nelle attuali procedure. (Ne cito
un paio a caso). Sbancare per ricavare dei vasconi a quote basse ha un impatto
ambientale senz’altro minore dell’impermeabilizzare un invaso naturale a una
quota maggiore: l’acqua piovana e la neve accumulata durante l’inverno, possiedono
entrambe ottime possibilità di finire nei fiumi sotterranei. (Si spende risorse
ed energia per portare altra acqua in un posto dove già c’è e s’impedisce a
questa d’infiltrarsi nella falda sottostante. Allo stesso modo, una discarica
presenta meno rischi in caso di rottura della membrana sottostante se la
sistemo a valle, più in basso rispetto a una città o lontano da una falda.
Cfr.: valle dei Fiori). Nello stesso periodo, si criticò il modello di sviluppo
ispiratore della nostra agricoltura e s’indicò l’impatto delle colture sull’ecosistema
della Piana. Il termine «sostenibile» non era ancora stato inventato, ma si
osservava – passando per Fucino a piedi, in bicicletta, in auto o in pullman –,
molta terra (fertilissima) abbandonata sull’asfalto e ridotta a rifiuto. «Fino
a quando?», ci si chiedeva. Si auspicavano colture diverse e richiedenti meno risorse
ed energia. Si finisce fuori tema oggi da parte di chiunque, a esprimersi in
tal modo.
(Mentre noi umani civilizzati
in quel tempo polemizzavamo democraticamente, il Giovenco «rinunciò» alle sue
sorgenti più in alto, diminuendo di conseguenza la sua portata).
Alla fine del processo d’indagine
e d’elaborazione d’Aqua, sortirà non
una soluzione, ma di più. Sarà preferita quale e soprattutto, da chi? (Ho la
sensazione che per dirimere la futura questione dell’invaso – o degli invasi –,
bisognerà ricorrere alla vecchia e amata carta bollata).
(Il Martello del Fucino 19 2013)
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