È bene non sprecare
l’occasione del centenario del «terremoto» nella Marsica, per sé e come
possibile inizio di un cammino. Abbiamo bisogno di storie, miti, luoghi comuni,
aneddoti, racconti e leggende per definirci, in qualche modo; la storia in
particolare, può suggerirci le mosse giuste ed evitarci di ripetere gli errori
del passato. (Un esempio). Gli estesi diboscamenti e la pastorizia senza regole
hanno portato alla trasformazione nel giro d’alcuni secoli, da zone ricche di
vegetazione e densamente abitate al deserto (Medio Oriente, Australia ecc.).
Bisogna perciò prestare attenzione nel segare alberi, anche se si vive in un
posto poco ecologicamente fragile come il nostro.
Manca una storia del sisma
di un secolo fa, inteso non come fenomeno naturale ma come un evento
caratterizzante l’esperienza delle generazioni che si sono avvicendate nel
comprensorio. Ci si è esercitati finora, nel fabbricare una rappresentazione
macchiettistica della Marsica ante-terremoto o nel rinchiudere in sé l’evento
catastrofico; poi, il buio pesto.
È invece opportuno «far
parlare» – dopo decenni di silenzio e forse anche di censura – quelle solite
foto, documenti e ritagli di giornale che sono proposti come reliquie ogni 13
gennaio. Si può anche provare a incrociare almeno tale repertorio con altri
elementi dello stesso genere, nella zona in questione e in tempi diversi. Aiuta
anche porsi delle semplici domande: perché mai il comune X è stato «spostato» altrove in occasione della ricostruzione? Il
terremoto del 1915 – come altri eventi del genere – ha avvantaggiato qualche
comune a scapito di qualcun altro: quali? È un lavoro quasi da storici
d’accordo, ma si può tentare in maniera dilettantesca da parte di chiunque
voglia capire come si è formato l’ambiente in cui vive. Perché i nostri paesi
sono divenuti proprio così?
Scrivere la storia serve
per meglio capire l’attualità e intravedere l’avvenire. Qualche paginetta
scritta da uno straccio di storico sulla nostra vicenda a cavallo del
Novecento, ci avrebbe risparmiato il colossale errore di non puntare i piedi e
soprattutto di presentarci separati quando un governo Berlusconi ha eliminato i
fondi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Roma-Pescara. (Noi paghiamo
tale politica con i disservizi, per il momento). L’Abruzzo ha scoperto di
recente – si fa per dire e in forte ritardo – che il suo territorio non rientra
nel tracciato dell’Alta velocità. Tutto ciò significherà giocare un ruolo
marginale rispetto a quello – certo non centrale – degli ultimi sessant’anni
nella Penisola; resteremo fuori dai flussi principali, sia fisicamente sia
simbolicamente. (Si cadrà dalle nuvole quando, tra qualche anno, si capirà che
da noi non c’è nemmeno l’ombra di una Città metropolitana su cui riversare
risorse da parte dei palazzi romani).
Forse è meglio celebrare il
Centenario in ordine sparso e alla spicciolata come sta succedendo, in mancanza
di un paese in grado di esercitare una leadership
nel «cratere».
(Territori in movimento/per Comitato Pescina 2015, 1 2014)
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