venerdì 1 agosto 2014

Separati in casa


È bene non sprecare l’occasione del centenario del «terremoto» nella Marsica, per sé e come possibile inizio di un cammino. Abbiamo bisogno di storie, miti, luoghi comuni, aneddoti, racconti e leggende per definirci, in qualche modo; la storia in particolare, può suggerirci le mosse giuste ed evitarci di ripetere gli errori del passato. (Un esempio). Gli estesi diboscamenti e la pastorizia senza regole hanno portato alla trasformazione nel giro d’alcuni secoli, da zone ricche di vegetazione e densamente abitate al deserto (Medio Oriente, Australia ecc.). Bisogna perciò prestare attenzione nel segare alberi, anche se si vive in un posto poco ecologicamente fragile come il nostro.
Manca una storia del sisma di un secolo fa, inteso non come fenomeno naturale ma come un evento caratterizzante l’esperienza delle generazioni che si sono avvicendate nel comprensorio. Ci si è esercitati finora, nel fabbricare una rappresentazione macchiettistica della Marsica ante-terremoto o nel rinchiudere in sé l’evento catastrofico; poi, il buio pesto.
È invece opportuno «far parlare» – dopo decenni di silenzio e forse anche di censura – quelle solite foto, documenti e ritagli di giornale che sono proposti come reliquie ogni 13 gennaio. Si può anche provare a incrociare almeno tale repertorio con altri elementi dello stesso genere, nella zona in questione e in tempi diversi. Aiuta anche porsi delle semplici domande: perché mai il comune X è stato «spostato» altrove in occasione della ricostruzione? Il terremoto del 1915 – come altri eventi del genere – ha avvantaggiato qualche comune a scapito di qualcun altro: quali? È un lavoro quasi da storici d’accordo, ma si può tentare in maniera dilettantesca da parte di chiunque voglia capire come si è formato l’ambiente in cui vive. Perché i nostri paesi sono divenuti proprio così?
Scrivere la storia serve per meglio capire l’attualità e intravedere l’avvenire. Qualche paginetta scritta da uno straccio di storico sulla nostra vicenda a cavallo del Novecento, ci avrebbe risparmiato il colossale errore di non puntare i piedi e soprattutto di presentarci separati quando un governo Berlusconi ha eliminato i fondi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Roma-Pescara. (Noi paghiamo tale politica con i disservizi, per il momento). L’Abruzzo ha scoperto di recente – si fa per dire e in forte ritardo – che il suo territorio non rientra nel tracciato dell’Alta velocità. Tutto ciò significherà giocare un ruolo marginale rispetto a quello – certo non centrale – degli ultimi sessant’anni nella Penisola; resteremo fuori dai flussi principali, sia fisicamente sia simbolicamente. (Si cadrà dalle nuvole quando, tra qualche anno, si capirà che da noi non c’è nemmeno l’ombra di una Città metropolitana su cui riversare risorse da parte dei palazzi romani).
Forse è meglio celebrare il Centenario in ordine sparso e alla spicciolata come sta succedendo, in mancanza di un paese in grado di esercitare una leadership nel «cratere».
(Territori in movimento/per Comitato Pescina 2015, 1 2014)

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