martedì 10 settembre 2013

K'sLT 31


Tempo fa, m’è capitato di constatare che il centro d’Avezzano era privo di spazi espositivi. Era un’innocua constatazione di striscio e null’altro la mia, trattandosi di una situazione risaputa.
A fine mese, l’allarme: Chiude la storica galleria di via Corradini, l’Agenzia delle Entrate l’ha messa in affitto, in «MarsicaLive» 28 agosto 2012. (Una non-notizia e una polemica costruita sulla foto di un cartello: AFFITTASI. Il Centro, lo ha pubblicato il 30).
La «storica galleria» è l’ex-Pro-loco o la Posta vecchia. (Non ha giovato, l’essere pomposamente ribattezzata – in pieno declino – come Galleria Comunale d’Arte Moderna). Non s’esponevano quadri e molto altro da almeno tre anni.
Vi sono approdato dieci anni dopo la mia prima personale, per 3 dei 10 giorni disponibili. Entrando si notava sporcizia qua e là, le lampadine erano fulminate per la maggior parte. Sembrava di trovarsi dentro un negozio, a starci dentro.
Mi chiesi nel dépliant della mostra: «come mostrare in uno spazio tradizionale opere prodotte con l’ausilio più o meno diretto della tecnologia digitale, quindi immateriali?» (The body electric, 2001). Negli anni Ottanta il pubblico delle mostre capì – attraverso la frequentazione dei nuovi spazi espositivi pubblici e privati – perché non andava più nelle gallerie private che avevano fatto – in qualche modo – la storia della pittura italiana post-bellica. In molti posti del genere seppur di prestigio, era impossibile far passare per il portone o appendere alle pareti un quadro 4x4 metri, sistemare un’installazione o una batteria di televisori (di collegare qualsiasi apparato alla rete elettrica), proiettare un corto o delle diapositive. (Abbiamo ignorato la migliore produzione artistica mondiale degli anni Cinquanta e Sessanta per questioni di spazi).
Per quanto mi riguarda, non è stato un luogo «dove poter esporre i propri lavori con un modesto impegno economico». Era necessario pagare un affitto al Comune e soprattutto, cedere allo stesso un’opera. Gli avezzanesi non a caso, gli preferivano da tempo la palestra della scuola media Camillo Corradini che era concessa a titolo gratuito.
Non l’ho nemmeno considerato seppur in lontananza, «un luogo dove poter discutere di arte e di cultura». Non m’assale la nostalgia, se non vedo da tempo il «bassorilievo di Pasquale Di Fabio, l’unico vero Artista che Avezzano abbia mai avuto», al suo interno. (Il bassorilievo della Galleria Comunale d’Arte Moderna e anche quello del Gran Caffè: «scomparso dietro gli arredi del nuovo bar», come ricorda ancora Tommaso Santoponte).
Il sindaco rincara la dose: «Quei locali [...] hanno ospitato eventi e manifestazione di alto livello» (31 agosto), ma senza fare nomi.
E’ questo del semplice provincialismo, nel senso d’essere attardati culturalmente? Bisognerà pur chiedersi alla fine e con onestà intellettuale, perché s’è passato da cinque a zero gallerie d’arte nel volgere di una quarantina d’anni, da noi.
C’è da indagare sull’uso del passato (meglio, di una sua idea) da agitare come randello, per scacciare i fantasmi del presente («il cinese di turno» e il «kebab» di Santoponte, come se ci fossero differenze apprezzabili nel settore del cibo industriale) e anche le persone (in carne e ossa e perfino italiani. M’interessano maggiormente da agnostico, più le idee e le produzioni che si lasciano ai posteri) che di questo presente fanno parte.
L’ex-Pro-loco era una metafora della città e m’aspettavo più lacrime di coccodrillo in quest’occasione.

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