martedì 6 gennaio 2015

Ultimo rimasuglio


Ho risposto a un commento inviatomi alla fine dell’anno e voglio rimetterci le mani:
Nel caso specifico, è bene precisare che si tratta di una raccolta di scritti (La lunga estate del 2015) già apparsa su riviste locali e ripassata sul blog: i tre quarti del materiale pubblicato, è roba vecchia. Si è trattato di una sorta di bootleg per chi mi conosce bene, in particolare per gli ultra-ottantenni che hanno scarsa o nulla dimestichezza con il Web. Non mi è passato minimamente in mente di ricorrere a una qualsiasi casa editrice, per pubblicare di nuovo e per una tiratura inferiore alla prima uscita.
È stata la quindicesima volta (su venticinque) che pubblico a mio nome con la dicitura «edizione dell’autore». Questioni di opportunità.
Ho letto delle interviste a U. Eco e V. Magrelli, in cui si trattava tra l’altro, delle case editrici e del loro ruolo, il mese passato. Li stimo molto entrambi, ma ho l’impressione che essi parlino dell’ambiente (nell’acquario, forse) in cui essi vivono; che è diverso dal mio e da quello di altre persone. Non si può usare l’espressione «casa editrice» come quando si parla della mamma, della patria o della Maggica [A.S. Roma]. Esiste un gran numero di case editrici nella Penisola e di gente che pubblica in proprio, a fronte dei quattro principali gruppi editoriali. («Principali perché?», si chiederà qualcuno).
Un tempo era un «filtro», una casa editrice come ricordano i due, mentre oggi è una mera impresa economica, in generale – scrivo io. Era un onore, un invito a pubblicare da parte di Einaudi, Mondadori, Rizzoli e Feltrinelli, quarant’anni fa: oggi lo è meno. (Entrare nell’orbita di una grossa casa editrice non è solo questione di merito, da decenni in Italia).
(Nel mio acquario). L’Italia si è anche riempita di centinaia di piccole e medie imprese che pubblicano – non di rado – su commissione. (Non solo piccole e medie, a dirla tutta). Non è opportuno da parte mia, spostarmi altrove per pubblicare a un costo che è almeno il triplo di quanto io, spenderei da solo – utilizzando la stessa tipografia –, e a parità (prossime allo zero) di distribuzione. (Il risparmio cresce ulteriormente, impiegando la stampa digitale). Serve perciò a evitare equivoci la dicitura «edizione dell’autore». Trasparenza, un vocabolo alla moda.
(A me interessa il prodotto più che la «fama» derivante da chi lo pubblica, da chi scrive la prefazione o da chi aggiunge qualche fotografia).

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