Ho voglia da settimane di
«allargarmi», di scrivere qualcosa sull’«emergenza immigrazione». Ho notato che
qualcuno ne ha trattato in zona (MarsicaLive)
e allora dico qualcosa anch’io.
(Nell’immediato). È
un’offesa all’intelligenza usare ancora il termine «emergenza» per una
situazione in atto non da quattro-cinque giorni ma è perdurante da decenni.
Trovo ingiustificabile – da parte di moltissimi – il rifiuto degli immigrati
con la pelle scura provenienti dal mare, ma non una parola sugli altri, certo più
numerosi e meno «abbronzati», i quali arrivano in Italia in aereo, in treno, in
autobus. (Che fanno concorrenza alla manodopera locale per alcuni tipi di lavoro,
tra l’altro).
Ciò che circola da anni in
Italia sull’argomento è dovuto alla posizione di un paio di schieramenti
politici – amenità comprese, ripetute dai giornalisti e perciò bufale –, mentre
è (era) il caso di ascoltare altre posizioni, che so: un demografo, uno
storico, un antropologo, un sociologo. Tutto ciò avrebbe evitato anche l’uso di
tabù incrociati e quindi, un impoverimento
del nostro vocabolario, della capacità di dispiegare discorsi. (Mi spiego. Un
vigile urbano, difficilmente utilizzerà la pistola d’ordinanza durante la sua
carriera, ma se serve… Non la spianerà mai in faccia all’automobilista che
procede controsenso o al ragazzino che gioca a pallone).
C’è invece da chiedersi per
quali motivi tale situazione ha retto finora, ha avuto degli sviluppi positivi
e se tutto ciò è ripetibile; c’è molto tempo a disposizione, trattandosi di un
fenomeno legato alla diminuzione di aree fertili nel Pianeta. (Gli immigrati
sono stati finora impiegati nei lavori peggio pagati: tra quanto tempo sarà satura
tale fascia di mercato del lavoro?).
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