martedì 2 giugno 2015

Gamberi di terra 2


(Mi sposto più a sinistra possibile in senso politico adesso – yin o yang, Ch’ien o K’un? –, per lasciar inquadrare il mio punto d’approdo). L’autogestione – per quanto tuttora illegale – può essere un modo per risolvere una crisi aziendale. Le fabbriche Alfa e Beta sono occupate e autogestite dai rispettivi operai; la prima, chiude i battenti definitivamente dopo un mese mentre la seconda tira avanti per altri sei-sette anni. I lavoratori di Beta dimostrano di possedere come minimo la stessa cultura d’impresa del legittimo proprietario dell’impianto.
I nostri contadini hanno preso la terra dei Torlonia dietro una legge dello Stato (1951). Sorge spontanea una domanda: perché un qualsiasi governo della Terra licenzia una riforma agraria? Perché vuol riconoscere la giustezza delle rivendicazioni dei braccianti, per favorire i latifondisti – che vanno risarciti in ogni modo –, o per ridurre i conflitti sociali e risolvere problemi di ordine pubblico? (In breve: perché il colore delle bandiere agitate per decenni nella Piana è stinto dal rosso al bianco dopo la Riforma?).
I vincitori della vertenza hanno migliorato la loro situazione (non solo la loro) per la sagacia imprenditoriale – inespressa per decenni –, per la ristrutturazione della proprietà o grazie alla generosa politica assistenzialista applicata al comparto agricolo dai governi retti dalla Democrazia cristiana? (Chi ha diretto o partecipato alle lotte nel Fucino, ha immaginato un tempo altro?).
I contadini hanno «cacciato» i Torlonia dalla loro terra ma hanno mostrato anche di possedere meno capacità imprenditoriali (come singoli, collettivamente) rispetto ai proprietari precedenti; hanno proseguito in ciò che sapevano fare o si sono spostati in fabbrica – nei primi anni Sessanta –, perché ciò rientrava nelle loro possibilità. (È un po’ come gli operai di Alfa: non sanno proprio che farsene del capannone e dei macchinari una volta «licenziato» il padrone). «In guerra e in amore è concesso tutto», secondo un vecchio detto; negli altri casi è invece preferibile aggirare l’avversario o vincere su tutta la linea più che sfondare in un punto o due, rapportare i mezzi da impiegare (a disposizione, da recuperare) all’obiettivo da raggiungere.
Abbiamo reazioni differenti, a spasso tra i vecchi edifici di quel periodo. È facile comprendere la funzione di un ex-granaio: lo dice la parola stessa. Proviamo sensazioni un po’ diverse davanti all’ex-zuccherificio e all’ex-malteria perché sembra – a noi fucensi – tuttora incredibile che qualcuno abbia investito moltissimi quattrini per produrre in maniera industriale zucchero e addirittura alcol anziché piantare e ricavare patate, insalate, carote, cavoli e zucchine da spostare immediatamente sui banchi di frutta e verdura della Piana. Succede tutto questo perché in tanti (politici, sindacalisti, intellettuali, artisti) hanno raccontato quel periodo in modo quasi letterario, lacunoso perché almeno interessato – ma non di parte («Leben heißt parteeisch sein», Friedrich Hebbel).
Qualcuno – pochi, in realtà –, dopo alcuni decenni dalla Riforma, ha meritoriamente provato a sviluppare idee come succo di carota, purè di patata; anche coltura di qualità, coltivazione biologica. (Nei migliori ristoranti non servono la frutta così com’è raccolta dalla pianta, ma ricorre come ingrediente almeno in torte, gelatine, macedonie, pasticcini, mousse, sorbetti e gelati: la materia prima, è solo uno degli elementi di un prodotto). Tutto ciò è avvenuto dopo così tanto tempo, perché è mancata – manca e non solo da parte delle élite locali –, un’elaborazione sugli avvenimenti a cavallo tra Otto- e Novecento ma soprattutto una strategia, una visione: come utilizzare il sistema Fucino (dopo il 1951, oggi, tra vent’anni)?
Un inceneritore, invece di un impianto legato alla campagna in tale prospettiva, contrasta perciò con il periodo migliore della nostra storia recente; è anche fuori posto: come i cavoli a merenda. Il piano di riconversione dell’ex-zuccherificio Sadam mi ricorda la politica neo-coloniale degli occidentali nel Terzo mondo e nei Paesi in-via-di-sviluppo; è però una faccenda da sbrigare tra italiani, nella Piana: alcune aree forti a livello politico-economico e un grosso gruppo industriale premono per insediare un impianto particolare – non una comune (benvenuta) fabbrica metalmeccanica, farmaceutica o tessile – in una zona periferica. (E come nel Terzo mondo e nei Paesi in-via-di-sviluppo, non si scampa dall’indecente spettacolo di chi spiana la strada ai forestieri).
ma tutto questo Alice non lo sa’. (2/2)

1 commento:

  1. Caro Peppe, in riferimento alla domanda che ti ponevi all'inizio del tuo post, proprio ieri leggevo questo pezzo su Le Monde Diplomatique:
    "Come mostrato da Claude Lefort (12), Machiavelli scopre qui una verità scandalosa: in una città libera la legge non è opera della fredda ragione, ma il frutto di contrasti e di desideri ugualmente illimitati, il desiderio del potente di possedere sempre di più e quello del popolo di non essere oppresso. La legge non è mai creata una volta per tutte: essa resta aperta ai conflitti che la portano a riformarsi continuamente."
    Articolo "Il sogno dell’armonia attraverso il calcolo" del febbraio 2015.

    RispondiElimina