(Mi sposto più a sinistra possibile
in senso politico adesso – yin o yang, Ch’ien o K’un? –, per lasciar
inquadrare il mio punto d’approdo). L’autogestione – per quanto tuttora illegale
– può essere un modo per risolvere una crisi aziendale. Le fabbriche Alfa e Beta sono occupate e autogestite dai rispettivi operai; la prima,
chiude i battenti definitivamente dopo un mese mentre la seconda tira avanti
per altri sei-sette anni. I lavoratori di Beta
dimostrano di possedere come minimo la stessa cultura d’impresa del legittimo proprietario
dell’impianto.
I nostri contadini hanno
preso la terra dei Torlonia dietro una legge dello Stato (1951). Sorge
spontanea una domanda: perché un qualsiasi governo della Terra licenzia una
riforma agraria? Perché vuol riconoscere la giustezza delle rivendicazioni dei braccianti,
per favorire i latifondisti – che vanno risarciti in ogni modo –, o per ridurre
i conflitti sociali e risolvere problemi di ordine pubblico? (In breve: perché
il colore delle bandiere agitate per decenni nella Piana è stinto dal rosso al
bianco dopo la Riforma?).
I vincitori della vertenza
hanno migliorato la loro situazione (non solo la loro) per la sagacia imprenditoriale
– inespressa per decenni –, per la ristrutturazione della proprietà o grazie alla
generosa politica assistenzialista applicata al comparto agricolo dai governi
retti dalla Democrazia cristiana? (Chi ha diretto o partecipato alle lotte nel
Fucino, ha immaginato un tempo altro?).
I contadini hanno «cacciato»
i Torlonia dalla loro terra ma hanno mostrato anche di possedere meno capacità
imprenditoriali (come singoli, collettivamente) rispetto ai proprietari
precedenti; hanno proseguito in ciò che sapevano fare o si sono spostati in
fabbrica – nei primi anni Sessanta –, perché ciò rientrava nelle loro
possibilità. (È un po’ come gli operai di Alfa:
non sanno proprio che farsene del capannone e dei macchinari una volta «licenziato»
il padrone). «In guerra e in amore è concesso tutto», secondo un vecchio detto;
negli altri casi è invece preferibile aggirare l’avversario o vincere su tutta la linea più che
sfondare in un punto o due, rapportare i mezzi da impiegare (a disposizione, da
recuperare) all’obiettivo da raggiungere.
Abbiamo reazioni
differenti, a spasso tra i vecchi edifici di quel periodo. È facile comprendere
la funzione di un ex-granaio: lo dice la parola stessa. Proviamo sensazioni un
po’ diverse davanti all’ex-zuccherificio e all’ex-malteria perché sembra – a
noi fucensi – tuttora incredibile che qualcuno abbia investito moltissimi
quattrini per produrre in maniera industriale zucchero e addirittura alcol
anziché piantare e ricavare patate, insalate, carote, cavoli e zucchine da spostare
immediatamente sui banchi di frutta e verdura della Piana. Succede tutto questo
perché in tanti (politici, sindacalisti, intellettuali, artisti) hanno
raccontato quel periodo in modo quasi letterario, lacunoso perché almeno interessato
– ma non di parte («Leben heißt parteeisch sein», Friedrich Hebbel).
Qualcuno – pochi, in realtà
–, dopo alcuni decenni dalla Riforma, ha meritoriamente provato a sviluppare
idee come succo di carota, purè di patata; anche coltura di qualità, coltivazione
biologica. (Nei migliori ristoranti non servono la frutta così com’è raccolta
dalla pianta, ma ricorre come ingrediente almeno in torte, gelatine, macedonie,
pasticcini, mousse, sorbetti e gelati:
la materia prima, è solo uno degli elementi
di un prodotto). Tutto ciò è avvenuto dopo così tanto tempo, perché è mancata –
manca e non solo da parte delle élite
locali –, un’elaborazione sugli avvenimenti a cavallo tra Otto- e Novecento ma
soprattutto una strategia, una visione: come utilizzare il sistema Fucino (dopo
il 1951, oggi, tra vent’anni)?
Un inceneritore, invece di
un impianto legato alla campagna in tale prospettiva, contrasta perciò con il
periodo migliore della nostra storia recente; è anche fuori posto: come i cavoli
a merenda. Il piano di riconversione dell’ex-zuccherificio Sadam mi ricorda la
politica neo-coloniale degli occidentali nel Terzo mondo e nei Paesi in-via-di-sviluppo;
è però una faccenda da sbrigare tra italiani, nella Piana: alcune aree forti a
livello politico-economico e un grosso gruppo industriale premono per insediare
un impianto particolare – non una comune (benvenuta) fabbrica metalmeccanica,
farmaceutica o tessile – in una zona periferica. (E come nel Terzo mondo e nei
Paesi in-via-di-sviluppo, non si scampa dall’indecente spettacolo di chi spiana
la strada ai forestieri).
‘ma tutto questo Alice non lo sa’. (2/2)
Caro Peppe, in riferimento alla domanda che ti ponevi all'inizio del tuo post, proprio ieri leggevo questo pezzo su Le Monde Diplomatique:
RispondiElimina"Come mostrato da Claude Lefort (12), Machiavelli scopre qui una verità scandalosa: in una città libera la legge non è opera della fredda ragione, ma il frutto di contrasti e di desideri ugualmente illimitati, il desiderio del potente di possedere sempre di più e quello del popolo di non essere oppresso. La legge non è mai creata una volta per tutte: essa resta aperta ai conflitti che la portano a riformarsi continuamente."
Articolo "Il sogno dell’armonia attraverso il calcolo" del febbraio 2015.