(Che cosa d’altro nasconde
il mio uso del termine provincialismo). Mi capita di ricordare a qualcuno della
generazione precedente alla mia che l’espressione «Grande guerra» si riferisce
alla prima guerra mondiale e non alla seconda – che pure ha vissuto. Non è
grave da parte loro, poiché fisiologico. (Ignoro se le stesse persone hanno ben
chiaro i nomi – del – degli stati che hanno dato inizio ai due conflitti. È un
altro paio di maniche non conoscere i loro motivi e se vi sono nessi tra il
primo e il secondo).
Non c’entra solo la
distanza (geografica, politica) dai centri di potere.
Parlando di avvenimenti
come la Liberazione, il prosciugamento del Fucino, le lotte contadine e il
collegamento ferroviario con la Capitale – ammesso che i compaesani ritengano
il primo (anche l’ultimo), un accadimento degno di nota –, è raro vederli
collocati in una sequenza temporale, di notare eventuali gerarchie e rapporti. Non
è una questione legata all’oblio, ma dalla mancanza del bisogno di modificare,
di cambiare – per sé e per gli altri.
Siamo perciò alla presenza
di una sorta di tempo sospeso che circola nelle menti dei fucensi, in cui
galleggiano avvenimenti (veri, presunti) alla rinfusa, con buona pace dei rapporti
causa-effetto – come al tempo di Esiodo (VIII-VII secolo a.C.).
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