Le riflessioni precedenti
hanno avuto successo in Italia e immagino proprio da queste parti. Aggiungo
qualcosa.
I pezzi apparsi nei mass media e riguardanti sia l’isola
pedonale sia la categoria dei commercianti – di là del loro contenuto –
nascondono qualcosa.
Si può glissare sul fatto
che – per esempio – il commercio è divenuto un’attività più rischiosa che in
precedenza, all’incirca dal 2000. Andrebbe analizzata però la trasformazione di
molti negozi d’abbigliamento in una sorta di empori – come e più di com’erano
fino a mezzo secolo fa –, negli ultimi cinque anni. Perché? Soprattutto: perché
adesso funzionano meglio?
C’è chi ha continuato a
ristrutturare, a modificare i locali: normale amministrazione, ma non sempre. Io
però, farei un pensierino su qualche riposizionamento.
Si può assistere a grosse
svendite senza entrare nella situazione dell’«outlet temporaneo». (I primi
esempi, a L’Aquila – a quattro anni
dal terremoto).
Abbiamo dall’anno scorso –
sempre al centro – un negozio che vende
birra e ciò richiede uno spazio ristretto; esso è affiancato da un altro, da
poco e con le stesse caratteristiche. (È un errore ricorrente il distaccare l’attività
commerciale da quella delle agenzie immobiliari).
Nel mio libro sui bar d’Avezzano
(2008) c’era l’abbozzo dell’attuale situazione (aperitivi, pranzo). Era in
realtà cambiato qualcosa perfino durante le tre settimane necessarie per la
stampa e la confezione. (Un imprenditore per sé, si muove in modo autonomo – di
là delle associazioni, le corporazioni e le congreghe varie; è anche portato ad
agire più che a lamentarsi o accusare gli altri per le proprie difficoltà. Ho
l’impressione che più di un commerciante del Quadrilatero, non sia in realtà «da
centro»).
Ho continuato a vedere
commercianti che si recano al lavoro a piedi e altri che invece utilizzano
l’automobile, nonostante essi vivano a qualche centinaio di metri.
(Tra le numerose richieste
di firma pervenute, ho accettato questa: «No alla soppressione del Corpo
Forestale dello Stato»).
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