(Tanto per terminare il
«polittico» precedente). La politica ha trattato poco le vicende su cui ho
scritto e in genere la sua attenzione si è appuntata su un paio di temi: a) i
presunti ritardi dei soccorsi; b) la mancata passerella dei politici regionali (della
maggioranza) sui luoghi dei disastri; c) l’inopportuna dichiarazione di Sergio
Bertolucci (Cgr). Me la prendo anch’io con la politica ma provando a scrivere
dell’altro: le precedenti mi sembrano delle critiche riduttive e al contempo,
assolutorie.
Si è preso a studiare le variazioni climatiche dovute – come
sembra – al nostro modello di sviluppo, mezzo secolo fa – anche a parlare dei
loro effetti previsti su larga scala e nel medio-lungo periodo. Risale invece a
vent’anni fa, la vicenda del Protocollo di Kyoto; si sta tentando da
allora di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Abbiamo avuto in molti sotto gli occhi negli
ultimi decenni, almeno una pianta estesa pochi centimetri quadrati della Terra
con il livello degli oceani più alto di un metro rispetto a quello di allora
oppure, il Pianeta ricoperto di deserti.
Ciò che è invece mancato in questo periodo è uno studio locale dell’impatto dovuto al global warming ma soprattutto i provvedimenti da prendere. Un terreno
che ha ricevuto nell’arco di un secolo cinque giorni in meno di pioggia ogni
anno e un acquazzone violento in più ogni cinque anni, è ancora stabile com’era
nell’Ottocento o nel Settecento? (La cosa può interessarmi se ricopro la carica
di sindaco o sono stato nominato assessore all’Urbanistica e perciò sto
immaginando una lottizzazione, un ipermercato o un’area industriale da quelle
parti). Le stesse ricorrenze meteorologiche più qualche copiosa nevicata ogni
cinque anni mi consigliano o no, a istituire una fascia di rispetto, un divieto
di edificabilità per un tratto del lungofiume X? Che cosa mi fanno pensare dei periodi di siccità alternati a
forti nevicate lungo i fianchi di una montagna? I primi flash flood nel Mediterraneo mi hanno incoraggiato o mi hanno fatto
rimandare l’acquisto di una bellissima casetta a piano terra, con il tetto
piano, circondata da una pineta, nella località balneare Y? È generalmente questa la scala dei problemi. Inoltre non è solo
una questione di bollettino delle valanghe o di carte di rischio che mancano;
né tantomeno c’entra una presunta mancanza di «saggezza» popolare: sono stati
proprio i nostri nonni e bisnonni montanari a innescare nel secolo scorso le
catastrofi che si producono a valle, ai nostri giorni. Bisogna impiegare innanzitutto almeno le scienze della Terra.
Non ho esagerato nello scrivere: «bancarotta del pensiero occidentale». Un occidentale è portato a
disegnare una qualsiasi mappa e lasciarla lì; la adora per anni, decenni come
se fosse un dipinto: per lui il territorio è un’equazione. (A = A, sempre). Le cose
invece non stanno in quel modo: viviamo su un pianeta che muta impercettibilmente
ma continuamente – una data su una mappa o una cartina vuol dire anche che essa
ha una scadenza, seppur non indicata.
(C’è anche troppa gente che
si ritrova in montagna, ma si comporta come se soggiornasse in una località
balneare. È sempre valido il consiglio: ‘one
should never be | Where one does
not belong’. Avrebbero dovuto assegnarglielo cinquant’anni fa, il premio
Nobel).
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