Ho notato ingiustificato
entusiasmo sui mass media circa la firma nella nostra zona di un progetto di mobilità
sostenibile promosso dal ministero dell’Ambiente, il 4 gennaio. Come la penso?
Il peccato originale è in
realtà una legge del governo (nazionale) precedente: una sorta di mancia per
piccoli e medi comuni. Piccoli in molti sensi, e mi spiego. È sufficiente dare
una scorsa ai Pums (Piano urbano della mobilità sostenibile) delle principali
città italiane per rendersene conto: Roma (2010), Napoli (2016), Milano (2015),
Torino (2010), Bologna (2016), Ferrara (2014). Un sindaco, un assessore alla
Mobilità si trova difronte a determinati problemi quotidianamente e in modo tutt’altro
che accademico; si parla perciò d’infrastrutture
e di riduzione del traffico automobilistico privato in termini percentuali in quegli strumenti. (Si
tratta anche di giudicare le proprie politiche dai risultati ottenuti). Si
parla perciò di cemento, pullman, «ferro», filovie, asfalto, carrozze della
metropolitana: quattrini a palate; ci si pongono degli obiettivi come nelle
convenzioni per il clima: bisogna ridurre gli spostamenti in automobile di uno x% entro l’anno 20XY.
Il Programma sperimentale nazionale di mobilità
sostenibile casa-scuola e casa-lavoro, parla di – copio,
incollo e correggo dal sito del Ministero: «finanziamento di progetti, predisposti da uno o più enti locali e
riferiti a un ambito territoriale con popolazione superiore a 100.000 abitanti,
diretti a incentivare iniziative di mobilità sostenibile, incluse iniziative di
piedibus, di car-pooling, di car-sharing, di bike-pooling e di bike-sharing, la
realizzazione di percorsi protetti per gli spostamenti, anche collettivi e
guidati, tra casa e scuola, a piedi o in bicicletta, di laboratori e uscite
didattiche con mezzi sostenibili, di programmi di educazione e sicurezza
stradale, di riduzione del traffico, dell’inquinamento e della sosta degli
autoveicoli in prossimità degli istituti scolastici o delle sedi di lavoro». Nel
Pums di Torino si trova, appunto: «il completamento del passante ferroviario e
delle linee di metropolitana». È
tutt’altra musica o no? È politica, amministrazione
soprattutto. Per completare tali infrastrutture è necessario un corposo intervento
dello stato centrale e questo ci sarà sicuramente trattandosi di una città che
contiene almeno cinque volte gli abitanti della zona interessata al nostro
progetto biennale di mobilità sostenibile (L’Aquila,
Avezzano, Sulmona, Celano, Pratola Peligna). Nell’intestazione del recente Pums redatto nel
capoluogo felsineo appare anche l’espressione Città metropolitana, mentre il
nostro – inspiegabilmente, almeno per il sottoscritto –, è disperso in tre aree della provincia dell’Aquila. Chiedo:
si può ancora parlare di «ambito territoriale»?
Con
le risorse messe in campo dal ministero
invece, ci puoi organizzare qualche incontro, lezioni con gli studenti,
gitarelle in bici alla scoperta dei musei e delle bellezze naturali locali, il Piedibus
e qualche nutrito, spettacolare convegno al Teatro dei Marsi per pochi intimi –
con lunghe interviste alla giunta, foto di gruppo con il sindaco, battage
pubblicitario e (scontato) ricco buffet. (Il Piedibus poteva
partire nell’anno scolastico 2015-16 ad Avezzano, potendo interessare e invece
rimarrà congelato almeno fino a tutto il 2017). Il Piedibus è in genere un’iniziativa
di un gruppo privato appoggiata o no dalle istituzioni locali e lascia allibiti
sapere che una simile proposta proviene invece da un ministro della Repubblica.
Non si avrà perciò una campagna nazionale, unitaria,
con materiali prodotti a livello centrale e poi diffusi in modo capillare in
lungo e in largo per la Penisola, bensì tante piccole iniziative sparpagliate –
con mance redistribuite a km 0.
Ho l’età per ricordarmi
come fu affrontato il problema degli attacchi alla magistratura durante i
cosiddetti anni di piombo. Sarebbe stato necessario almeno formare i ragazzi, i
giovani italiani tra le medie e le superiori con dei corsi intensivi di
Educazione civica, per evitare che qualcuno andasse a sparare a qualche
magistrato mentre era al lavoro o che piazzasse un’auto-bomba davanti a un
tribunale. È stata imboccata questa strada che richiedeva molti soldi ma
soprattutto dei tempi medio-lunghi? No, si è preferito apporre un banale
divieto di sosta intorno ai nostri tribunali.
Giova
ricordare che il comune capofila del progetto, ha disapplicato quasi per intero
il proprio Pgtu (2003); lo stesso tema della mobilità sostenibile è stato
ignorato con sistematicità e accuratezza negli ultimi cinque anni: Avezzano non
è certo un’autorità in materia. (Ignorare il Pgtu vuol dire soprattutto mancanza
di punti di riferimento: che può inventarcisi oltre ai circenses?). Ignoro il motivo
per cui il capoluogo marsicano, abbia scavalcato nientemeno che L’Aquila in
quest’occasione. La questione al solito – non mi stanco di ripeterlo – è:
rimediare almeno ai danni provocati da almeno mezzo secolo di sviluppo edilizio
incontrollato nelle nostre città. (Come
trattare argomenti come il traffico locale e l’inquinamento da esso prodotto
senza un briciolo di dati sull’uno e l’altro? Perché si è sempre evitato
d’istallare una centralina per il controllo dell’aria: paura di dover chiudere
il Quadrilatero in periodo di «secca» sotto Natale? Perché gli amministratori
dell’ultimo trentennio non hanno istituito un’isola pedonale, fosse anche di
cinquanta metri? Infine: che cosa può aspettarsi l’avezzanese medio da una simile
occasione?).
Non ho francamente capito – è colpa mia –, per
quello che ne so fino al 3 gennaio il motivo per cui tra i numerosi partner del
comune d’Avezzano in detto progetto, mancano quelli che si occupano di
trasporto su ferro e su gomma a scala nazionale o regionale (Rfi, Tua). Non ho
idea di come andrà a finire, se il progetto presentato dagli avezzanesi sarà
accettato e finanziato. A una dozzina di chilometri da queste parti, è apparso
lo spettro della chiusura della stazione ferroviaria Celano-Ovindoli, l’anno scorso.
È sicuro che i celanesi siano tanto
entusiasti di aderire a tale progetto?
La nostra partecipazione
almeno secondo me – posso sbagliarmi – non è per smuovere le coscienze riguardo
alla mobilità sostenibile, quanto per provare a vincere, racimolare dei
quattrini. (È poco elegante o sconveniente – ça va sans dire –, trattare argomenti legati alla mobilità nel
periodo precedente l’esito, perciò bocca chiusa per i prossimi dieci-undici
mesi – campagna elettorale delle Amministrative compresa). Potevano comportarsi
diversamente i Comuni che hanno partecipato al bando? Non lo so. (Se per caso un
bike-sharing dà dei buoni frutti, che
cosa succederà allo scadere dei due anni? Proroga, pista ciclabile, dell’altro?).
Che cosa resterà in piedi alla fine di tal progetto – ammesso che sia accettato
–, di concreto, durevole? Niente, troveremo giusto qualche comunicato del Comune spacciato
per articolo e qualche foto nel web: advertisement. E dopo i due anni della
convenzione si tornerà alla maniera usuale, si riprenderà finalmente a sgassare
senza patemi d’animo: BRUM, BRUM, BRUM!
I sindaci contro il diesel
RispondiEliminaSeguendo l’esempio di tokyo,
altre quattro città – Parigi, Città
del Messico, Madrid e Atene
– metteranno al bando i motori
diesel entro il 2025, incentiveranno
i trasporti pubblici urbani
e investiranno in infrastrutture
per gli spostamenti a piedi
e in bicicletta. La decisione è
stata presa al vertice dei sindaci
C40, che si è tenuto a Città
del Messico, come misura per
ridurre l’inquinamento e tutelare
la salute dei cittadini. rispetto
al motore a benzina, il
diesel rilascia meno anidride
carbonica, ma può generare
maggiori quantità di polveri
sottili e ossido di azoto.
Internazionale, settimanale, n. 1183