Ho accennato ai
pluridecennali dissidi tra chi andava in montagna e i rappresentanti dei
cittadini, nel post precedente. (Sto esprimendo delle opinioni circa gli ultimi
terremoti, il panico legato alle nevicate lungo la costa adriatica, l’hotel Rigopiano,
l’elicottero schiantato durante un’operazione di soccorso. Gli ultimi due casi
sono più delicati, essendoci scappati numerosi morti). Rappresentavano bene i
cittadini – i loro interessi –, gli amministratori di trenta, quarant’anni fa?
Noi pensavamo che essi obbedissero ai desideri dei gestori delle funivie – non
gli albergatori, i maestri di sci, quelli che avevano una locanda.
(Sbagliavamo, ci avevamo preso giusto?).
Ne è passata tanta di acqua
sotto i ponti e il tempo ha anche permesso il confronto con altri protagonisti
delle vicende economiche italiane. Si è sparlato abbondantemente dei Torlonia
durante il Centenario del terremoto eppure ammiriamo ancora le trasformazioni
che i principi hanno impresso nella zona; la nostra breve storia industriale ci
consente giusto di fare raffronti con situazioni analoghe altrove e in ogni
modo, ci restano dei manufatti di tutto rispetto. (La nostra classe politica –
monarchica, repubblicana – avrà fatto bene o male a intrattenere stretti
rapporti con gli uni e gli altri: possiamo in realtà affermare di avere come
marsicani o italiani qualcosa di solido alle spalle che somiglia a una storia).
Il turismo è inaccostabile agli esempi precedenti un po’ per questioni di tipo
anagrafico, un po’ perché lascerà dietro di sé solo macerie e devastazione; c’è
anche da considerare, la ripetizione dello stesso schema sperimentato per
l’industrializzazione negli anni Sessanta nel Mezzogiorno: imprenditori con
scarsa o nulla esperienza. (Mantenere un ristorante o un albergo in montagna è
più complicato che stare seduto accanto alla cassa o nella reception). Mi è capitato di scrivere che la Regione è stata
incapace di elaborare una politica industriale all’altezza dei tempi ma nel
caso del comparto turistico si può parlare tranquillamente di pressoché totale
improvvisazione.
È stata perciò lasciata
carta bianca agli operatori; oggi ci troviamo delle strutture costruite dove essi
ritenevano più opportuno – con quel che costa mantenere i collegamenti in
efficienza durante il periodo invernale. (In caso di difficoltà ci si rivolge
«allo Stato» più che all’amministratore che ha lasciato correre qualche
marachella). Già: chi paga le turbine, gli spazzaneve, gli spalatori?
L’ultimo episodio sembra
semplice ma non lo è: un elicottero del 118 si alza per un infortunio, una
vicenda che è di pertinenza di un reparto ortopedico – a quanto è stato
riferito da testate giornalistiche. (È purtroppo finita male, con cinque
soccorritori – carichi di esperienza – morti). Mi chiedo: che cosa sarebbe
successo nel caso di uno sciatore, un turista, un escursionista con un
principio d’infarto, d’ictus? Avrebbero
invocato lo Shuttle, Speedy Gonzales, una squadriglia di F-15, i Seals? (Immagino
che si ponga la stessa domanda un pescinese o un tagliacozzano cui hanno
ridotto l’ospedale; anche uno degli undici
milioni di connazionali – su circa sessantuno – che non ha abbastanza
denaro per curarsi. Era la prima volta?). Negli ultimi due-tre lustri abbiamo
assistito a persone che hanno evitato di vaccinare i propri figli e altre che
hanno denunciato un ospedale dopo una degenza o un intervento chirurgico – è
stata una pacchia per i talk show. Le
seconde sono utili per comprendere il nostro caso: un medico che lavora in un
ospedale deve tenersi – ormai da anni – il più possibile al riparo da eventuali
denunce di ex pazienti insoddisfatti e dei loro parenti eccessivamente
premurosi. Quanto costa alle casse dello stato quest’ondata di superstizione e
di oscurantismo? Quanto sborsa il contribuente per il turismo montano invernale
in Abruzzo?
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