Si
tratta un gran numero di argomenti da parte dei candidati in questa parte di
campagna elettorale; loro discutono in modo superficiale soprattutto perché non
sono abituati a farlo. (È bene riconoscere che è solo un modo di attrarre
l’attenzione dei mezzi d’informazione e lascia il tempo che trova). Si tratta talvolta
di solipsismi, sono invece coinvolte altre persone in genere. È spuntata
nuovamente alla ribalta la questione dell’isola pedonale e ne scrivo giusto
perché ho del tempo da perdere mentre ascolto in sottofondo una registrazione
targata Shankar-Glass: tanto, non se ne farà nulla in questo scorcio di
consiliatura.
Si
è fatto un uso ideologico di tale tema da parte di molti come raccontai anni
addietro, essa è divenuta in seguito oggetto di contrattazione politica e ne è sortito
un gioco delle parti che con il passare del tempo ha cominciato a stancare. Nascosi
in una nota (pleonastica) di una pubblicazione questa costatazione: «L’isola
pedonale fa parte anch’essa del repertorio della città europea, in qualche modo
da quarant’anni», in Dimenticare-Vergessen,
2014, p. 59. (Le note dopotutto, chi le legge?). La spiego con due semplici esempi.
Volendo un sindaco costruire una chiesa, una moschea, una sinagoga o un tempio
buddhista non va mai a chiedere il
beneplacito, il nullaosta presso gli atei, i mazdeisti o i rastafariani; allo
stesso modo, quando è partito l’iter per la costruzione del Teatro dei Marsi,
nessuno dentro il municipio ha pensato nemmeno lontanamente di consultare i benzinai, i forestali, i
pizzaioli – numerosi già allora –, gli idraulici né tantomeno i gestori dei tre
cinema allora aperti. Nessun carpentiere, ragioniere o panettiere esclamò nel
secondo caso: «Dovremo cambiare lavoro quando aprirà il teatro!». È anche il
caso di ripetere: non è obbligatorio
per un Comune istituire un’isola pedonale, né costruire un palazzo del ghiaccio
o ricavare una piazza in un nuovo quartiere.
Negli
ultimi anni ciascuno è stato libero di esprimere la propria opinione contro o a
favore, ma è l’Amministrazione che doveva decidere
in autonomia e non l’ha fatto. Di peggio. È stata messa sullo stesso piano – da
parte delle istituzioni – l’opinione di un’associazione ambientalista
(interessi diffusi) e quella di un’associazione di categoria (interessi
particolari). Le idee dei residenti nella zona interessata invece, non sono
state prese per niente in considerazione. Già, come si fa a conoscere il parere
di noi del centro – anche quello degli artigiani, dei liberi professionisti che
lavorano nella zona? Qui si torna al potere decisionale non esercitato: un
amministratore ascolta tutte o quasi
le campane e poi decide. Non si è arrivati al quasi tutte, nel nostro caso e si
è preferito temporeggiare, lasciar correre per non inimicarsi la categoria dei
commercianti – quella che decide i sindaci, per intendersi.
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