Riprendo
dal post precedente; sono d’accordo per una volta tanto con il mio sindaco – la
prima in quasi cinque anni –, anche se in parte. (Per ogni negozio che chiude
ve ne sono almeno un paio che aprono, stando alle cifre a disposizione; «le
chiusure in centro, dove c’è anche chi si sposta in zone meno care, spesso sono
generate da proprietari che chiedono affitti paragonabili a quelli di via
Condotti a Roma o di via Montenapoleone a Milano»). Poco dopo una testata aveva
titolato: Il sindaco Di Pangrazio attacca
Confcommercio e Confesercenti: “Nessuna desertificazione del centro città, il
dato sul commercio ad Avezzano è positivo”, in «AvezzanoInforma» 27 febbraio.
Secondo me polemizzava soprattutto con più di un organo d’informazione della
zona, uso a lamentarsi sistematicamente. (Altro che super-tecnico prestato alla
politica, questa è alta scuola democristiana: gli altri concorrenti alle
Amministrative sono avvisati).
Sono
stato il primo a impiegare il (pessimo) termine «desertificazione» per il
centro, in seguito ho spiegato che cosa intendevo e ci torno sopra di nuovo. Il
Quadrilatero di quaranta, cinquant’anni fa conteneva più residenti, artigiani e
alberghi ma meno negozi, uffici e bar di oggi; era maggiormente frequentato per
via delle scuole (pubbliche, private), le medie superiori in particolare perché
gli adolescenti – a differenza degli altri – si facevano notare in giro. (Le
cantine sono state almeno rimpiazzate dai bar). Vi abitava perciò almeno il doppio degli attuali
residenti ed era un luogo più frequentato anche per la presenza del mercato (frutta
e verdura, ingrosso) nella piazza omonima; vi erano più negozi di prodotti di
uso comune e meno di abbigliamento.
È
cambiata molto Avezzano in questo lasso: è cresciuto il numero dei residenti ed
è aumentata la superficie del costruito; si è trasferito altrove o ha cambiato
zona della città, chi ha abbandonato il centro. (Nessuno si chiede ovviamente, come o da dove sono spuntati tanti negozi e uffici: piovuti dal cielo o
derivano dalla modificazione di altri spazi?). Il Quadrilatero è punteggiato di
spazi (residenziali, artigianali,
commerciali) obsoleti, ai nostri
giorni – perdonate l’insistenza. Le testate giornalistiche – ma non solo esse,
purtroppo – ripetono a pappagallo il ritornello delle associazioni dei
commercianti: «Le saracinesche abbassate…», ma la situazione è più complicata. Ci
vorrebbe un romanzo di almeno trecento pagine per ricostruire quella complessità
perché si tratta di un mondo ormai scomparso.
Abbiamo
costruzioni abbandonate ormai da decenni al centro e si tratta di ex-spazi
residenziali, artigianali, commerciali che bastavano per l’uso che se ne faceva
a suo tempo. Le istituzioni si sono date molto da fare a livello legislativo per
restaurarle, recuperarle, sostituirle ma i risultati sono scarsi. (La religione
ufficiale in Italia, seppur non dichiarata, è quella del «mattone»). Chi
possiede simili costruzioni non spende un centesimo per la manutenzione da decenni;
i proprietari si recano presso la vecchia proprietà giusto per sbarrare porte e
finestre – per evitare spiacevoli intrusioni. In pratica: c’è il copione ma
mancano gli attori.
Come
sarà il Quadrilatero tra dieci, vent’anni? Uguale a oggi, all’incirca: qualche
vecchia casa in pietra sarà abbattuta perché pericolante. (Non è detto che in
tal caso la nuda terra sia più appetibile agli investitori, perché vi sono delle
aree particolarmente risicate). Le ragioni di tutto ciò vanno però ricercate
nella ricostruzione seguita al terremoto del 1915 e non nelle politiche delle Amministrazioni
recenti.
Tutto
ciò sfugge alle categorie e alla narrazione in uso dalle nostre parti e per
questo più di uno, si lancia nelle proposte più strampalate per «rivitalizzare»
un pezzo di via C. Corradini – diciamo
le cose come stanno. C’è chi addirittura parla di «ripopolare» di negozi il
centro come se si trattasse di immettere cinghiali in un bosco o trote in un
fiume, come se non ve ne fossero già abbastanza. Bisogna invece capire in quale
processo si trova invischiata Avezzano, a che cosa tende come prima cosa,
mettendo da parte – in modo letterale – gli interessi di bottega. Dobbiamo perciò
rassegnarci a vivere ancora per molto tempo in un posto dove soprattutto
all’imbrunire si notano case e negozi con le luci spente; dovremo mettere in
conto anche la vista di qualche terreno incolto al centro – com’è stato fino alla
fine degli anni Sessanta del secolo scorso.
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