lunedì 21 agosto 2017

Et moi dans mon coin | Si je ne dis rien

È roba di un mese fa ma mi va di scriverci sopra anche perché mi è piaciuto poco il resoconto che ne è stato dato sui mezzi d’informazione (IlCapoluogo, Il Centro e Il Messaggero del 24 luglio). Mi riferisco all’incontro tra l’assessore all’Ambiente e le associazioni ambientaliste locali – io ero stato invitato a titolo personale. (Non ho approfittato dell’occasione per ringraziare Crescenzo Presutti per avermi fatto ritrovare in quel posto con altre persone a me simili dopo sessantadue mesi).
La presenza (apprezzabile) di un paio di assessori e altrettanti consiglieri, non è stata in realtà l’unica novità registrata in quella circostanza; gli stessi soggetti non si confrontavano in quel modo da anni come ho appena ricordato e soprattutto non si è assistito – da una parte – alla solita, scontata sequela di richieste, rimbrotti e lamentele. Si è trattato in quella riunione (informale) almeno di aggirare il muro eretto negli ultimi cinque anni tra sindaco e associazioni ambientaliste. Il canale che è stato aperto o restaurato dall’assessore tra istituzione locale e pezzi di società, è senza dubbio preferibile alla situazione precedente – almeno secondo una maniera di comportarsi democratica.
È purtroppo valida l’immagine che ho tratteggiato anni fa, quella di un’Avezzano asserragliata intorno alla piazza principale per difendersi dalla modernità, dai cambiamenti con il suo pittoresco armamentario di dialetto e tradizione inventati – anche di leggende. (Si sono aggiunte nel frattempo le sfilate in costume). Le cose sono cambiate oltre queste montagne negli ultimi decenni e anche la maniera di trattarle, raccontarle anche se da noi si è fatto finta di niente. Porto un paio di esempi.
Tiziano Collacciani (WWF) ha citato en passant l’isola pedonale «istituzionale» in quell’incontro: la cosiddetta crocetta. Io scrivo in modo diverso su tale argomento da anni, qualcuno che mi segue – non solo sul blog – si sarà pur chiesto come mai. È facilmente immaginabile. Ho trovato l’isola pedonale inserita nel repertorio architettonico del Novecento stilato da uno storico dell’architettura – non da un economista, un atleta o un biologo. Mi sono perciò adeguato al livello della discussione in quel settore – succede così in Europa dal Seicento: ti allinei oppure confuti; tratto da allora un pezzo di strada chiuso al traffico motorizzato allo stesso modo di un edificio, un tema collettivo o un altro elemento «bidimensionale» come la piazza.
Il caso ha voluto anche che m’imbattessi in un servizio sulle piste ciclabili in Olanda, ancora nel mese di luglio. (Qualcuno, ma non ricordo chi, aveva proposto una «pista ciclabile estiva» al centro durante la scorsa campagna elettorale per le Amministrative). All’intervistatore che chiedeva i motivi per cui erano state realizzate piste per decine o centinaia di chilometri in città, il sindaco di turno rispondeva che esse erano state finanziate e poi realizzate per sottrarre spazio ai mezzi motorizzati, alle automobili in particolare. Per costruire centinaia di chilometri di piste ciclabili in un medio agglomerato urbano occorrono dei decenni d’impegno economico ma non solo e presumibilmente amministrazioni locali di diverso colore politico: continuità amministrativa e di tipo particolare. Occorre soprattutto una politica del trasporto.
Ho messo i piedi per la prima volta in un’isola pedonale quarant’anni fa (Francoforte sul Meno); sono capitato nello stesso posto poche settimane prima della caduta del Muro e la sua area era stata addirittura ampliata. (Ci aveva pensato la Cdu, la Spd?). Si tratta nei due casi (Olanda, Germania Occidentale) d’iniziative partite probabilmente dal basso e da quattro gatti ma fatte proprie e attuate, mantenute dalle popolazioni e dalle istituzioni locali.

Non mi resta che augurare seppur tardivamente un «In bocca al lupo» a Presutti, che si trova ad agire nel ginepraio avezzanese.

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