Tutto è cominciato il mese
scorso da un brano apparso su un dépliant edito da Pro loco Avezzano in cui si
accennava a delle: «polemiche verso l’operato del Comitato Organizzativo,
accusato di inefficienza organizzativa e di allestire eventi di mediocre
livello qualitativo». (Tali critiche risalivano agli anni Cinquanta ed erano
riferite alla Settimana Marsicana). Io
ribattevo a chi me l’ha fatto notare: «Le persone, i giornalisti di
sessant’anni fa erano fatti di un’altra pasta rispetto a quelli di oggi».
Rimaneva il silenzio sulle ultime due edizioni (2016, 2017), questo sì.
La questione è in realtà più
complessa di come l’ho inquadrata sia io sia gli altri. («Impossibile | due
volte discendere | nel fiume medesimo», Eraclito, XXII).
Ho messo i piedi alla Settimana Marsicana per caso, lo scorso
3 agosto. Avevo incontrato un amico a dissetarsi alla fontanella di piazza
Torlonia e lui mi aveva chiesto di accompagnarlo nel Parco, giusto per il tempo
di trovare il gazebo dell’Avezzano Rugby. Le poche cose che io ricordo di
quella brevissima escursione, sono un paio di balle di paglia – immagino sistemate
a caso –, un asino con il tricolore al collo da utilizzare per eventuali selfie – così era spiegato in un
cartello – e una gigantografia dei primi rugbisti locali – ho riconosciuto
diverse facce per ragioni di tipo anagrafico, a differenza del mio amico.
Potrei cavarmela in modo
sbrigativo scrivendo che l’età del format, il mezzo secolo che intercorre
dall’ultima edizione a quella dell’anno passato, non poteva non farsi sentire
tutto ma provo invece a prenderlo come punto di partenza.
Quella maniera di
organizzare manifestazioni è in realtà esplosa negli anni Sessanta; il contenitore non aveva più molto senso,
alla fine di quel decennio: si stavano affermando già il festival canoro,
quello teatrale, la mostra di pittura, la gara ciclistica, il mercato, la fiera
locale di qualcosa. Ciascuna manifestazione si teneva per proprio conto, ben distinta,
riconoscibile e soprattutto, proiettata a
scala nazionale. Tali novità hanno fatto breccia anche da noi, seppur a
rilento. (Il «personaggio famoso» è appannaggio da alcuni lustri del Concerto di Natale). Segnalo anche un
altro cambiamento – nella seconda metà degli anni Settanta – dovuto essenzialmente
all’Estate Romana proposta da Renato
Nicolini e alla proliferazione delle associazioni culturali. (Quell’esperienza
è giunta nel decennio seguente, ad Avezzano e non è difficile immaginare quanto
poco sia stata compresa da noi – a Roma il decentramento delle iniziative
mentre da noi è stato riversato tutto in piazza Risorgimento, tanto per dirne
una). Il nostro presente ha una sua radice negli anni Ottanta quando quattro,
cinque associazioni culturali promuovevano eventi – anche didattica – per tutto l’anno. Il mondo della
politica locale scoprirà tale tipo d’associazioni nei decenni successivi e ciò
farà crescere il loro numero; non si baderà più alla professionalità:
l’importante è controllare dei gruppi di persone con il loro seguito e allungare
dei fondi a quanti più soggetti possibili soprattutto in vista delle
Amministrative. Abbiamo perciò lasciato alle spalle quelle quattro o cinque piccole
rassegne l’anno con dietro almeno un progetto per una cinquantina
d’appuntamenti diversi, soprattutto d’estate. (Eventi Estate degli ultimi anni, per intendersi). È l’oggi:
Avezzano ha diminuito il numero delle occasioni per attrarre pubblico da fuori
mentre i paesi vicini presentano in alcuni casi una migliore offerta culturale,
soprattutto in estate e non solo per i pochi turisti. (1/2)
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