sabato 15 settembre 2012

KsLT 6

A dicembre se ne saprà di più della relazione su cui sto scrivendo, uno studio che è finanziato dal ministero dello Sviluppo economico e dal Comitato Abruzzo (Confindustria, Cgil, Cisl, Uil). M’interessa di scoprire quale ruolo sarà svolto dal concetto di smart city, nella redazione finale.
Io credo poco che un’area disomogenea riesca a svilupparsi maggiormente dopo una catastrofe che ha interessato una sua parte, tra le più de-sviluppate: «L’Aquila e la regione Abruzzo hanno l’opportunità di diventare un prototipo e un modello come moderno luogo di vita del XXI° secolo», 2.1.13.
C’entra poco anche la: «volontà di decidere prima quello che vogliamo diventare e di ricostruire in un secondo tempo in funzione di queste decisioni», 2.1.12. (Scrivere una cosa del genere è un omaggio alla
storia di L’Aquila; scriverlo a 3 anni dal terremoto e con la ricostruzione che va a rilento, si rischia il ridicolo). C’è – per il momento – una strana commistione tra la smart city, il terremoto più in generale e la scarsità di risorse per la ricostruzione.
Un altro paio di questioni. Come si può: «migliorare la prevenzione del rischio e mitigare gli effetti di disastri naturali»? Nella relazione c’è una vecchia idea, già sperimentata – non sempre con successo – nelle metropoli: affidare un’opera architettonica ad una firma: «architetti di fama mondiale e di livello internazionale», 2.4.34. Ha bisogno di questo il cumulo di macerie e puntellamenti che noi chiamiamo L’Aquila, i cui cittadini hanno manifestato – di recente – contro il progetto (Renzo Piano) e la costruzione (pagata dalla provincia autonoma di Trento) di un auditorium temporaneo? Pier Luigi Cervellati e Salvatore Settis hanno denunciato, da tempo, il «rischio Pompei» per il centro storico del nostro capoluogo.
Mi lascia indifferente la faccenda di una nuova immagine, di un nuovo brand di L’Aquila e dell’Abruzzo nel mondo, per rilanciarla (in senso turistico) pur restando tagliata fuori del circuito nazionale.
Mi mette i brividi leggere: «è necessario che il processo di ricostruzione del centro città [...] sia intrapreso in modo da incoraggiare un più vasto rinnovamento urbanistico di lungo termine, in maniera da rafforzare le risorse immobiliari private e pubbliche e in modo da far sì che tutta la zona attragga maggiori investimenti nel
futuro», 2.3.25. L’Avezzano dei nostri giorni è rinata così, dopo il terremoto del 1915: auto-distruggendosi e consegnandosi agli speculatori di mezz’Italia. (3/3)

1 commento: