sabato 20 settembre 2014

I Panini ad Avezzano


Temo una sfilza di pubblicazioni sul terremoto simile agli album delle figurine Panini, l’anno prossimo: bulimia d’immagini e una ventata di passione all’inizio, poi più niente dopo qualche mese. Ogni cittadina si sta preparando in tal senso, immagino. Qualcuno non ce la farà o metterà in circolazione materiale non degno di considerazione e così si avrà – a livello editoriale – un «cratere» bucherellato, mentre la scossa sismica di un secolo fa fu rigorosamente unitaria.
Sarà facile notare lacune in ogni modo, proprio come i gonfi quadernoni della Panini. Che cosa potevano aggiungere a ciò che già conoscevamo da radio, giornali sportivi e tv, quelle fotografie (a colori)? Erano immagini di singole facce (sbarbate e pettinate) mentre noi eravamo abituati a corse, stoppate, sudore, guizzi, dribbling e tiri, al gioco di squadra soprattutto – era raro vedere un primo piano seppure sgranato e in bianco e nero, in quegli anni. La posizione delle figurine ci indicava il ruolo del calciatore cui si riferiva, ma noi si sapeva che al terzino X piaceva sconfinare nella metà campo avversaria o che l’ala Y dava man forte alla difesa, di quando in quando. (È bene ricordare in questa sede e per quest’occasione che in fondo era collocata la «panchina»; c’era poco posto per tutta la rosa della squadra e la scelta cadeva su chi avrebbe giocato di più).
È altrettanto o più complicata la storia di una città rispetto a un campionato di calcio.
Che cosa può mostrare – a noi e ad altri –, il dagherrotipo di un edificio distrutto dal terremoto o di una strada cancellata dalla ricostruzione? A chi interessa la riproduzione della pianta di una stanza (nemmeno nove mq, con un soffitto a quattro metri)? Il disegno di un corridoio lungo sei metri? La facciata di una casa? (Non avevamo un’architettura degna di nota, dalle nostre parti). Conosciamo non molto come usavano gli spazi (privati, pubblici) i marsicani del secolo scorso ma ancor meno le vicissitudini (precedenti, seguenti) del pezzetto di terreno su cui insisteva la costruzione raffigurata in una vecchia immagine.
È mancato un lavorio di tipo storiografico, come ripeto da anni – che è essenzialmente scrittura. Non ho notato nemmeno un briciolo di curiosità nell’incrociare dati vecchi e nuovi, nel porsi delle domande almeno sulle questioni rilevanti della ricostruzione.
Vedo invece una sorta di frenesia nella ricerca di vecchie fotografie o cartoline e nella caccia all’«inedito» che deriva dalla mancata cernita dei materiali oggi a disposizione. (La scelta è invece un’operazione necessaria almeno quando si pubblica su carta; il Web aggira invece tale operazione, con il suo sterminato spazio a disposizione). Molte immagini sono in realtà già state scartate – perché giudicate inservibili – da chi ci ha preceduto nei decenni passati nel nostro processo collettivo – per quanto incerto, lacunoso e maldestro – per elaborare e tramandare il ricordo di quel triste evento. (M’immagino molti: «Non ce l’ho… non ce l’ho…», tra non molto).
(Territori in movimento/per Comitato Pescina 2015, 3 2014)

Nessun commento:

Posta un commento