Il pezzo precedente si
trova alla pagina 2 del link; consiglio (caldamente) di leggere anche il resto,
un po’ perché merita, un altro po’ perché mi appoggio a esso:
Riassumendo: a) ho
raccontato in generale di ciò che succede nella Marsica da decenni, b) ho
trattato essenzialmente d’artisti, di figure che a forza di ripetere la stessa
inquadratura di un paesaggio riescono infine, a carpirne qualche segreto e
mostrarlo agli altri, c) ho ragionato secondo la mia esperienza e la mia posizione
geografica (Avezzano).
Ho preso coscienza dell’intellighenzia locale, solo dopo aver
conosciuto un po’ il mondo circostante; ci si era giusto incrociati per via
della dimensione della cittadina. (Sono tornato definitivamente da queste parti
a quasi 33 anni, dopo un buon numero di mostre, letture, concerti, pezzi di
teatro e film. Avevo in mente di mettere i piedi in un paesino di montagna come
tanti, tornando; «Non arrivano nemmeno i giornali!», ripetevo ai pochissimi
milanesi che conoscevo).
Mi ponevo allora domande
del genere (ne ho già trattato altrove): che tipo di pittura si faceva da noi,
quando M. Rothko dipingeva Red, Yellow,
Red, oppure R. Rauschenberg i White
Paintings? Che cosa si scriveva di critica letteraria ad Avezzano, quando
G.C. Roscioni pubblicava La disarmonia
prestabilita (1969)? Dopo dieci, venti, trenta, quarant’anni dalla sua
uscita, c’è qualche libro del genere locale, che si può avvicinare – in qualche
modo – a quella raccolta di studi su C.E. Gadda?
(Una domanda retorica). Quando
C. Ginzburg ha iniziato a pubblicare la sua serie di libri un po’ strani, da
noi si era giunti alla fase delle Annales
oppure ci si trovava ancora alla storia come racconto di re crudeli,
principesse capricciose e battaglie perse, ma con onore?
M’interessa perciò il rapporto tra ciò che era prodotto da noi
e ciò che proveniva dalle capitali della cultura: essere dei provinciali esige almeno
qualche sforzo d’imitazione e di copiatura, in ogni modo. Non è stato purtroppo
così da noi, in numerosi settori dell’arte e della conoscenza, perché le
persone deputate a farlo ignoravano o non riuscivano a decifrare certi prodotti
dell’ingegno. (1/4)
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