domenica 5 ottobre 2014

as friends and other strangers


Ci si è scambiata qualche idea su piazza A. Torlonia parlando con una vecchia conoscenza, un paio di settimane fa. Immagini diverse, dovute all’orario della frequentazione: io ci vado alla controra e incontro tre o quattro persone, oltre a restare immerso nel silenzio. È scappata a un certo punto – non a me – la classica: «Mica sono razzista, io!».
È uscito questo, il 1°:
Raccontiamola tutta. Un partito politico scrive degli striscioni (due), poi li affigge, immagino che li fotografi (proprio necessario?), scrive un comunicato esplicativo sul brevissimo testo dello stesso (proprio necessario?) e lo spedisce (immagino, anche in questo caso) insieme alle foto a qualche testata (proprio necessario?). Per portare a conoscenza la cittadinanza dell’avvenuta affissione di due striscioni, immagino.
Diffido dei politici in generale quando parlano di città: in genere coprono delle speculazioni immobiliari. Non è questo il caso in esame – a onore del vero –, e ne tratto perché vale la pena d’interrogarsi sull’idea di spazio che c’è dietro a tale iniziativa. Manca un’idea di spazio in realtà perché esso è dato dalla città fisica e dai suoi abitanti: nel comunicato si parla prevalentemente di passaporto e fedina penale. (Non c’è nemmeno la memoria delle trasformazioni urbane recenti in Occidente). Manca perfino la conoscenza d’Avezzano tout court: non si può attaccare lo stesso striscione in posti della città che hanno problemi differenti (piazza A. Torlonia, piazza G. Matteotti). (Non fa male leggere Marc Augé di Non-Lieux).
Ho scritto questa roba su piazza Torlonia:
(Dovrei scrivere qualcosa su piazza Matteotti, a questo punto).

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