Ci si è scambiata qualche
idea su piazza A. Torlonia parlando con una vecchia conoscenza, un paio di
settimane fa. Immagini diverse, dovute all’orario della frequentazione: io ci
vado alla controra e incontro tre o quattro persone, oltre a restare immerso
nel silenzio. È scappata a un certo punto – non a me – la classica: «Mica sono
razzista, io!».
È uscito questo, il 1°:
Raccontiamola tutta. Un
partito politico scrive degli striscioni (due),
poi li affigge, immagino che li fotografi (proprio necessario?), scrive un
comunicato esplicativo sul brevissimo testo dello stesso (proprio necessario?) e
lo spedisce (immagino, anche in questo caso) insieme alle foto a qualche
testata (proprio necessario?). Per portare a conoscenza la cittadinanza dell’avvenuta
affissione di due striscioni, immagino.
Diffido dei politici in
generale quando parlano di città: in genere coprono delle speculazioni
immobiliari. Non è questo il caso in esame – a onore del vero –, e ne tratto
perché vale la pena d’interrogarsi sull’idea di spazio che c’è dietro a tale
iniziativa. Manca un’idea di spazio in realtà perché esso è dato dalla città fisica e dai suoi abitanti: nel comunicato si parla
prevalentemente di passaporto e fedina penale. (Non c’è nemmeno la memoria
delle trasformazioni urbane recenti in Occidente). Manca perfino la conoscenza
d’Avezzano tout court: non si può
attaccare lo stesso striscione in posti della città che hanno problemi
differenti (piazza A. Torlonia, piazza G. Matteotti). (Non fa male leggere Marc
Augé di Non-Lieux).
Ho scritto questa roba su
piazza Torlonia:
(Dovrei scrivere qualcosa
su piazza Matteotti, a questo punto).
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