È da rimarcare lo sforzo
che qualche paese sta compiendo nell’occasione del Centenario, mancando un
lavoro storiografico decente sull’argomento, frutto casomai di una riflessione
di un gruppo o collettiva.
Io, insisto nell’accostare
al «terremoto» il termine catastrofe inteso non nel significato del dizionario e
dei suoi sinonimi (disastro, disgrazia, cataclisma), bensì nell’uso matematico
che se ne fa in alcune scienze per indicare la «forma» di un processo. (Si
tratta di rappresentazioni grafiche, di parabole più complesse di quelle che si
studiano nell’ultimo anno di alcuni istituti superiori). Si può dire che in
caso di catastrofe, una situazione cambia completamente: rimane poco o niente
come prima.
Ci emoziona pochissimo o affatto
una frattura in una montagna in seguito a un (medio, forte) terremoto, al
contrario ci colpisce un po’ scoprire che nel punto x – dove oggi pascolano le pecore – c’era l’ufficio postale e siamo
molto angustiati nel vedere una fotografia con i resti di un edificio buttato
giù da una scossa. Siamo perciò di fronte a delle discontinuità facilmente
osservabili mentre ignoriamo il lunghissimo e complicato processo che ha
portato a tale situazione.
Un forte sisma riesce a buttar giù tutto ma si può
ricostruire «tutto dov’era, com’era». Succede davvero? Io penso di no,
nonostante certe somiglianze. Io ricostruisco una chiesa del Settecento
crollata al suolo uguale alla precedente – affreschi, dipinti, mosaici e
stucchi compresi –, ma dentro i pilastri inserisco delle travi d’acciaio, tanto
per dirne una. Affreschi, dipinti, mosaici e stucchi sono ricostruiti o
costruiti «uguali» ai precedenti ma con materiali diversi. (Suona falsa
un’opera siffatta, ma solo a un occhio esperto). La mia nuova dimora sarà
almeno più robusta di «com’era». Le cose sono ancora diverse in caso di
ricostruzione (parziale, intera) di un insediamento. Una strada lastricata –
ampia o meno –, illuminata e con marciapiedi, indica, spinge verso azioni e
comportamenti delle persone diversi rispetto a quelli del precedente vicolo
buio o del cul-de-sac. Un quartiere o
una città ricostruita che sostituisce una precedente sperimenta nuovi tipi di
edifici, spazi pubblici, materiali, canalizzazioni eccetera, e produce
comportamenti collettivi inediti. (1/2) (Territori
in movimento/per Centenario terremoto 13 gennaio 1915, 5 2014)
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