Si assiste a un vero e
proprio cambio di scenario, di sistema delle relazioni, di rapporto con la
montagna (campagna, pascolo, bosco, fiume) nel caso di un borgo ricostruito
altrove e inizia a scemare – forse proprio in quel periodo – la coscienza di
vivere a una certa quota. Adattarsi o scomparire, in tal caso. Tale soluzione dettata
dalla filosofia di quel tempo ha allontanato alcune popolazioni locali da un
ambiente, ma le ha avvicinate a un altro, di sicuro.
Non è stata finora
compresa, la portata del periodo post-sisma nella vita dei singoli paesi coinvolti
e all’interno del «cratere» e anzi, da qualche parte si prova a risalire ancora
più indietro attraverso la zoologia fantastica (chimera). La mia immagine
perciò funziona meglio della fenice – il mitico uccello che rinasce dalle sue
ceneri, simbolo dell’immortalità – evocata in una delle ultime ricorrenze del
terremoto, per comprendere il cambio d’epoca che c’è stato un secolo fa. (A
proposito del folclore locale). È circolata per decenni la leggenda del
terremoto come la vendetta per il prosciugamento del Fucino. S’ignorano tuttora
le generalità di chi abbia scatenato – nel 1915 – un sisma di tale intensità
per punire i nobili romani e segnatamente Alessandro Torlonia (1800-86). (2/2) (Territori in movimento/per Centenario terremoto
13 gennaio 1915, 5 2014)
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