Il 2015 è perciò
un’occasione imperdibile per ciò che riguarda la cultura locale in senso ampio
per capire che lungo gli Appennini, un terremoto è una possibilità nemmeno
remota più che una iattura, una fatalità o una punizione divina. Una
possibilità.
Si ripeterà all’incirca lo
stesso copione del cinquantenario, poiché le figure che lo organizzano sono le
stesse, mentre intravedo delle novità. Sul fronte «umanistico» senza un
riferimento degno di nota, c’è il rischio da parte di chi è interessato dalla
storiografia di scendere troppo nei particolari e perciò scrivere delle
micro-microstorie che rischiano di mettere in ombra il quadro generale e
quindi, il cambiamento innescato dalla catastrofe naturale. (Meglio di niente).
Ripongo invece fiducia nei convegni dell’Ingv – solo a forza di mostrare mappe
di pericolosità sismica. C’è bisogno di leggere su libri recenti e nuovi più
che rifugiarsi – con devozione – in quelli dei secoli passati.
Mi auguro che si lasci in
pace il giovane sant’Emidio e ci s’istruisca invece a come utilizzare i nuovi
materiali e accorgimenti per tirare su le nuove costruzioni in grado di
sopportare le scosse sismiche e ristrutturare il tessuto urbano in modo tale
che in caso di terremoto – o di copiosa nevicata come nel 2012 –, si possa
sgomberare agevolmente tutte le strade. (3/3, Territori in movimento, 6)
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