Ricordo pochissimo o niente
di ciò che successe dalle mie parti in occasione del Cinquantenario del
terremoto, anche se è facile oggi immaginare che cosa ha insegnato tale
celebrazione andando semplicemente a zonzo in centro e sbirciare nelle case non
appena demolite, o facendo una capatina tra i vicoletti della periferia sud.
(Il terremoto nell’Aquilano nel 2009, ha dato impulso alla demolizione di
vecchie costruzioni fatiscenti e abbandonate da qualche tempo, costruite negli
anni Venti del secolo scorso). Incontro delle abitazioni facilmente sventrate,
costruite in pietra o in pietra e mattoni. (Alcuni anni addietro, durante le
celebrazioni di gennaio, qualcuno tirò fuori la fenice – l’uccello mitologico
che rinasce dalle proprie ceneri – a proposito della mia città: in alcune
abitazioni sono state riusate le stesse pietre di quelle buttate giù dal
terremoto). La dolorosa ricorrenza – mi si perdoni la ripetizione – non pose un
freno alla produzione di vicoli stretti e di edilizia abusiva, delle «case
della domenica» tirate su «in economia». (Checché ne dica fonti più autorevoli
del sottoscritto). I residenti nella Marsica a distanza di un secolo non hanno
capito appieno la severa lezione del sisma. Una sorta di frenesia legata al
costruire in momenti diversi e particolari del Novecento (sisma, secondo
dopo-guerra, boom economico) ha messo in ombra da noi, la pratica di costruire
edifici resistenti come miglior difesa contro i terremoti. C’è invece una sorta
di pensiero magico che continua a dirigere le scelte collettive.
Non ci ha aperto gli occhi
nemmeno il 2009, con il suo carico di morte e distruzione. Ci si è appellati in
massa a ingegneri, architetti e geometri oltre che ai Vigili del fuoco, per
avere rassicurazioni sulle proprie dimore, dalle mie parti. Si è ricevuta come
risposta in molti casi la scarsità di ferri nelle armature o errori di
progettazione – quando si trattava di cemento armato. Tutto ciò però non ha
indirizzato verso adeguate ristrutturazioni e quando si è intervenuto, si è
limitati perlopiù a operazioni (in modo letterale) di facciata.
Ho già accennato al
considerare per lungo tempo quella tragedia come un unicum. È invece come costruire una casa nell’area golenale di un
fiume: ciclicamente ogni trenta-quaranta o cinquant’anni, si finisce sott’acqua
fin quando qualcuno capisce che è meglio spostarsi altrove prima della prossima
piena. Dopo l’ultimo terremoto disastroso, alcuni aquilani hanno preso a
scavare nelle cronache dei tempi andati alla ricerca di fenomeni analoghi nella
vita della loro città; essi ora hanno ben chiaro in mente che i loro
discendenti vivranno l’esperienza di un sisma. (2/3)
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