martedì 2 dicembre 2014

who's going away


Ricordo pochissimo o niente di ciò che successe dalle mie parti in occasione del Cinquantenario del terremoto, anche se è facile oggi immaginare che cosa ha insegnato tale celebrazione andando semplicemente a zonzo in centro e sbirciare nelle case non appena demolite, o facendo una capatina tra i vicoletti della periferia sud. (Il terremoto nell’Aquilano nel 2009, ha dato impulso alla demolizione di vecchie costruzioni fatiscenti e abbandonate da qualche tempo, costruite negli anni Venti del secolo scorso). Incontro delle abitazioni facilmente sventrate, costruite in pietra o in pietra e mattoni. (Alcuni anni addietro, durante le celebrazioni di gennaio, qualcuno tirò fuori la fenice – l’uccello mitologico che rinasce dalle proprie ceneri – a proposito della mia città: in alcune abitazioni sono state riusate le stesse pietre di quelle buttate giù dal terremoto). La dolorosa ricorrenza – mi si perdoni la ripetizione – non pose un freno alla produzione di vicoli stretti e di edilizia abusiva, delle «case della domenica» tirate su «in economia». (Checché ne dica fonti più autorevoli del sottoscritto). I residenti nella Marsica a distanza di un secolo non hanno capito appieno la severa lezione del sisma. Una sorta di frenesia legata al costruire in momenti diversi e particolari del Novecento (sisma, secondo dopo-guerra, boom economico) ha messo in ombra da noi, la pratica di costruire edifici resistenti come miglior difesa contro i terremoti. C’è invece una sorta di pensiero magico che continua a dirigere le scelte collettive.
Non ci ha aperto gli occhi nemmeno il 2009, con il suo carico di morte e distruzione. Ci si è appellati in massa a ingegneri, architetti e geometri oltre che ai Vigili del fuoco, per avere rassicurazioni sulle proprie dimore, dalle mie parti. Si è ricevuta come risposta in molti casi la scarsità di ferri nelle armature o errori di progettazione – quando si trattava di cemento armato. Tutto ciò però non ha indirizzato verso adeguate ristrutturazioni e quando si è intervenuto, si è limitati perlopiù a operazioni (in modo letterale) di facciata.
Ho già accennato al considerare per lungo tempo quella tragedia come un unicum. È invece come costruire una casa nell’area golenale di un fiume: ciclicamente ogni trenta-quaranta o cinquant’anni, si finisce sott’acqua fin quando qualcuno capisce che è meglio spostarsi altrove prima della prossima piena. Dopo l’ultimo terremoto disastroso, alcuni aquilani hanno preso a scavare nelle cronache dei tempi andati alla ricerca di fenomeni analoghi nella vita della loro città; essi ora hanno ben chiaro in mente che i loro discendenti vivranno l’esperienza di un sisma. (2/3)

Nessun commento:

Posta un commento