Il nuovo secolo si è aperto
con l’attentato o il crollo del WTC (2001). Seguì un breve periodo in cui
almeno lungo la costa orientale degli Stati Uniti, non furono fabbricati
grattacieli. Oltreoceano si discusse anche delle nostre città e metropoli che –
per com’erano costruite – potevano trasformarsi in gigantesche trappole per i
loro abitanti, in casi del genere. Nella stessa zona si è abbattuto l’uragano
Sandy (2012) e anche in quel caso si è trattato se lasciare alcune parti della
metropoli alla mercé dei corsi d’acqua o costruire delle opere in teoria capaci
di resistere alla furia delle acque. Alcuni anni prima Katrina (2005) aveva
posto un problema simile in qualche modo, pur essendo uno degli uragani più
disastrosi registrati nella storia degli Stati Uniti e che aveva reso inutile
in poche ore il sistema degli argini posti a difesa dei centri abitati. Si è
parlato, si è discusso e ci si è interrogati (mezzi d’informazione,
associazioni, amministratori locali e centrali) e non solo per il carattere
pragmatico dei paesi anglofoni. In caso di catastrofe naturale da noi, la
cronaca delle testate locali si riempie più che altro di aneddoti, atti
d’eroismo, leggende e rimpalli di responsabilità più che di riflessioni,
ripensamenti e progetti. (1/3)
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