Gli ultimi tre-quattro
libri su Avezzano che ho pubblicato mi hanno sorpreso dopo averli riletti:
«Possibile che riesco a vivere in un posto del genere?», mi sono chiesto. Ho la
stessa sensazione anche questa volta e mi sono chiesto se era il caso di
stampare una simile plaquette.
Mi è stato detto talvolta,
di comportarmi come un entomologo nei confronti dei miei compaesani. Più che un
animale di grossa stazza, alle prese con altri di diversa specie – soprattutto
più piccoli –, io preferisco quella del telespettatore che guarda un
documentario etnografico su qualche sperduta tribù dell’Africa. Osservo uno
degli ultimi cacciatori-raccoglitori, un uomo come me che chiacchiera
affabilmente con un altro vestito in modo informale come me, ma non mi scappa
mai di pensare che la persona con cui il ricercatore sta discutendo, sia un liberal, un collezionista di qualcosa,
un tifoso del Barça o visto il colore
della pelle, abbia mai sentito suonare in vita sua John Coltrane.
Ho criticato a più riprese
il comportamento un po’ cervellotico dei miei compaesani durante la stagione
fredda. Ho pensato a voce alta di recente: «I marsicani vivono in montagna ma
rimuovono, da decenni, tale dato di fatto». (Il termine rimozione più che un
meccanismo psichico, indica la facilità estrema d’accantonare una questione).
Noto meno gente in giro (a piedi, in automobile, in motocicletta) durante le
nevicate – soprattutto quelle più consistenti –, perché gli avezzanesi non
possiedono un abbigliamento adeguato per affrontare casi del genere. C’è chi
evita le gomme termiche nel periodo invernale: «Tanto non esco da Avezzano…» e
si accorge d’avere dei problemi a circolare senza anche in un paese, dopo una
nevicata. Ripenso a chi inveiva, ai lamenti e alle foto inviate ai siti online locali, di chi abitava in
periferia perché aveva il vicoletto ricolmo di neve, nel 2012. «Il Comune ci ha
abbandonato», «Siamo cittadini di serie B», eccetera. (Passava comodamente uno
spazzaneve in un budello del genere?). Nella testa di moltissimi avezzanesi sia
nella vita quotidiana, sia durante la propria esistenza – anche quella dei
propri discendenti – si pensa a una nevicata consistente come una possibilità
remota e si trovano perciò spiazzati nemmeno vivessero in riva al mare. Da
fuori invece ci invidiano: «Beati voi che avete sempre la neve».
La gente non fa mente
locale sul proprio vivere a una certa quota ma nemmeno del risiedere in una
zona, dove sono ricorrenti le scosse sismiche. Ricordo cinque anni fa lo
sghignazzare di molti compaesani quando ascoltando i consigli di qualche
funzionario dello stato centrale in caso di terremoto, era raccomandato di
tenere a portata di mano almeno un sacco a pelo. Ridevano perché pensavano
probabilmente in buona fede che la nostra zona appartenesse a una categoria di
rischio sismico inferiore rispetto all’Aquilano o che la città fosse immune dai
terremoti. D’altra parte: chi ha più un sacco a pelo dentro casa o un paio di
scarpe, di scarponi con la suola Vibram? (Tralascio il tema dell’isolamento
termico). I locali d’altra parte, vivono come perplessi, imbambolati, immersi
in un paesaggio che non conoscono né riconoscono. (Ci mancano giusto gli alberi
di mandarino e i cieli di marmellata). Si lamentano di non riuscire più a
vivere da queste parti, al contrario di chi viene da lontano; danno l’idea di
trovarsi qui per caso e non ricordano come e perché sono finiti in questo
gigantesco presepio meccanico. (1/3)
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