mercoledì 17 dicembre 2014

Un presepio meccanico


Gli ultimi tre-quattro libri su Avezzano che ho pubblicato mi hanno sorpreso dopo averli riletti: «Possibile che riesco a vivere in un posto del genere?», mi sono chiesto. Ho la stessa sensazione anche questa volta e mi sono chiesto se era il caso di stampare una simile plaquette.
Mi è stato detto talvolta, di comportarmi come un entomologo nei confronti dei miei compaesani. Più che un animale di grossa stazza, alle prese con altri di diversa specie – soprattutto più piccoli –, io preferisco quella del telespettatore che guarda un documentario etnografico su qualche sperduta tribù dell’Africa. Osservo uno degli ultimi cacciatori-raccoglitori, un uomo come me che chiacchiera affabilmente con un altro vestito in modo informale come me, ma non mi scappa mai di pensare che la persona con cui il ricercatore sta discutendo, sia un liberal, un collezionista di qualcosa, un tifoso del Barça o visto il colore della pelle, abbia mai sentito suonare in vita sua John Coltrane.
Ho criticato a più riprese il comportamento un po’ cervellotico dei miei compaesani durante la stagione fredda. Ho pensato a voce alta di recente: «I marsicani vivono in montagna ma rimuovono, da decenni, tale dato di fatto». (Il termine rimozione più che un meccanismo psichico, indica la facilità estrema d’accantonare una questione). Noto meno gente in giro (a piedi, in automobile, in motocicletta) durante le nevicate – soprattutto quelle più consistenti –, perché gli avezzanesi non possiedono un abbigliamento adeguato per affrontare casi del genere. C’è chi evita le gomme termiche nel periodo invernale: «Tanto non esco da Avezzano…» e si accorge d’avere dei problemi a circolare senza anche in un paese, dopo una nevicata. Ripenso a chi inveiva, ai lamenti e alle foto inviate ai siti online locali, di chi abitava in periferia perché aveva il vicoletto ricolmo di neve, nel 2012. «Il Comune ci ha abbandonato», «Siamo cittadini di serie B», eccetera. (Passava comodamente uno spazzaneve in un budello del genere?). Nella testa di moltissimi avezzanesi sia nella vita quotidiana, sia durante la propria esistenza – anche quella dei propri discendenti – si pensa a una nevicata consistente come una possibilità remota e si trovano perciò spiazzati nemmeno vivessero in riva al mare. Da fuori invece ci invidiano: «Beati voi che avete sempre la neve».
La gente non fa mente locale sul proprio vivere a una certa quota ma nemmeno del risiedere in una zona, dove sono ricorrenti le scosse sismiche. Ricordo cinque anni fa lo sghignazzare di molti compaesani quando ascoltando i consigli di qualche funzionario dello stato centrale in caso di terremoto, era raccomandato di tenere a portata di mano almeno un sacco a pelo. Ridevano perché pensavano probabilmente in buona fede che la nostra zona appartenesse a una categoria di rischio sismico inferiore rispetto all’Aquilano o che la città fosse immune dai terremoti. D’altra parte: chi ha più un sacco a pelo dentro casa o un paio di scarpe, di scarponi con la suola Vibram? (Tralascio il tema dell’isolamento termico). I locali d’altra parte, vivono come perplessi, imbambolati, immersi in un paesaggio che non conoscono né riconoscono. (Ci mancano giusto gli alberi di mandarino e i cieli di marmellata). Si lamentano di non riuscire più a vivere da queste parti, al contrario di chi viene da lontano; danno l’idea di trovarsi qui per caso e non ricordano come e perché sono finiti in questo gigantesco presepio meccanico. (1/3)

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