giovedì 21 maggio 2015

Amplero ieri e oggi 4


M’interessava relativamente l’impatto ambientale dell’invaso ad Amplero o altrove, quello delle varie vasche di raccolta e di qualche chilometro di tubature da costruire a una certa quota: io pensavo soprattutto all’opera di presa. (Dove, come s’intende prelevare l’acqua?).
(Un’altra parentesi). Non è un caso se si protestava a Pescina e lungo il corso del fiume ben lontani dall’intervento supposto principale, che ha attribuito il nome alla lunga vicenda. È comprensibile anche il disappunto ad Avezzano – quattro gatti, in realtà – e il silenzio dei trasaccani, dei collelonghesi. Chi ha raccolto la voce della valle del Giovenco? Chi ha provato a dare una forma, a incanalare quella protesta? Soprattutto, perché protestavano? Un altro tipo di domanda, che cosa era successo o, stava in realtà per accadere? È mancato in realtà una parola, una rappresentazione, un discorso per definire quella situazione. Spettava alla politica e a quelli che erano considerati gli intellettuali locali, impostare un’analisi e suggerire un percorso. I politicanti del tempo si erano generalmente rinchiusi nel mutismo perché un’opera del genere stava bene a tutti, preferisco sorvolare sugli intellettuali fucensi (cosiddetti, sedicenti). Erano davvero una novità manifestazioni del genere? (Cfr.: M. Armiero, Le montagne della patria, 2013, I, 3).
Riprendiamo. Mi preoccupavo dei riflessi di un’opera pubblica sul Giovenco e la valle che esso ha scavato nei millenni. Il vecchio progetto prevedeva sul suo corso una «traversa» alta otto metri da cui attingere l’acqua, «a quota 928 m s.m.».
(Per intendersi). Capita di leggere nei mass media circa la «manutenzione» di un corso d’acqua; domanda: perché la fanno? Si recuperano da un fiume, frigoriferi, tapparelle, lavatrici, contenitori vari, lavandini e anche materiali biodegradabili come rami e alberi perché rallentano o impediscono il normale flusso di elementi litoidi (sassi, ciottoli, sabbie): oggetti certo meno ingombranti di un qualsiasi tipo di sbarramento artificiale – che non può essere rimosso, tra l’altro. Ho scritto: «Manomettere il letto di un fiume con briglie, alvei o sponde di cemento, provoca a ripetizione frane e smottamenti “a monte” e allagamenti “a valle”» (Il Martello del Fucino 5, 2014). Manomettere, vuol dire provocare uno squilibrio in un sistema per sé equilibrato – come un corso d’acqua. Il fiume in tal caso cerca un nuovo equilibrio proprio attraverso le frane degli argini e le esondazioni. È arduo calcolare – nel nostro caso – l’impatto nel corso del fiume superiore all’opera mentre è più semplice immaginare, ciò che può succedere nella parte inferiore – nel medio e lungo periodo. C’entra poco anche la classificazione della zona d’intervento (parco naturale nazionale o regionale, zona sismica, riserva naturale, sito d’interesse comunitario, fascia di protezione esterna, sito archeologico, eccetera): è saggio evitare opere del genere lungo il corso di un fiume. (4/5)

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