King of May) Lo vedevi sfilare veloce, sempre brioso e ben vestito, con il suo
aspetto giovanile e una cartella di disegni sotto il braccio; negli ultimi
tempi si aggirava per la città con un bastone: «come un povero vecchio»,
ripeteva.
È stato l’unico artista del
luogo a insegnarmi qualcosa. Attraverso la sua esperienza, ho capito che l’arte
è una faccenda quotidiana come tante altre; bisognava lavorare tutti i giorni,
a orario fisso, come Matisse e Wahrol.
Mi ha anche insegnato che
l’arte è un’attività solitaria, che può portare a vivere da soli. La sua
propensione all’auto-ironia, così poco avezzanese, guastava il rapporto con gli
altri.
Da artista legato al teatro,
possedeva un’ottima tecnica, disegnava con scioltezza e riusciva a lavorare su
superfici diverse, a trattare i materiali più disparati. Era una persona
abbastanza colta e poteva vantare alcuni ottimi incontri avuti in gioventù.
Durante l’esistenza non ha
legato con l’ambiente della critica d’arte, del mercato, degli altri
«colleghi»; la sua città ha preso ben presto a ignorarlo. La sua produzione è
dispersa presso decine d’abitazioni, nessuno se n’è mai curato. Conservo di lui
una stampa eseguita con un sistema, al tempo stesso, ingegnoso e casereccio.
Penso di essere stata, per
molti anni, l’unica persona a mettere i piedi dentro casa sua. […] (AvezzanoBlu, febbraio 2007).
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